rivista anarchica
anno 41 n. 364
estate 2011


ai lettori

questA rivista

Questo numero è un altro numero un po’ speciale. Nelle sue 180 pagine trovano ospitalità quasi un centinaio di scritti, articoli, interventi, servizi fotografici, comunicati, ecc..
C’è il testo di una conferenza sull’importanza dell’ateismo, che fa un po’ a pugni con le attente riflessioni di Federico Battistutta – sparse negli ultimi numeri di “A” – sui rapporti tra anarchismo e religioni. Ci sono numerose pagine su Gaetano Bresci (in occasione dell’uscita di un libro del nostro collaboratore Massimo Ortalli) che non sono, necessariamente, “in linea” con i contributi nonviolenti che periodicamente ospitiamo. Ci sono, in questo numero, pagine e pagine “occupate” dai vegani, che rifiutano di concepire un anarchismo che non allarghi a tutti gli esseri animali quei diritti e quei comportamenti che tradizionalmente sono “riservati” agli umani e basta. “A” non è una rivista vegana, noi ostinatamente pensiamo che si possa essere anarchici senza essere vegani e non consideriamo l’antispecismo una caratteristica “obbligatoria” dell’anarchismo. Ma vogliamo prestare attenzione e spazio anche alle loro riflessioni, critiche, pratiche. Vogliamo contribuire al dibattito, vogliamo dare spazio alle diverse tendenze dell’anarchismo e delle pratiche libertarie. Non a una sola, la nostra.

Come sempre, ogni mese “buchiamo” un numero impressionante di argomenti importanti, che avremmo dovuto e ci sarebbe anche piaciuto trattare. Potremmo giustificarci dicendo che facciamo il possibile e (a tratti) anche l’impossibile.
La rivista che vorremmo proporre ai nostri lettori, mese dopo mese, è una pubblicazione che ospiti sempre più voci, argomenti, “tagli” diversi. Dove trovino spazio per esprimersi, per dibattere, per mischiarsi persone e cose le più diverse tra di loro, accomunate tutte da un comune spirito libertario, critico, sperimentale, non-dogmatico.
Non riteniamo ci sia nessuna “linea” da dare e anche se ci fosse non fa per noi. Non abbiamo verità assolute da offrire e da spacciare. A quello del propagandista, del divulgatore della verità e del propinatore di ricette sicure, preferiamo il compito, più modesto e costruttivo, di chi offre il proprio contributo di idee e di esperienze per tenere vivo e acceso un dibattito, che non può avere mai fine, nel quale si affrontino con la massima apertura mentale i problemi della trasformazione sociale – sempre a partire dalle trasformazioni di noi come singole persone, mai avulsi dal contesto sociale.
Secondo un’espressione ottocentesca in cui ci riconosciamo, noi vogliamo discutere tutto: da dio al verme.

Certamente siamo, noi di “A”, apertamente e orgogliosamente anarchici. Dato il nome e il logo che abbiamo scelto, più di 40 anni fa, per questa rivista, c’è poco da nascondersi. Apparteniamo a un pensiero, o meglio ad un insieme di “pensieri” che affonda le proprie origini ben prima della nascita stessa del movimento anarchico organizzato. Storicamente ci collochiamo nel solco della Prima Internazionale, della scelta rivoluzionaria rispetto a quella riformista del socialismo, ci consideriamo (secondo una felice definizione di Camillo Berneri) “i liberali del socialismo”, appassionati come siamo della libertà non solo come fine, ma anche e soprattutto come metodologia di vita e di lotta, qui ed oggi – e conseguentemente siamo stati nell’ambito del movimento operaio e socialista una componente in continua, accesa polemica con le tendenze autoritarie, bolsceviche, centralizzatrici di cui l’esperienza storica dei partiti comunisti è stata la massima espressione.
All’interno del variegato mondo anarchico, “A” vuole essere una tribuna aperta, con una sua identità (diciamo “malatestiana”, per farci capire) ma soprattutto con la convinzione che, se condotto con rispetto (anche formale) della dignità di tutte le componenti e di tutti i compagni, il dibattito, l’approfondimento, il confronto siano la vera linfa vitale dell’anarchismo e del movimento anarchico.
Prendiamo l’esempio recente dei referendum, tenutisi lo scorso giugno. In passato “A” ha espresso una ferma posizione, ideologicamente forte, contraria alla partecipazione ai referendum, di qualunque tipo fossero. Pur ospitando qualche parere contrastante con la “linea” della rivista, sull’argomento siamo intervenuti in passato con un taglio fortemente orientativo, militante.
In vista degli ultimi referendum, invece, abbiamo pubblicato – in giugno – un dibattito tra un referendumista e un anarchico “non so”. Abbiamo voluto fornire spunti per una riflessione (sui referendum sull’acqua, in particolare), non “schierando” la rivista ma proponendola come strumento per un approfondimento. A ciascuno, poi, le proprie scelte.
Non esiste un percorso, prefissato, per la liberazione umana e sociale. Ce ne sono tanti, tantissimi. E l’anarchismo, gli anarchismi, gli anarchici ne formano una parte, quella che a noi sta più a cuore, ma non l’unica interessante e possibile.
È solo dalla partecipazione, anche con strumenti e metodologie diverse, e spesso sperimentali, ai numerosi movimenti di lotta “dal basso” che si possono ottenere risultati. Noi anarchici, da sempre, rappresentiamo un polo critico contro il dominio e i suoi meccanismi. Ma il rapporto tra metodologie libertarie e risultati concreti, tra radicalità delle richieste e mediazione (anche istituzionale, a volte) non si risolve a chiacchiere, con rigidità ideologiche che ci relegano in un angolino. Dibattiamo, approfondiamo, sperimentiamo. Senza la spocchia di voler essere sempre “i primi della classe”. Con la convinzione nelle nostre idee, l’orgoglio di una storia alle spalle, che però non siano pretesto e scusa per pensare di avere sempre ragione, comunque.

Noi – e lo dichiariamo da tempo – guardiamo aldilà, molto aldilà dei confini (che ci paiono angusti) dell’anarchismo. Cerchiamo sistematicamente il contatto, la conoscenza, il confronto con tutte quelle persone, gruppi, organizzazioni, aggregati vari che si muovono concretamente, quotidianamente, sui terreni della liberazione umana, della pratica della solidarietà, della messa in discussione del pensiero unico. Che lo facciano a partire da questo o quel pensiero (perfino di ispirazione religiosa) ci interessa poco, perché è appunto alla concretezza, all’esperienza personale e collettiva, alla capacità di mettersi in discussione e di trasformare l’esistente che puntiamo, con un’ansia quasi spasmodica.
Sono tempi, i nostri, di necessaria riflessione e di altrettanto indispensabile operatività. Sono tempi che stringono, come sempre, più di sempre (si pensi solo alla questione delle risorse e del futuro prossimo del pianeta).
Vorremmo essere un punto di riferimento, uno dei tanti, per tutti coloro che la sentono, prima ancora di pensarla, come noi.