rivista anarchica
anno 42 n. 369
marzo 2012


lettere

 

Ricordando Piero Milesi / Quell’incontro mancato fra didjeridoo e tammorra

Nel 2007 vivevo in Australia e realizzavo, per la radio italiana, una trasmissione settimanale su Fabrizio De André. È così che, grazie a Paolo Finzi, che ci mise in contatto, nel mese di settembre di quell’anno, mi sono trovato a intervistare Piero Milesi, che conoscevo solo per la sua breve apparizione nel documentario “Faber” di Bigoni e Giuffrida e per la sua collaborazione ad Anime Salve, l’ultimo album del cantautore genovese.
La lunga chiacchierata radiofonica con Milesi aveva lasciato il segno. Piero era stato gentile. Aveva una voce pacata e raccontava con intelligenza, onestà intellettuale e schiettezza, con semplicità ma senza banalità. Era stata una bella intervista.
Alla prima occasione ho voluto conoscerlo e lui non si è tirato indietro, così ci siamo incontrati a Genova nel gennaio 2008. Di quell’incontro ho un ricordo vivissimo: della sua gentilezza, della spontaneità quasi spiazzante con cui mi accolse, quasi fossi un vecchio amico. Stava uscendo da un periodo difficile che aveva influito negativamente sulla creatività, e stava risalendo faticosamente la china con progetti nuovi e affascinanti. In uno di questi cercò di coinvolgere anche me e prima di accompagnarmi a conoscere Don Andrea Gallo, altra meta di quel mio pellegrinaggio italiano, mi parlò della sua idea, ancora molto confusa, di cercare una commistione fra la musica del Salento e il Didgeridoo, lo strumento musicale dei popoli indigeni australiani. Ci lasciammo così con la promessa di approfondire il discorso, qualora avessi trovato un artista aborigeno interessato.
All’epoca tenevo anche una rubrica settimanale per la stampa italiana d’Australia e al mio ritorno agli antipodi decisi di dedicare un pezzo all’ “Italia che resiste”, per raccontare ai lettori che il belpaese non era tutto solo nelle politiche securitarie e nei rigurgiti razzisti della Lega. C’era anche gente che lavorava per costruire un paese diverso.
Il pezzo cominciava così:

Ho fatto un viaggio nell’Italia che resiste. Quella che non si rassegna al corso degli eventi, che non crede nei comandamenti dettati dalla finanza internazionale ed è convinta che si debba continuare a cercare una strada per costruire una società giusta, aperta e tollerante. Pensando all’oscuro intreccio di interessi che si prepara ad entrare trionfante nei palazzi del potere, ho provato a trovare un po’ di conforto nei ricordi di quei volti”.

In quell’articolo raccontavo insomma dei miei incontri italiani. Descrivevo volti e speranze senza citare i nomi dei protagonisti e avevo deciso di includere anche il mio ricordo di Piero Milesi:

“Il compositore mi fissò l’appuntamento al tavolo di un bar, in via Pré. In quell’intrico di stradine dell’angiporto di Genova ‘dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi’ e che sembra ormai un suk arabo. Mi accolsero una grande chioma bianca, due occhi mansueti e un sorriso da vecchio amico. Lui, che aveva alle spalle il conservatorio e le grandi orchestre, volle parlarmi del suo incontro con la musica zingara, con virtuosi di eccezionale capacità ma del tutto sconosciuti; mi disse delle loro scale cromatiche, cercando di spiegare, a me profano, musiche dalle tonalità misteriose che sfuggono ad ogni regola d’accademia. Volle incantarmi con il fascino di un percorso musicale mai tentato prima, un incontro fra culture lontane che da millenni vivono fianco a fianco senza conoscersi. Un lavoro iniziato per curiosità artistica e poi diventato, nel clima di intolleranza che cresce in Italia, anche impegno militante, imperativo, desiderio irrinunciabile di far conoscere a tutti i grandi artisti di una cultura disprezzata ed umiliata; la voglia di urlare che i pregiudizi e le semplificazioni mortificano la nostra umanità. Sorridendo mi illustrò anche il progetto di far incontrare il didjeridoo con la tammorra, la musica salentina con quella indigena d’Australia. Lo salutai con tanti auguri per tutti i suoi sogni e chiusi il suo sorriso buono nel cassetto dei ricordi”.

