rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

L’elastico
ossimoro vivente

 

1. Nel 1940, l’editore Giuseppe Caregaro inizia le pubblicazioni di Cucciolo, un fumetto disegnato, prima da Rino Anzi e poi da Giorgio Rebuffi. Come il titolo suggerisce Cucciolo – e il suo compagno Beppe – nascono come cani antropomorfi, ma, assumendo presto sembianze umane, cambiano natura. Il che, peraltro, non impedisce al lettore di rendersi conto di quanto personaggi e vicende loro siano ricalcati sul modello dell’ormai famoso Topolino.
Cucciolo è piccolo abile e sagace, fin saccente, mentre l’amico Beppe è lungagnone e tonto; combattono a volte contro il cattivo Bombarda che ricorda Pietro Gambadilegno e sono zii di tre nipotini dal nome di Tip, Top e Tap. Direi che ce ne sarebbe stato abbastanza per sfiorare il plagio, ma, dovrei anche ammettere che, in definitiva, non deragliava dalla logica del sottoprodotto.
Nel 1952, tuttavia, grazie all’inventiva di Roberto Renzi, nel fumetto si intrufolò un nuovo personaggio – un personaggio che oltrepassava il filo dell’assurdo come Eta Beta nel fumetto disneyano. “Figlio del caucciù e della colla”, poteva allungarsi a dismisura e da linea trasformarsi in punto a seconda delle necessità riparatorie che la morale della narrazione gli imponeva. Ebbe un successo che travalicò lo stesso Cucciolo, guadagnandosi, anni dopo, una propria autonomia. Si chiamava Tiramolla.


2. Nei dolorosi episodi della vita quotidiana del protagonista della Dolce vita – nel frenetico ed eccitante nulla che avvolge il bel Marcello in cerca di non si sa bene cosa –, Federico Fellini inserisce una festa notturna in cui, nelle modeste forme in cui le si poteva rappresentare alla fine degli anni Cinquanta, sesso alcol-droga e rock and roll, i tre mercati dell’ormai prossimo futuro – i tre miti del consumismo capitalistico – fanno la loro comparsa con particolare virulenza.
A distanza di molti anni, commisurare le cose al contesto in cui sono espresse non è facile, ma, se ce n’è una di cui si può essere sicuri questa è l’intenzione fortemente critica di Fellini: il suo protagonista è il giornalistucolo che si adatta a vivacchiare delle briciole del “bel mondo” nell’ambizione di diventare prima o poi un grande scrittore; le relazioni che gli capitano sono di quelle in cui non ci si sa dir nulla e in cui dall’amore si rifugge come da un impiccio letale; la società in cui si impantana è quella di chi può permettersi di non lavorare, di passare la notte in bianco e di essere sorpresi sgomenti con la bocca impastata da un’alba che fa paura. La dolce vita, dunque, è un miraggio per allocchi e bugiardi – innanzitutto, bugiardi con se stessi –, sembrerebbe dirci Fellini: quella vita non è affatto “dolce”, ma è di una dolcezza nauseante, eccessiva, tanto da renderla amara. Nonostante quella vita fosse in parte anche la sua – nonostante se avesse una dimestichezza esperta, per così dire –, il suo, indubbiamente, è un monito: da questo supermercato di sesso, alcol-droga e rock and roll alla nostra socialità non ne sarebbe derivato nulla di buono. Gioverà a questo punto ricordarci che, nel film, interpretando se stesso, la rappresentazione del capo d’accusa al rock and roll è toccata ad Adriano Celentano.


3. In Signore e signori, un libro del 1969, la scrittrice e giornalista Camilla Cederna racconta della circostanza in cui fece un’intervista ad Adriano Celentano. Era il 29 settembre del 1963 e quello che all’epoca meritava l’appellativo di “re del tangaccio” la ricevette a Milano, a casa della mamma.
Fu l’occasione, per la Cederna di correggere un dato storico. Celentano non cominciò la propria carriera all’Aretusa, come credeva lei, ma alla sala da ballo Filocantanti di viale Zara, cantando L’orologio matto (Rock round a clock) il che, per uno che faceva l’operaio specializzato presso un orologiaio di viale Campania, poteva anche essere interpretato come un segno di straordinaria coerenza. Fu anche l’occasione, l’intervista, per ascoltare in anteprima Sabato triste, una canzone rigorosamente maschilista in cui si parla di un lui che torna a casa, lei non c’è e non c’è nemmeno il pranzo pronto e lui s’imbestia perché ha fame.
E fu anche l’occasione, questa intervista per dare un’occhiata in giro e farsi un’idea della persona. La Cederna nota, allora, che, vicino al caminetto, era stata posta una piastrella propiziatoria su cui stava scritto “Santa Maria Goretti proteggi questa famiglia” e registra un paio di osservazioni che riguardano la fidanzata di Celentano, Milena Cantù – lì presente – che, anni dopo, a dire il vero – contraddicendo la logica hegeliana della loro relazione –, di cantante ne sposerà un altro – Fausto Leali. Milena, dunque, come Adriano, porta al collo una mezza medaglia che è quasi un manifesto teorico: “Divisi ma – sempre uniti”, c’era scritto.
La seconda osservazione della Cederna concerne il fatto che, durante l’intervista, la Milena, interpretando alla perfezione lo stereotipo di femmina che il suo maschio esigeva, si è ben guardata dall’intervenire ed ha preferito sprofondarsi nella lettura.
Cosa leggeva, alla Cederna, ovviamente, non è sfuggito: leggeva Cucciolo, un’antologia di Cucciolo, per l’esattezza.


14. Il tempo passa e i cocci sono nostri. Dell’aria che tirava in casa Celentano, pur lastricati delle migliori intenzioni, sono fatti i criteri con cui giudica la società e i meccanismi del potere che la governa. Delle relazioni fra capitale e lavoro, fra lotta sociale e religione – della stessa relazione fra Chiesa e Paradiso –, fra maschile e femminile, lui vede quel che può e quel che gli conviene – soprattutto non vede né se stesso né quanto della sua propria storia è bersaglio attuale dei suoi strali. Nell’enciclopedia mentale del molleggiato – si noti la radice dell’aggettivo –, nei sottoprodotti che costituiscono la sua cultura, qualcosa – parecchio – di Tiramolla e della tecnica immaginaria con cui riparava i torti è rimasto. Come di Cucciolo, diviso e unito per sempre – alla faccia di ogni contraddizione – a quel Beppe che, peraltro – anche e non solo per l’aspetto fisico –, a Celentano sarebbe stato più congeniale.

Felice Accame

Nota: Signore e signori di Camilla Cederna è pubblicato da Longanesi, Milano 1969. Della visita a casa Celentano si parla da pag. 153 a pag. 158.