rivista anarchica
anno 42 n. 370
aprile 2012


storia Carlo Cafiero 1

“Simpatico, distinto, aristocratico”

di Franco Schirone

La figura e il ruolo di Carlo Cafiero nella storia del primo movimento socialista e anarchico in Italia. Un DVD a lui dedicato è stato recentemente presentato a Benevento.

Il periodo qui analizzato comprende gli anni 1871-77, precisamente la fase che precede l’esperimento del Matese per spiegare le condizioni del paese e quelle dell’Internazionale attraverso la sua evoluzione teorica e pratica. Costituita in Italia nel 1868, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, dopo un periodo di attività, sembra eclissarsi; l’arrivo di nuove forze giovanili le darà impulso per rinascere ed ampliarsi attraverso la partecipazione attiva nella questione sociale.
È nel programma dell’Internazionale di penetrare in qualsiasi associazione che avesse natura o sembianza operaia, di partecipare a qualunque congresso in cui si discutesse di questioni sociali, per far prevalere i principi dell’Associazione o per affermarli e spiegarli pubblicamente.
Questo spiega, per esempio, la partecipazione e l’intervento di propri delegati internazionalisti al 12° Congresso Generale Operaio (Roma, novembre 1871), che in realtà di “operaio” non ha che il nome dal momento che la quasi totalità dei delegati sono avvocati e membri della borghesia. In quella sede viene approvato un Ordine del Giorno col quale il Congresso Operaio proclama solennemente i principi politici e sociali di G. Mazzini, come quelli che condurranno più prontamente ed efficacemente alla vera emancipazione dell’operaio.
Per l’occasione gli Internazionalisti contestano l’O.d.G. approvato, ritenendo tali principi contrari ai veri interessi della classe operaia e al progresso dell’umanità ed abbandonano clamorosamente il Congresso lasciando alla sua maggioranza tutta le responsabilità del fatto e delle conseguenze. Queste parole sono pronunciate dai tre internazionalisti intervenuti e precisamente da Carlo Cafiero (delegato della sezione di Girgenti dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori), De Montel (delegato della Fratellanza Artigiana Livornese) e A. Tucci (delegato della Sezione Internazionale di Napoli). I tre, con altri dissidenti, organizzano un Congresso alternativo a Roma (aprile 1872) in cui auspicano una unione fra tutti gli operai d’Italia e d’Europa con il comune scopo di risolvere le questioni che interessano esclusivamente gli artigiani.
A maggio 1872 saranno le società operaie piemontesi a riunirsi e proporre la necessità per gli operai ad unirsi nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori per procedere alla soluzione delle più importanti questioni sociali coi grandi principi dell’universale fratellanza (1).
Nello stesso anno comincia a concretizzarsi l’organizzazione e l’unione delle diverse sezioni e federazioni per agire concordemente sulla base di un comune programma e scopo, considerando che fino a questo momento hanno vissuto in maniera isolata. Le sezioni dell’Internazionale (ispirate da Bakunin) sorte nel napoletano e in Sicilia grazie all’opera di Fanelli e Cafiero, iniziano ad intendersi con le sezioni sorte in Emilia, in Toscana e nelle Romagne per l’opera di A. Costa e Pescatori. Si avviano così una serie di comunicazioni che hanno come riferimento Firenze che diventa il centro del movimento e dove viene pubblicato “La Rivoluzione Sociale”, un foglio clandestino che propugna i principi dell’Internazionale.
Nei primi mesi del 1872 sono più di cento le sezioni affiliate, loro scopi dichiarati sono la distruzione di ogni privilegio, l’uguaglianza sociale e il rifiuto dell’elettoralismo poiché qualunque governo autoritario è opera di privilegiati a danno delle classi diseredate.

Il programma di Rimini

L’opera di tessitura e di collegamento continua nel corso dell’anno e in agosto viene organizzata una conferenza a Rimini dove si costituisce definitivamente la Sezione Italiana dell’Internazionale e dal dibattimento emergono contenuti comuni ed un programma accettato da tutte le sezioni.
Del programma di Rimini, che rappresenta l’atto di nascita del movimento, è essenziale ricordare alcuni principi:

  • Considerando che l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi;
  • che la lotta per l’emancipazione dei lavoratori non è lotta per privilegi e monopoli di classe, ma per l’eguaglianza dei diritti e dei doveri e per l’abolizione di ogni regime e distinzione di classe;
  • che l’assoggettamento economico del lavoratore a chi ha il monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle sorgenti della vita, è causa prima di tutte le forme di servitù: la miseria sociale, l’avvilimento intellettuale e la dipendenza politica;
  • che l’emancipazione economica del lavoratore è perciò il grande fine al quale ogni movimento politico deve essere subordinato;
  • che l’emancipazione del lavoro non è problema locale o nazionale, ma sociale;
  • che il movimento il quale riappare fra i lavoratori dei paesi più industriosi, mentre risveglia nuove speranze, dà solenne avvertimento di non ricadere nei vecchi errori e di unire senza indugio gli sforzi fino ad ora isolati.