Non ho mai informato Piero di questo suo breve ritratto apparso nelle edicole delle grandi metropoli australiane e me ne rammarico: credo che gli avrebbe fatto piacere sapere di essere stato incluso in quel mio personalissimo elenco di resistenti.
L’articolo si concludeva così:

“Vedo la cappa grigia e soffocante della politica e leghisti soddisfatti che lucidano gli speroni. Penso allora a quei volti, per ritrovare un po’ di speranza. Penso a tanta gente che, a dispetto di ogni ideologia di morte, continua a credere in un futuro diverso. Figure un po’ defilate, ombre, oscuri viandanti della solidarietà, sempre sullo sfondo, mai appariscenti, ma sempre presenti. Non sono la maggioranza, ma sono la speranza. L’Italia che resiste”.

Mi sembrava insomma di aver intuito che anche Piero, con le sue musiche e i suoi sogni, le sue collaborazioni e le sue idee, era un “viandante della solidarietà”, un portatore di speranza. Ora che quegli occhi mansueti riposano mi resta il cruccio di aver trascurato la vaga promessa fatta, seduto al tavolino di un bar, nella città vecchia, in quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori.
L’incontro fra didjeridoo e tammorra alla fine non c’è stato, ed è un peccato: Piero aveva le idee un po’ confuse, ma alla fine, ne sono certo, avrebbe fatto le cose per bene.

Renzo Sabatini
(Roma)

Fotografia di Giulio Spiazzi

No-tav / Assurde denunce

Carissime/i,
vi scrivo per informarvi di una vicenda assurda. All’inizio dell’anno io e altri 12 compagne/i abbiamo ricevuto un avviso di garanzia per aver preso parte a una manifestazione di solidarietà al movimento No TAV della Val Susa. A fine giugno 2011, dopo lo sgombero violento della Maddalena, c’è stato un presidio spontaneo – e assolutamente pacifico – davanti alla Prefettura di Alessandria (come sempre avviene in casi analoghi).
Non c’è stata nessuna identificazione dei presenti, e nessuno della questura è intervenuto, sicché non c’era alcuna possibilità per chi ha partecipato al presidio di sapere se la polizia fosse stata avvisata o meno. Ora, in base a un regio decreto di epoca fascista (D.R.773, art.18, anno 1931) ci viene contestato un assurdo reato "penale" (appunto, partecipazione a una manifestazione senza preavviso alla questura), in palese violazione con lo spirito – e pure la lettera – della Costituzione Repubblicana, fino a prova contraria la legge fondamentale del nostro Paese. La libertà di riunirsi, senza vincolo alcuno, e di manifestare il proprio dissenso, sono (o almeno dovrebbero essere) assolutamente garantiti. E allora che cosa è successo? Noi riteniamo di essere di fronte a un atto profondamente intimidatorio, al quale non intendiamo piegarci. Abbiamo scritto un comunicato, che vi invio di seguito, e faremo valere i nostri diritti, che poi sono diritti di tutti. Sempre convintamente solidali con tutte le popolazioni che si oppongono all’assurdo, costosissimo e inutile progetto dell’Alta Velocità.
Un abbraccio.

Giorgio Barberis
(Alessandria)

 

