rivista anarchica
anno 41 n. 359
febbraio 2011


clima

Loro sulla luna noi sulla terra
testo di Orsetta Bellani
foto di Moysés Zúñiga Santiago

Lo scorso dicembre si è tenuta a Cancun la Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Il solito fallimento, mentre in un forum e in piazza si esprimevano le mille anime di chi non ci sta.

 

La Convenzione delle Nazione Unite sul Cambiamento climatico (Cop16) di Cancún si è rivelata un fallimento: non è stato trovato nessun accordo che vincoli i paesi alla riduzione delle emissioni contaminanti. Non saranno quindi evitati i devastanti effetti causati dal continuo aumento della temperatura: secondo recenti rapporti scientifici, ogni anno muoiono 300mila persone per i disastri relazionati al cambio climatico.
Il fallimento era stato annunciato già prima dell’inizio dei lavori dell’assemblea, anche dalla stessa Patricia Espinosa, presidente della COP16 e Segretaria delle Relazioni Estere messicana. Secondo alcuni analisti l’atteggiamento pessimista era in realtà una strategia volta a “preparare il terreno”: disponendo al peggio, qualsiasi accordo uscito dalla COP16 sarebbe stato considerato un trionfo. E così fu: l’esile documento, accolto dagli applausi dell’assemblea, è stato presentato all’opinione pubblica come un avanzamento nella lotta al riscaldamento climatico, anche se in realtà non procede di un solo millimetro in questa direzione.
I rappresentanti dei governi intervenuti a Cancún si erano impegnati a dare continuità agli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto, in vigore fino al 2012, che stabilisce in modo vincolante un tetto massimo alle emissioni di CO2 per 37 paesi industrializzati. Non è abbastanza se si considera che i 137 paesi che lo hanno ratificato producono solo il 55% delle emissioni di gas serra, mentre gli Stati Uniti, che da soli sono responsabili del 30% delle emissioni di CO2, l’hanno firmato ma mai ratificato.
Il documento che esce dalla Cop16 di Cancún è confuso e pieno di lacune. Sostiene ad esempio che è necessario mettersi d’accordo il prima possibile per prorogare il Protocollo di Kyoto, in modo da dare continuità agli impegni presi, ma non dice come, quando, dove, e in quali termini. Il testo ribadisce inoltre l’impegno, da parte dei paesi industrializzati, di creare un fondo per aiutare i paesi più poveri in caso di catastrofi naturali, ma non chiarisce se si tratterà di aiuti o prestiti, nè come e da chi verrà gestito. Il timore dei movimenti sociali è che il fondo venga affidato alla Banca Mondiale, che lo potrà maneggiare per imporre i suoi Piani di Aggiustamento Strutturale, concedendo cioè denaro ai paesi che ne hanno bisogno in cambio di liberalizzazioni e privatizzazioni dei settori chiave delle loro economie.

L’ambiguo ruolo di Evo Morales

Un altro punto su cui i movimenti sociali sono molto critici riguarda l’impegno preso dai governi di rafforzare i Meccanismi di Sviluppo Pulito stabiliti dal Protocollo di Kyoto, che permettono ai paesi industrializzati di continuare ad inquinare in cambio di investimenti “verdi” nei paesi del Sud del mondo. Al di là della filosofia di fondo, decisamente ipocrita, la critica viene mossa al fatto che progetti come la costruzione di centrali idroelettriche o la coltivazione di agrocombustibili vengano considerati come investimenti “verdi”. Più volte durante il Forum per la Vita, la Giustizia Ambientale e Sociale – organizzato parallelamente alla Cop16 da Via Campesina, Sindacato Messicano Elettricisti (SME) e dal Movimento di Liberazione Nazionale – si è parlato di questi progetti come di “false soluzioni”. Molti studi dimostrano infatti come in realtà contribuiscano al riscaldamento climatico, e il loro vero scopo è perciò quello di creare profitto per le imprese transnazionali.

“Contadini e contadine raffreddiamo il pianeta”, si legge sul muro all’entrata dello spazio che ospitava il Forum di Via Campesina, durante il quale sono stati presentati dati che dimostrano come il 25%-30% delle emissioni di gas serra siano causate dall‘agricoltura industriale. Quello che chiede il movimento contadino è quindi un ritorno all’agricoltura familiare e su piccola scala, e il riconoscimento da parte dei governi degli accordi della prima Conferenza Mondiale dei Popoli sul Cambio Climatico e i diritti della Madre Terra di Cochabamba, che il governo boliviano ha portato fino al tavolo negoziale. La Cop16 non ha però preso in considerazione la proposta boliviana, e il governo andino, a differenza degli altri rappresentanti dei paesi dell’ALBA non ha dato il proprio consenso all’accordo uscito da Cancún.
Alla vigilia della chiusura dei negoziati il presidente boliviano Evo Morales è intervenuto al Forum di Via Campesina. Accolto da applausi e cori, il compañero Evo ha ricordato che per contenere il riscaldamento climatico è necessario un radicale cambio sistemico: i modi di produzione e consumo del capitalismo non possono infatti che condurci alla catastrofe climatica. Morales è stato accolto come un vero e proprio eroe, ed era presente al Forum ancor prima che arrivasse in carne ed ossa: nelle parole di alcuni relatori, e nelle foto che durante la marcia di Via Campesina molti manifestanti portavano al petto.
La presenza di Morales è stata criticata dagli integranti di Anti-C@P, rete internazionale di collettivi e organizzazioni anticapitaliste, contraria al culto della persona e priva di capi o rappresentanti. “I movimenti sociali devono conservare l’orizzontalità decisionale”, ha detto Morales durante il suo discorso, dimenticando forse che il suo ruolo di Capo dello Stato si muove in parallelo ad una concezione verticistica della politica.

“Siamo qui per dire ai governi che non accettiamo le false soluzioni. L’unica soluzione è che le grandi imprese e i paesi ricchi smettano di emettere gas ad effetto serra, perché sono loro i principali responsabili della contaminazione” mi ha detto Rodolfo Chavez di CECOP – La Parota (Guerrero, Messico), che ho incontrato alla marcia di Via Campesina.
Ma sono stati loro, i paesi ricchi, a decidere le sorti dell’umanità nella COP16. Più volte durante il Forum è stato sottolineato quanto sia ironico che il luogo in cui si sono svolti i negoziati si chiamasse Moonpalace: loro sulla luna, noi sulla terra.

Orsetta Bellani