Per queste ragioni:

  • la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori è stata costituita.
  • Essa dichiara che tutte le Federazioni, Società ed individui ad essa aderenti riconosceranno a base di condotta fra di loro e verso gli uomini tutti, senza distinzione di colore, di credenza e di nazionalità, la Verità, la Giustizia e la Morale; Nessun dovere senza diritto, nessun diritto senza dovere… (2)

Il Congresso di Rimini è presieduto da Carlo Cafiero, Andrea Costa ne è segretario. Viene anche deciso di rompere ogni rapporto con il Consiglio Generale di Londra (Marx e Engels) ritenuto autoritario e di non inviare alcun rappresentante al Congresso Generale de L’Aia (settembre 1872) convocato dal Consiglio di Londra. Si comprende bene che la scelta de L’Aia come sede del congresso agevola il compito del Consiglio di Londra, che può facilmente inviarvi delegati ad esso devoti, ma allo stesso tempo rende difficile l’intervento delle Federazioni lontane e dello stesso Bakunin.
Un secondo motivo di dissidio con Londra è rappresentato da una circolare segreta in cui Marx attacca Bakunin e l’Alleanza Internazionale della Democrazia Socialista con la subdola accusa di lavorare alla distruzione dell’Internazionale. Alla circolare risponde la Federazione Italiana che accusa invece Londra di voler imporre a tutta l’Internazionale una dottrina speciale, autoritaria che è esattamente quella del Partito Comunista tedesco, dottrina che rappresenta la negazione del sentimento rivoluzionario del proletariato italiano. Senza contare l’utilizzo di mezzi indegni, come la calunnia e la mistificazione, con lo scopo di ridurre l’Internazionale alla dottrina del comunismo autoritario, una prassi che ha determinato l’opposizione rivoluzionaria dei belgi, dei francesi, degli spagnoli, degli slavi, degli italiani e degli svizzeri.
Su queste motivazioni viene dichiarata la totale rottura con Marx e contemporaneamente viene indetto un Congresso alternativo a quello de L’Aia da tenersi a Saint-Imier nel settembre 1872 dove poi parteciperanno in qualità di delegati per la Sezione italiana, Bakunin, Cafiero, Fanelli, Costa, Malatesta, Nabruzzi.
A Saint-Imier l’ala antiautoritaria dell’Internazionale, oltre a confrontarsi sullo stato del movimento e a respingere le risoluzioni de L’Aia come incompatibili con l’autonomia e l’indipendenza delle Federazioni e Sezioni operaie, decide di creare una Commissione di Corrispondenza per comunicare regolarmente e direttamente senza dipendere da un organismo autoritario di qualsiasi genere.
Altri temi affrontati riguardano l’azione politica del proletariato e l’organizzazione della resistenza del lavoro contro il capitale. Per quanto riguarda l’azione politica, le decisioni prese lasciano ad ogni Federazione il diritto incontestabile di seguire una linea di condotta più consona alla propria realtà, ritenendo come primo dovere del proletariato la distruzione di ogni potere politico e adottando la libera federazione di tutti i produttori.
Infine, sull’organizzazione della resistenza del lavoro contro il capitale, viene dichiarato lo sciopero generale come mezzo di lotta importante per preparare i lavoratori, attraverso i conflitti economici parziali, alla più grande e definitiva riscossa rivoluzionaria. A tale proposito si ritiene opportuno costruire un progetto di organizzazione universale della resistenza.