Ora e sempre No Tav. Leggi fasciste contro la libertà di riunione

Nei primi giorni del 2012 ci sono stati recapitati alcuni avvisi di garanzia con l’accusa di partecipazione/organizzazione di manifestazione non autorizzata. Il riferimento è al presidio davanti alla Prefettura di Alessandria svoltosi l’estate scorsa, in modo del tutto spontaneo, in seguito allo sgombero violento (27 giugno 2011) della Maddalena in Val Susa e ai duri episodi di repressione di cui sono stati fatti oggetto i valsusini in una Valle militarizzata, in quel giorno e nei giorni successivi. Presidio di solidarietà spontaneo ed improvvisato, come tanti altri che si svolgevano in quei giorni in tutta Italia.
Veniamo accusati di avere organizzato la manifestazione (o anche di avervi semplicemente partecipato!) in riferimento ad un "regio decreto" di epoca fascista (1931).
Ci si accusa di avere in quell’occasione esposto lo striscione storico dei comitati contro l’alta velocità nell’alessandrino, il Terzo Valico; di aver volantinato e scandito slogans a favore della lotta all’alta velocità ed in sostegno ai no tav valsusini, come per es. "Ora e sempre No Tav".
Gli spazi di libertà si vanno sempre più restringendo pericolosamente anche nel nostro territorio: vogliamo porlo all’attenzione di tutti.
Gli avvisi di garanzia arrivano a distanza di 6-7 mesi dal presidio ma la tempistica è molto chiara: arrivano dopo pochi giorni dall’annuncio dello stanziamento dei fondi per i lavori del Terzo Valico, tratta alta velocità Mi-Ge, e a cavallo tra le due partecipate assemblee no tav svoltesi nel tortonese di recente, occasioni in cui in tanti, provenienti da tutta la provincia, si sono ritrovati per ribadire la contrarietà ad un’opera inutile, fortemente impattante sull’ambiente e pericolosa per la salute delle popolazioni.
Un’opera ormai oggi in via di attivazione e per cui verranno spesi oltre 6 miliardi di euro, l’equivalente del taglio alle pensioni, in un momento in cui vengono imposti gravi sacrifici economici alle fasce sociali più deboli.
L’avviso è stato recapitato solo ad alcune persone, con una scelta non casuale, che mira a colpire alcune delle realtà che hanno praticato lotte sociali nel territorio negli ultimi anni: membri di comitati che hanno partecipato a lotte in difesa dell’ambiente nella nostra zona,esponenti delle realtà anarchiche della provincia, membri di Rifondazione, un operatore di una nota comunità locale, un consigliere comunale.
Lo riteniamo un gesto grave, di stampo intimidatorio ed in chiave "preventiva" per i mesi a venire ed in vista dell’avvio dei lavori.
Ribadiamo il nostro pieno sostegno alla lotta dei valsusini ed il nostro impegno sui territori in quella contro il progetto del Supertreno Milano-Genova-Terzo Valico: crediamo che esprimere il dissenso sia un diritto, ed è quello che abbiamo fatto e che faremo, insieme alle numerose realtà ed ai cittadini che non sono convinti dell’utilità di questa "Grande" opera.

I 13 colpiti dal "regio decreto" del ...1931!

Fotografia di Roberto Gimmi

Il naufragio e la guerra

“Quando ho letto che una nave stava affondando, ho pensato alla Moby Prince.
Quando ho visto le foto dei bambini, naufragati con il ciuccio in bocca, così uguali a mio figlio, mi si è stretto lo stomaco pensando al terrore dei loro genitori.
Quando un amico mi ha fatto notare che nel 2011 ci sono stati 86 naufragi, nel nostro bel Mediterraneo, con 2.551 morti, ho pensato al giorno in cui riusciremo a considerare i figli degli altri come fossero nostri figli, a sentire le storie degli altri come fossero le nostre storie.
Quel giorno soffriremo per le vittime della Costa come per le vittime delle carrette del mare. Soffriremo per le stragi in Norvegia come per le stragi in Afghanistan.
Quello sarà il giorno in cui capiremo che dobbiamo smettere di fare la guerra.”

Cecilia Strada
presidente di Emergency

 

Non uno Stato, una pluralità di agenzie

L’obiettivo che mi sono posto nel mio ultimo libro (Il dittatore libertario – Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza e sovranità share, Giappichelli, Torino 2011, pagg.) è stato quello di conciliare, per dir così, il mio anarchismo con il mio “georgismo”.
Il problema è infatti che io sono anzitutto anarchico, e cerco soluzioni nell’ambito dell’anarchismo.
Chiunque abbia un obiettivo politico, e non sia, come accade nella maggior parte dei casi, anarchico, fa presto a risolvere i propri problemi: non ci mette nulla ad affidare allo Stato un nuovo compito, e il gioco è fatto.
Per noi anarchici, invece, il problema è di più ardua soluzione, perché qualunque proposta di un anarchismo ordinato deve prescindere dall’intervento dello Stato, pena l’incorrere in una contraddizione.
Ma, si potrebbe obiettare, perché ci tieni tanto a salvaguardare la componente anarchica, a costo di rinunciare ai tuoi obiettivi?
In effetti, io sono anarchico per due ragioni fondamentali:

  1. Penso che lo Stato, oltre a essere l’istituzione di gran lunga più inefficiente conosciuta nella storia, sia anche e soprattutto contro la libertà di coscienza, perché pretende la tua adesione indipendentemente dal tuo consenso, e non ti consente di vivere secondo norme giuridiche da te liberamente scelte;
  2. Tutte le volte che ci si affidi allo Stato per risolvere qualche problema o per raggiungere qualche obiettivo, si mette in moto un meccanismo perverso, per il quale lo Stato, essendo monopolista della forza e del diritto, tende a ingrossarsi e tende a occuparsi di un numero crescente di questioni, essendo destinate al fallimento le dottrine come quelle di Nozick, o, per altro verso, di George, che vorrebbero uno Stato “minimo”, al quale affidare solo alcune competenze, nella convinzione illusoria che lo Stato non si estenderà ad altre.
D’altra parte, io sono anche georgista, dato che penso, come del resto i left-libertarians, che però non si fanno problemi con lo Stato, che ogni apprensione di Terra da parte di qualcuno costituisca non solo una sottrazione agli altri, ma anche, da libertario, una violazione della libertà negativa dei non possessori.
E allora la mia proposta è di considerare il mondo di proprietà comune (res communis e non res nullius come ritengono gli anarco-capitalisti tradizionali), con conseguente qualificazione in termini di usufrutto dei diritti reali esistenti, e con l’ulteriore conseguenza di rendere indispensabile l’assegnazione di un canone usufruttuario a vantaggio di tutti i cittadini “comunisti”, canone che io denomino rendita di esistenza, dato che essendo i “comunisti” proprietari di tutta la terra, compete loro una rendita, indipendentemente dal fatto di lavorare o no.
In effetti, in questo modo si risolverebbe anche il problema delle “lotte per il lavoro”, che sono storicamente declinanti tanto più il mondo andrà verso l’automazione. In tale prospettiva sarà sempre più difficile difendere il lavoro, e tanto più necessario rivendicare redditi distinti da un “posto di lavoro” sempre più difficile da conseguire.
Ma allora, se si tratta di distribuire a tutti una rendita (di esistenza), ci vorrà pur uno Stato che lo faccia. Ebbene, ammetto che, oggi come oggi, è difficile evitare che sia così, dato che l’anarchia non pare all’ordine del giorno. Tuttavia, se questa è una soluzione di second best, ossia subordinata a quella preferita, quest’ultima resta, come diceva Malatesta, quale “lume regolatore”, che non è fine a sé stesso, ma è lì per indicarci la strada da imboccare e per proporre un modello culturalmente coerente. Orbene, per far ciò, non ci vuole poi molta fantasia. Basta valorizzare un elemento della cultura anarco-capitalista, in particolare di David Friedman, che ci ricorda che non esiste funzione alcuna dello Stato che non possa essere esercitata in sua vece dal mercato.
In altre parole, immagino, non uno Stato, ma una pluralità di agenzie in concorrenza che effettuino i conteggi del valore di mercato degli usufrutti vigenti sulla Terra e stabiliscano il quantum della rendita di esistenza da assegnare a ognuno.
Quale sarebbe il vantaggio di queste agenzie rispetto allo Stato? Anzitutto sono prive di sovranità, e quindi non potrebbero pretendere nulla dai cittadini, che non fosse l’indicazione morale di chi sia in regola e chi no coi “pagamenti”, incidendo così sulla reputazione degli “evasori”. E poi, essendo in concorrenza e non monopolistiche, sarebbero oggetto di libera critica e soggetti a nuovi entranti.
Va sottolineato, inoltre, che la rendita non avrebbe natura teorica tributaria, dato che i tributi sono imposizioni a carico dei proprietari, mentre qui avremmo un canone a favore dei proprietari, cioè dei comproprietari comunisti, a carico di quelli che tecnicamente sarebbero non proprietari, ma usufruttuari.
Ciò detto, non voglio escludere che, nell’immediato, siffatto canone possa essere riscosso mediante la leva fiscale, a condizione che si tratti dell’ultima residua tassa a carico del cittadino, in attesa della transizione alla fase successiva, che, se non altro, è molto più intrigante non solo sul piano teorico, ma anche su quello pratico.