Miseria e tumulti

Le due conferenze (Rimini e Saint-Imier) hanno, dunque, una fondamentale importanza: l’antica Internazionale di Marx – specie nei paesi latini – non esiste più, essa viene sostituita dall’Internazionale antiautoritaria e bakuniniana che include nel proprio programma le vie di fatto e la rivoluzione.
Da questo momento le idee dell’Internazionale si diffondono più radicalmente nel popolo lavoratore e le Sezioni si moltiplicano. È, questa, una fase in cui il popolo italiano è economicamente allo stremo, stanco del governo dal quale ha inutilmente e vanamente sperato un po’ di benessere.
Nel 1873 le condizioni di vita diventano più gravi e dolorose, i raccolti non sono sufficienti a sfamare, il caro-viveri sfianca ancora di più le masse e le previsioni per l’inverno sono nere e preoccupanti per i poveri, per i contadini, per gli operai. È la miseria che spinge ai tumulti, alla protesta, agli scioperi a cui ricorrono gli operai facendo proprie le parole e le tematiche dell’Internazionale. È tutta la penisola a protestare contro il caro-viveri: condizioni e situazione non più sopportabili. Esercito e forza pubblica sono messi in campo contro gli scioperanti, la situazione è talmente grave da apparire pericolosa al governo e ai suoi giornali che invocano a gran voce immediati interventi: non per migliorare le condizioni economiche ma per combattere gli internazionalisti e schiacciare la terribile associazione.
Un movimento che impressiona e fa paura al governo e alle classi dirigenti che corrono ai ripari.
Sulla scia della Francia che punisce e reprime gli aderenti all’Internazionale con una apposita legge, anche l’Italia si adegua e fa di più. Inizia con l’emanazione di un decreto di scioglimento dell’Internazionale di Napoli, una delle più attive sezioni, che però riprende con più intensità le sue attività e pubblica “La Campana”, un giornale redatto soprattutto da Carlo Cafiero e Tito Zanardelli.
La repressione, aggravata dalla sfacciata persecuzione contro l’Internazionale, continua in maniera iniqua: nel 1873 il decreto di scioglimento colpisce molte sezioni (Firenze e Roma...) e vengono effettuati arresti, ma tutto questo non basta a fermare la volontà di essere presenti e lottare per un mondo migliore; il movimento ha la capacità di riprendere l’attività, tanto da organizzare (marzo 1873) il secondo Congresso Federale Italiano e continuare gli impegni presi a Rimini e a Saint-Imier per riaffermare la verità, la giustizia sociale e propugnare (come A. Costa scrive nella circolare di convocazione) l’unione spontanea delle forze operaie nell’anarchia e nel collettivismo.
Sempre in tema di repressione, il secondo congresso si sarebbe dovuto svolgere a Mirandola ma il governo impedisce la riunione sciogliendo per decreto quella Sezione, arrestando gli internazionalisti e sequestrando atti e statistiche. Molti delegati sono arrestati durante il viaggio e ancora arresti a Bologna dove, vista la situazione, si è pensato di dirottare il congresso.
Sessanta delegati riescono a sfuggire ai controlli e agli arresti, ricongiungendosi nelle campagne nei pressi di Bologna per un incontro clandestino e i cui atti vengono pubblicati su “La Rivoluzione Sociale”, giornale anch’esso clandestino. Seguono altri arresti (Cafiero, Malatesta,…) e sciolte altre Federazioni e Sezioni.
Saranno le persecuzioni poliziesche a spingere l’Internazionale verso una iniziativa insurrezionale organizzata sempre da Cafiero, Malatesta e Costa con un apposito Comitato che proclama l’inizio della lotta armata, della quale Cafiero sarà il finanziatore.
Entrata in clandestinità, la Sezione Italiana prepara le prossime iniziative organizzando in ogni città e nelle campagne dei nuclei di lavoratori pronti ad una generale rivolta nel giorno prestabilito e annunciato da un manifesto rivolto “A tutti i proletari Italiani” a firma del “Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale” (agosto 1874).
Il manifesto, che rappresenta il segnale dell’insurrezione, dopo aver ricordato le agitazioni popolari spontanee contro il caro-viveri e la paura procurata alla borghesia, così continua: …Ciò che incominciaste bisogna finirlo; non si tratta di venire a patti coi nostri padroni per avere il pane a miglior mercato, si tratta di aver per noi l’intero prodotto delle nostre fatiche, noi dobbiamo lottare e lottare fino alla morte per l’abolizione di ogni privilegio, per la completa emancipazione del genere umano…
Il piano dell’insurrezione prevede la scintilla a Bologna, per poi espandersi in Romagna, nelle Marche, in Toscana e nel Meridione. Il movimento non riesce, sono molti gli arrestati nelle diverse regioni e la repressione si riaccende furiosa.