Fabio Massimo Nicosia
(Milano)


 

Soprattutto le periferie

Ciao compagni
vi scrivo solamente per farvi i complimenti per il vostro ottimo lavoro.
Qualche settimana fa ho preso per la prima volta (presso la libreria anarchica di Reggio Emilia) la vostra rivista. Reggio Emilia e soprattutto le periferie della città hanno veramente bisogno di una rivista come la vostra, di spazi autogestiti dove si dia spazio alla cultura, alla musica, al cinema, all'arte, all'ambientalismo e anche al dibattito politico.

Gabriele Andreana
(Castelfranco Emilia – Mo)

 

Su Kropotkin e altre dimenticanze

Qualche anno fa, in una piccola libreria sorprendentemente ben fornita di libri sulla storia dell’anarchismo, ho trovato “La grande rivoluzione (1785-1793)” di Peter Kropotkin (Mosca 1842- Mosca 1921).
Mi ero già imbattuto nel nome di Kropotkin leggendo qualche saggio di Chomsky e più recentemente nei libri di Carlo Formenti dedicati alla Rete e alle utopie post-democratiche. Mi ricordavo che era un anarchico di fine ottocento, anzi un rivoluzionario e filosofo anarco-comunista; ma altro non conoscevo.
Mi infastidiva il fatto che da laureato in filosofia non mi ricordassi quasi nulla di questo teorico, dalle posizioni per lo meno singolari. Mi sentivo un po’ come il Don Abbondio de “I Promessi Sposi“: Kropotkin, chi era costui?
È vero che al tempo dell’università, non ero particolare interessato al pensiero anarchico, ma proprio non ricordarmi nulla di questo discendente di principi russi, rivoluzionario, populista, anarchico e comunista, vegetariano antispecista, mi sembrava proprio strano. Cercando nei miei manuali di storia della filosofia (il noto “Abbagnano”), di Kropotkin, in effetti, non vi ho trovato traccia alcuna; nemmeno scorrendo i due più recenti tomi delle “Filosofie del Novecento” di Giovanni Fornero e Salvatore Tassinari. Quindi non ero stato soltanto io a dimenticarmi di Kropotkin, ma i miei stessi manuali!
Ad essere onesti, questi stessi manuali, su cui il sottoscritto e altri migliaia di studenti si erano formati, non avevano soltanto ignorato Kropotkin, ma, con l’eccezione di Stirner e Proudhon, si erano dimenticati di quasi tutte le principali varianti ed articolazioni del pensiero anarchico. Giusto per soffermarmi su un dettaglio macroscopico, la mia edizione dell’“Abbagnano” non cita nemmeno una volta Mikhail Bakunin, né William Godwin! Se a questo si aggiunge che mentre frequentavo il liceo, Craxi pubblicava alcuni improbabili articoli su Proudhon, si può immaginare quali potessero essere le mie opinioni sull’anarchismo. Inoltre, anche se ho un ottimo e vivo ricordo dei mie professori di liceo, il modo con cui venivano presentati i cosiddetti socialisti utopisti, e quindi anche Proudhon, come antesignani “utopisti” di Marx (socialista scientifico), non aiutava certo gli studenti a farsi un’idea corretta delle idee anarchiche.
Insomma, un po’ per causa mia, un po’ per motivi “oggettivi”, che sono facilmente intuibili (quanti sono, paradossalmente, i ministri dell’istruzione, dell’università e della ricerca “anarchici” o “anarco-comunisti” che vi ricordate?), mi son formato accumulando non pochi pregiudizi nei confronti dell’anarchismo. La curiosità verso Kropotkin. è nata così innanzitutto dal rendermi conto di quanto poco conoscessi e conosco della storia e delle idee del movimento anarchico.
Ora sarebbe insensato considerare Kropotkin (come Marx, Lenin, Bakunin ecc...) un Maestro da incensare. Le persone non sono Dei. Fanno delle cose, esprimono delle idee, alcune giuste, altre meno. Kropotkin, ad esempio, a proposito di scelte discutibili, nel 1914 fu favorevole alla guerra della Russia contro l’invasione tedesca, in nome della difesa delle conquiste rivoluzionarie (posizione che, in seguito, giudicò egli stesso un grave errore).
Del resto come il rivoluzionario russo scrisse in un suo fondamentale libretto propagandistico “La morale Anarchica”, l’anarchismo è riducibile a questa semplice massima, che, se pur di difficile d’attuazione (almeno per me), condivido certamente: “Non chinarsi davanti a nessuna autorità per quanto rispettata; non accettare nessun principio, finché non sia stabilito dalla ragione”.

Luca Cartolari
(Perosa Canavese – To)

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Alessandro Brilli (Vicchio – Fi) in ricordo di Giampaolo e Sisco, 20,00; Ettore Delorenzi (Lugano – Svizzera) 10,00; Piero Bertero (Cavallermaggiore – Cn) 20,00; Salvatore Pappalardo (Acireale – Ct) 20,00; Marco Burzi (Borgonovo – Pc) 20,00; Gudo Bozak (Treviso) 300,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia e Alfonso Failla, 500,00; Saverio Nicassio (Bologna) 45,00; Antonella Fornoni (Bilbo – Bizkaia, Spagna) 10,00: Alba Finzi (Milano) 15,00; Franco Bellina Agostinone (Roma) 20,00; Luigi Vivan (San Bonifacio – Vr) 10,00; Franco Vite (Monticello Amiata – Gr) 10,00; Nicola Casciano (Novara) 50,00; Romeo Muratori (Rimini) 30,00; Nicola Antonio Totaro (Conversano – Le) 5,00; Angelo Zanni (Sovere – Bg) 20,00; Gino Perrone (Brindisi Casale) ricordando il mio amico Paolo Friz, 20,00; Katia Cazzola e Tommaso Dradi (Milano) 20,00; Giancarlo Gioia (Grottammare – Ap) 35,00; Gesino Torres (Santo Spirito – Ba) 20,00; Giuseppe Anello (Roma) 100,00; Franco Melandri e Rosanna Ambrogetti (Forlì) 30,00; Rino Quartieri (Zorlesco – L0) 20,00; Ivan Franetti (Tirano – So) 20,00; Daniele Del Freo (Carrara – Ms) 20,00; Giuseppe Galzerano (Casalvelino Scalo – Sa) 30,00; Antonio Cecchi (Pisa) 55,00; Giorgio Bigongiari (Lucca) 20,00; Birgitta Schneider (Firenze) 20,00; Dino Delcaro (San Francesco al Campo – To) 20,00; Tommaso Regazzo (Pisa) 20,00; Giorgio Nanni (Lodi) 20,00; Massimo Scarfagna (Valiano – Si) 20,00; Santi Rosa (Novara) 10,00. Totale euro 1.565,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Franco Lombardi Mantovani (Brescia) 110,00; Maurizio Guastini (Carrara – Ms) 200,00; Claudio Gozzoli (Spilamberto – Mo); Gudo Bozak (Treviso); Paolo Zonzini (Borgo Maggiore – Repubblica di San Marino); Selva e Davide (Lugano – Svizzera); Claudio Stocco (Saonara – Pd); Fausto Franzoni (Pianoro – Bo); Lucio Brunetti (Campobasso); Fulvia De Michiel (Belluno); Giuseppe Gessa (Gorgonzola – Mi); Franco Cappellacci (Fano – Pu); Massimo Locatelli (Inverigo – Co): Tommaso Bressan (Forlì) 170,00; Renzo Bresciani (Campi Bisenzio – Fi); uno sconosciuto (sono incomprensibili sia il nominativo sia l'indirizzo, l'importo è di cento euro. Per favore contattaci! – n.d.r.); Fiorella Mastrandrea e Amedeo Pedrini (Brindisi); Stefano Quinto (Maserada sul Piave – Tv); Tiziano Viganò (Casatenovo – Lc) “ricordano Pier Luigi Magni e Franco Pasello. Per un mondo migliore, per l'anarchia”... Totale euro 2.030,00.