Azione insurrezionale e collettivismo

Due anni dopo, scontate le pene e mutate le condizioni politiche per l’arrivo della Sinistra al governo, l’attività riprende in pieno e viene organizzato un congresso per il 22 ottobre 1876. Anche sotto il governo della Sinistra l’incontro viene impedito con la forza, i locali occupati militarmente e si procede all’arresto del maggior numero possibile di internazionalisti convenuti a Firenze. In breve il programma viene cambiato, si trova un luogo fuori dal controllo poliziesco e chi è riuscito a sfuggire agli arresti si incontra in un villaggio lontano 30 Km. da Firenze. Per arrivarci occorrono nove ore di marcia, sotto la pioggia, attraversando strade di campagna e di montagna, braccati dalla forza pubblica. L’incontro si tiene, ma è ancora interrotto dai carabinieri. Nuovo trasferimento lungo i boschi, in una radura, per proseguire i lavori di notte e approvare le risoluzioni finali.
L’importanza di questo incontro sta nelle decisioni prese che determineranno l’azione futura: per l’azione insurrezionale e contro la tattica elettorale, per la comunione delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei prodotti del lavoro.
In tutto questo Carlo Cafiero ha un ruolo determinante, nella organizzazione e nelle risoluzioni. E lui che scrive e rende pubblica la dichiarazione di solidarietà verso gli arrestati prendendo atto delle persecuzioni governative perché essere questa la via che fatalmente devono percorrere tutti i governi, dalla Repubblica più radicale all’assolutismo più dispotico (e gli internazionalisti) se ne rallegrano perché sanno che le persecuzioni scavano sempre più profondo l’abisso fra gli oppressi e gli oppressori ed avvicinano sempre più il giorno della Rivoluzione.
In questa nuova fase la Federazione italiana indica a tutta l’Internazionale la via da seguire: l’azione insurrezionale e il collettivismo dei prodotti del lavoro. Ed è qui che nasce anche la teoria della “propaganda del fatto” che, come ben sottolinea Pier Carlo Masini, con queste parole si intende attribuire alle iniziative rivoluzionarie come scopo primario non più quello politico-militare di abbattere le istituzioni, ma quello morale-pedagocico di scuotere le masse e di far loro pervenire un messaggio politico avvolto in gesti clamorosi e significativi (3). E si pensa ad un’azione clamorosa nel Matese per la primavera del 1877, storia che viene narrata nel documentario che viene per la prima volta presentato a Benevento.
Ricordiamo che durante la detenzione a Santa Maria Capua Vetere, Cafiero traduce e compendia, primo in Italia, “Il Capitale” di Carlo Marx, poi pubblicato dall’editore Bignami nel 1879 col titolo Il Capitale di Carlo Marx, brevemente compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della produzione capitalista, annunciato dal giornale “La Plebe” con queste parole: è l’opera brevemente compendiata da un italiano, cioè da uno dei nostri più intelligenti e operosi compagni, di cui siam dolenti di non poter dire il nome, perché vuole mantenere l’anonimo. E’ un lavoro fatto colla esattezza e colla coscienza del più scrupoloso ammiratore e cultore del socialismo.
Cafiero, nel considerare il suo lavoro scrive: …Io devo solamente guidare una turba di volenterosi seguaci per la strada più facile e breve al tempio del capitale; e là demolire quel dio. Onde tutti possano vedere coi propri occhi e toccare con le proprie mani gli elementi dei quali si compone; e strappare le vesti ai sacerdoti, affinché tutti possano vedere le nascoste macchie di sangue umano, e le crudelissime armi, con le quali essi vanno, ogni giorno, immolando un sempre crescente numero di vittime
(4). L’edizione è un successo e contribuisce a riaccendere l’interesse verso le idee del Socialismo.
Questo lavoro avrà innumerevoli edizioni nel corso del Novecento, ne ricordiamo alcune.
Nel 1908 la rivista «L’Università Popolare» lo ripropone in forma ridotta a puntate. Nel 1913 esce una seconda edizione, a distanza di oltre trent’anni, per conto dell’Istituto Editoriale “Il Pensiero” e per la “Controcorrente” di Firenze con prefazione di Luigi Fabbri che ricorda di offrire al pubblico un’altra opera da gran tempo dimenticata e divenuta rara anche per i più diligenti bibliografi (5). Fino all’avvento del fascismo ci saranno almeno 4 edizioni.
Nel 1945 viene ripubblicato per conto della “Libreria dell’800 Editrice” e nello stesso anno altre tre edizioni appaiono a Milano, Padova e Torino; poi ancora nel 1950 per la Universale Economica con una lunga prefazione di Giulio Trevisani; nel 1970 sarà la volta della Samonà e Savelli con cinque edizioni, nel 1976 della Garzanti e nel 1996 dell’editrice Demetra.
Nel corso del 2009 saranno ben due le edizioni.
Nella prima, per le “Edizioni dell’asino”, vengono riproposti e curati da Carlo De Maria (come introduzione al Compendio) i testi e le note di Luigi Fabbri, James Guillaume, Robert Michels, Gianni Bosio e Pier Carlo Masini. L’ultima edizione è quella curata dalla Biblioteca Franco Serantini di Pisa, con introduzione e note critiche di Franco Bertolucci ed una biografia di Carlo Cafiero curata da Pier Carlo Masini (6).
Questi cenni bibliografici riguardano solo alcune edizioni, in quanto nel solo Novecento le edizioni del Compendio di Cafiero assommano ad almeno 18, con una tiratura complessiva di oltre cento mila copie, un vero e proprio record6, senza contare le edizioni in francese, spagnolo, tedesco e greco.
Concludo questo breve e incompleto percorso sulla figura e l’azione del grande personaggio apulo-napoletano, trasmettendo il ricordo che di lui hanno lasciato uomini di ogni fede politica.
Un corrispondente del giornale «Satana» che si pubblica a Cesena e che conosce bene Cafiero, nel 1877 lo descrive come un bel giovane, simpatico, distinto, aristocratico. Parla poco, ascolta molto, riflette sempre. I capelli e la barba lunga e bionda danno al suo volto una viva espressione di un ispirato e a vederlo si direbbe che ha una missione da compiere (7).
Per Pietro Kropotkin è un idealista del tipo più alto e più puro. Ha donato alla causa un considerevole patrimonio senza domandarsi come avrebbe vissuto il domani; un pensatore assorto nelle sue speculazioni filosofiche; un uomo che non odiò mai nessuno (8).
L’espressione del viso non ha in sé niente di fanatico, né di eroico, scrive Robert Michels. È il quadro di uno scienziato e passionato, con tutta la sua serietà, la sua profondità, ma anche la sua impraticità e timidezza…Un’anima dotata di altruismo e di spirito di sacrificio fino all’eroismo, così da meritare di essere tenuto come un santo. La caratteristica principale di Cafiero è stata la smisurata bontà, chi lo ha avvicinato subisce la soggezione di quest’anima semplice e buona, ma pure nobile e grande. È l’incarnazione della nobiltà d’animo, avverso a qualsiasi lusso, parco fino all’esagerazione, per i suoi pasti si accontenta di pane e latte, vegetariano per qualche tempo (9).
Un’anima sensibilissima, ricorda Filippo Turati, è stato uno dei primi e dei più veri eroi del socialismo in Italia al quale ha consacrato intelletto, cuore e la vasta fortuna, con un disinteresse e una coerenza da antico apostolo cristiano. Resta di lui una memoria dolcissima della sua figura nel cuore dei suoi fedeli amici (10).
Tipo di vero apostolo – ha scritto lo Stiavelli –, apostolo umanitario, quale lo ritrarranno gli storici avvenire dell’idea socialista. Aveva studiato scienze sociali e letto tutte le opere degli scrittori socialisti tedeschi, inglesi, francesi (11).
Nello Rosselli lo definisce anima semplice e generosa, mentre A. Lucarelli conclude la sua biografia con queste parole: Con Carlo Cafiero noi sentiamo nell’animo nostro tutto lo strazio di due mondi: l’uno che volge al tramonto fra sinistri bagliori, l’altro che sorge all’oriente nel sereno, lusinghiero sorriso dell’alba (12).

“Il nostro ideale rivoluzionario”

Sono trascorsi 120 anni dalla scomparsa di Cafiero, 140 anni dalla fondazione dell’Internazionale antiautoritaria e 148 dalla Prima Internazionale proudhoniana, ma sono sempre attuali le sue parole: Il nostro ideale rivoluzionario è l’antico ideale di tutti coloro che non vollero rassegnarsi all’oppressione ed allo sfruttamento, e si compone per noi, come per i nostri predecessori, dei due non meno antichi termini: Libertà ed Eguaglianza...Edotti dalla storia del passato, che ci mostra gli infiniti inganni, messi in opera dai reazionari di ogni specie e di ogni tempo, per diminuire, alterare e falsare il valore reale della libertà e dell’eguaglianza, cioè della rivoluzione stessa, noi ci siamo avvisati di mettere accanto all’espressione di queste due monete, tante volte falsificate, la cifra esatta del valore che esse devono realmente contenere, per essere da noi accettate per buone monete.
Ora, il valore reale della libertà e dell’eguaglianza noi lo esprimiamo con i due termini:
Anarchia e Comunismo...
La sottomissione dei nullatenenti, grande maggioranza dell’umanità, agli accaparratori delle materie di lavoro e dei mezzi di lavoro, piccola minoranza, è la causa prima di ogni oppressione e sfruttamento, di ogni ineguaglianza, dispotismo e abbrutimento umano. Rivendicare alla comunità umana le materie ed i mezzi di lavoro, sorgenti della vita di tutti, è rivendicare la libertà e l’eguaglianza di tutti gli uomini. Ma a guardia del tesoro rapitoci trovasi lo Stato con tutte le sue autorità costituite e la sua forza armata, ostacolo che dobbiamo abbattere se vogliamo mettere la mano sul nostro bene. E per conseguenza, benchè gemelli siano i due termini della nostra rivoluzione, l’anarchia è destinata per la prima ad uscire dall’alvo materno, e fare la strada al comunismo...
(13)
Questi concetti sono stati scritti sulla bandiera delle classi e dei popoli di tutto il mondo. quella delle rivolte soffocate, delle insurrezioni represse e delle rivoluzioni tradite. Su quella delle libere comunità sperimentali, delle lotte dei lavoratori per le otto ore, delle Camere del Lavoro. Su quella delle masse affamate a cui è stato dato piombo al posto del pane, sul manifesto per la liberazione della donna e su quella degli antimilitaristi. Sulla bandiera del sindacalismo di Azione Diretta e della capacità dei lavoratori di gestire direttamente la produzione e la sua distribuzione: come nei primi Soviet traditi, come in Italia nel ’20, nella Spagna del ’36. Su quella di tutti gli oppositori ad ogni forma di tirannia, della massa anonima dei lavoratori in lotta, dei resistenti, della gioventù ribelle in tutte le epoche e fino ai giorni nostri.
Il seme è stato gettato nella storia dell’umanità. E sta crescendo, qui, sotto i nostri occhi!

Franco Schirone

Note

  1. A. Angiolini, Cinquant’anni di Socialismo in Italia, Nerbini, Firenze, 1908.
  2. Vedi «Volontà», rivista anarchica bimestrale, La rivolta antiautoritaria, numero speciale per il centenario della Conferenza di Rimini, ed. RL, Pistoia, 1972.
  3. P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974.
  4. In P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974.
  5. L. Fabbri, prefazione al libro di Carlo Cafiero, Il Capitale di Carlo Marx, brevemente compendiato, con cenni biografici ed appendice di James Guillaume, seconda edizione, Firenze, Ist. Edit. “Il Pensiero”, 1913.
  6. F. Bertolucci, Carlo Cafiero. Compendio del capitale, BFS edizioni, Pisa, 2009.
  7. «Satana», Cesena, 1877, anno VI, n. 4, ora in A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947.
  8. P. Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario.
  9. R. Michels, Storia del marxismo.
  10. F. Turati, «Critica Sociale», 1892, a. II, n. 15.
  11. G. Stiavelli, «Avanti!», 19 settembre 1906.
  12. A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947.
  13. G. C. Maffei, Dossier Cafiero, Bibl. Max Nettlau editrice, Bergamo, 1972.

 

“Il principio è affermato”

di Massimo Ortalli

Una vita complessa, una finestra, un bel DVD

Pochi, come Carlo Cafiero (1846-1892), hanno saputo interpretare, tanto nella propria biografia quanto nell’immagine popolare creatasi intorno alla loro figura, lo spirito ascetico e messianico del socialismo delle origini. E pochi sono stati amati e rispettati in vita e affettuosamente ricordati da morti, come l’anarchico barlettano.
Figlio di una famiglia di possidenti, appartenente a una borghesia conservatrice e fermamente chiusa alle urgenze della nuova Italia, ribelle al ruolo, destinatogli per nascita e per censo, del proprietario insensibile alle sofferenze degli affamati “cafoni” delle sue terre, dedicò tutta la propria breve, felice e tormentata esistenza, al progetto di emancipazione morale e materiale delle plebi italiane. Fra i fondatori della Internazionale con Andrea Costa ed Errico Malatesta, figura autorevole e di riferimento per la generazione di entusiasti sostenitori della causa popolare che si affacciano sulla scena sociale dell’Italia unitaria, lo troviamo protagonista delle prime e audaci imprese degli internazionalisti italiani. Per le quali subirà, come tutti i suoi compagni, carcere e repressione.
È alla sua limpida figura che si ispira il bel documentario con il quale Ezio Aldoni e Massimo Lunardelli (Carlo Cafiero, il figlio del sole, Brescello, Studio Digit, 2011) hanno raccolto, dopo tanti anni, l’accorato appello di Pier Carlo Masini e Ugo Ronfani che già nel 1954, dalle pagine di «Cinema Nuovo» si chiedevano se mai ci fosse qualche regista interessato a portare sullo schermo la figura dell’anarchico barlettano: C’è in Italia un regista che, senza affidarsi a comode divagazioni della fantasia, voglia trarre dalla biografia di Cafiero un film che sia un quadro di quel tempo, dei cafoni del Matese, degli operai di Napoli e Milano, degli amici di Cafiero, delle donne che affollano il dramma; un film che sia una visione della nostra terra, dalla Puglia bruciata al carsico Matese? Noi vogliamo sperarlo.
Appello raccolto, dunque! E con la puntuale ricognizione dei tratti essenziali della avventurosa e incomparabile esistenza di Cafiero, i due autori ne hanno fatto riaffiorare il senso profondo, con una partecipazione emotiva ed ideale che, pur venendo naturale in chi affronti la biografia di questo straordinario interprete dell’800 italiano, ne rende ancora più interessante e coinvolgente il lavoro.
Nel documentario, recentemente presentato in una affollatissima sala di Benevento (se ne parla in un’altra parte della rivista) vengono ripercorse le principali tappe dell’esperienza politica e sociale di Cafiero, riportandoci nei luoghi dove queste si svolsero. Non si poteva iniziare, pertanto, che da Locarno dove Peter Schrembs, esponente del locale gruppo anarchico “Carlo Vanza”, mostrando i luoghi del primo, fondamentale, incontro, nel 1872 con Bakunin, riassume la storia della Baronata, la villa nella quale fu accolto il Russo, esule e ricercato dalle polizie di mezza Europa. Come si sa, le vicende legate a questa villa affacciata sul lago di Lugano, tra l’altro gravata da una sinistra fama jettatoria, se furono esaltanti per la vita della composita e cosmopolita comunità che la frequentò, lo furono molto meno per le tasche di Cafiero, che avendo messo generosamente a disposizione del russo le sue doviziose finanze (sottratte al controllo della famiglia fermamente contraria a come le disperdeva il figlio “perduto”) rimase praticamente quasi in miseria. È a Lugano, comunque, che Cafiero sposa – per permetterle di uscire dalla Russia zarista e riparare in Svizzera – Olimpia Kutusoff, la nichilista russa che, nonostante l’aspetto platonico di quel singolare matrimonio, sarà sempre e comunque vicina a colui che, in una lettera del 1883, scovata da chi scrive in un negozio di antiquariato, e riprodotta nel documentario, definisce mestamente come il “suo sfortunato marito”.
Dalla ricca Locarno, gli autori ci portano, con il commento di Vincenzo Argenio e Bruno Tomasiello, cultori locali della memoria di Cafiero e della sua compagnia di rivoluzionari, nelle povere, sperdute terre dei monti del Matese, fra la Campania e il Molise. Là dove nel 1877 Carlo, Malatesta, Ceccarelli, Papini, e un manipolo di avventurosi internazionalisti, in gran parte imolesi, marchigiani e toscani, si scontrarono con i carabinieri, abbatterono i contatori daziari posti alle macine dei mulini per la riscossione della tassa sul macinato, distrussero in un falò gli archivi comunali che conservavano memoria degli odiati balzelli e, acclamati anche dai diseredati preti locali, dichiararono decaduta la monarchia e proclamarono la Rivoluzione Sociale. Dove non dovevano più esserci schiavi e padroni, dove la proprietà privata cedeva il passo al comunismo anarchico. Ecco dunque la locanda da cui partirono, il campo nel quale si scontrarono con i carabinieri, la finestra del municipio di Letino dalla quale Malatesta rovesciò gli archivi e arringò una folla più incuriosita che partecipe, e infine la masseria sperduta nel carsico altopiano dove, circondati dal piccolo esercito inviato dal governo impressionato da tanta audacia, gli Internazionalisti si arresero, sconfitti ma consapevoli di aver dato impulso alla causa dell’emancipazione delle masse popolari. Non a caso il processo alla Banda del Matese, svoltosi a Benevento nell’agosto del 1878 e nel quale gli imputati proclamarono orgogliosamente la grandezza del progetto anarchico, li vide tutti assolti fra le acclamazioni del pubblico. Tra l’altro la lunga permanenza di Cafiero in attesa del processo nel carcere beneventano, non lo costrinse affatto all’inattività, perché fu lì che scrisse il famoso Capitale di Carlo Marx brevemente compendiato che nelle sue innumerevoli edizioni rappresentò una sorta di utile breviario per un proletariato affamato di sapere.
Dopo il Matese, Imola, un altro dei luoghi topici della tormentata esistenza di Cafiero. È nel locale manicomio, infatti, che nel 1883 la sua influente famiglia, una della più facoltose dell’intera Puglia, dopo averlo interdetto, lo farà relegare per quasi due anni, dopo che a Firenze aveva manifestato i primi segni di quella che sarà definita la sua pazzia. Qui uno dei curatori dell’Archivio Storico della Fai mostra gli spazi di quell’edificio, oggi sede della locale Asl ma allora struttura manicomiale fra le più avanzate e attente ai bisogni dei ricoverati. Felice Accame, metodologo e storico collaboratore di questa rivista, nel descrivere i cosiddetti sintomi maniacali di Cafiero, si interroga opportunamente se quella fosse veramente pazzia o non i segni evidenti del profondo turbamento di un’anima che, nel denudarsi e nel farsi abbracciare dal sole, nel creare un contatto fisico con gli elementi della natura, voleva dare corpo, finalmente, al sogno della propria completa realizzazione. Ma evidentemente, per chi lo tenne rinchiuso in manicomio lunghi anni, altro non doveva essere che un processo di psichiatrizzazione coatta.
Dal manicomio di Imola Cafiero fu trasferito, successivamente in quello meno avanzato di Nocera Inferiore, dove comunque il teorico del comunismo anarchico poteva ricevere le visite dei vecchi compagni, fra questi Amilcare Cipriani e Paolo Schicchi. Anche qui vengono mostrate le sale e le stanze che videro lo stanco trascinarsi di quest’uomo ormai vicino alla morte prematura e del quale non si poté conservare neppure la tomba, perché, come viene ricordato, il suo povero corpo fu gettato nell’ossario comune del cimitero di Nocera Superiore.
Una vita infelice, non compiuta, dunque la sua? Non si direbbe, anzi, sicuramente no! È lui stesso, infatti, che al medico che lo visita quotidianamente, spiegherà il senso della propria esistenza: Io sono felice: ho menato vita errabonda, ho sciupato un grosso capitale, mi sono ridotto a una modestissima pensione, ma sono contentissimo perché mi si è aperta la luce e ho conosciuto la ragione prima di tutte le cose esistenti. E che questa sua lucidità, nonostante le apparenze, lo abbia sempre accompagnato, lo vediamo ancora una volta proprio a Imola. Là, in quella villa nelle campagne romagnole dove, di quando in quando, una facoltosa famiglia di possidenti, attratta dalla sua figura, lo ospitava sottraendolo saltuariamente dalla vita manicomiale. Stanno tornando a piedi da Castelbolognese a Imola, gli internazionalisti imolesi che hanno celebrato, il 18 marzo1888, la Comune parigina. E sfilano, con le bandiere rosso e nere sotto i muri della villa che si affaccia sulla via Emilia. Cafiero li guarda dalla finestra e ne ricambia il saluto dicendo: Il principio è affermato. È proprio in quella parola, principio, che si compendia la figura di Carlo Cafiero. Principio come dovere morale, come impegno civile, come manifestazione della volontà, non come un arido processo materialisticamente determinato. Come ricorda Pier Carlo Masini, il sentimento d’amore di cui Carlo fu così splendido esempio.

Devo ammettere che è stato emozionante sostare proprio sotto quella finestra!

Massimo Ortalli