rivista anarchica
anno 40 n. 354
giugno 2010



a cura di Marco Pandin

 

 

“The venetian book of the dead”

Le musiche e le canzoni di questo cd nascono da tutta una serie di distanze e di assenze. Distanze linguistiche, geografiche e cronologiche che perdono la loro consistenza, ed assenze, soprattutto: assenze di padri e di fratelli, compagni di lavoro e di strada per ciascuna delle quali si sono prese con pazienza misure e pesi mantenendo gli occhi asciutti e trattenendo in gola le lacrime. C’è voluto tanto a portarlo a compimento perché, per avvicinarsi a questo dolore senza restarne schiacciati, bisognava valutarne con calma angoli e prospettive. Non era materia leggera: c’era da cantare di chi e per chi non poteva più farlo.
Il libro veneziano dei morti è verosimilmente “soltanto” stato messo in musica da Alessandro Monti e Kevin Hewick. Il loro lavoro creativo è stato annusare ed ascoltare l’aria separando i veleni dalle voci nel vento: le basi per i testi originali le avevano scritte da tempo, nelle diverse sfumature rosse del sangue, le vittime del Petrolchimico di Marghera. Sono testi scritti da centinaia di autori perduti, per i quali non c’è mai stata alcuna rimessa, forse per qualcuno un’elemosina postuma a titolo di risarcimento, una mano di bianco sulla coscienza di quelli che sapevano e hanno taciuto.

Alessandro Monti

Queste canzoni le hanno scritte i morti: gli uomini radioattivi, come li chiama Kevin l’inglese, che per portare a casa la pagnotta e mandare a scuola i figli si sono ritrovati costretti a maneggiare sostanze tossiche senza altra tutela per la salute che un mezzo litro di latte da ritirare a fine turno. Uomini radioattivi tenuti a bagno per anni in una salamoia di reticenze e mezze verità, prima nel posto di lavoro, poi nei corridoi degli ospedali: ecco perché queste canzoni hanno tante parole non dette, ecco la ragione di tante sillabe brevi e sottili disperse nel basso volume. Parte consistente dei testi, quella più nera e indecente, è stata ricalcata sulle perizie di parte, sui fogli bianchi candidi riempiti dalle firme svolazzanti degli avvocati del padrone, con le penne stilografiche dei medici compiacenti e coi segni delle dita sporche dei sindacalisti venduti.
Tutt’altro che una celebrazione, il cd non rivendica, non grida, non rintrona, non aggiunge rumore vuoto all’abisso di dolore dei figli, delle vedove, dei compagni, di chi è rimasto. Alessandro e Kevin si soffermano rispettosi a pensare, a riflettere, addirittura offrono con delicatezza e pietà una via d’uscita possibile. Gli scheletri in copertina, intenti a una deposizione da molti ritenuta blasfema, fanno sorridere di tenerezza in confronto all’orrore quotidiano della malattia, all’abitudine al rumore di fondo dell’angoscia. Ben altra paura è stata quella vissuta ogni giorno nel silenzio obbligatorio dei reparti di terapia intensiva, ben altra disperazione quella consumata alle lunghe attese livide nei corridoi di oncologia aspettando il turno del ciclo di chemioterapia, ben altro scandalo quello deflagrato negli appuntamenti macabri nell’aula bunker di un processo che ha inevitabilmente assolto tutti.
Chi ha la fantasia con le gambe corte immaginerà questo cd ricolmo di suoni stridenti, di macchine elettroniche che imitano la voce della fabbrica ed evocano luci artificiali, torri di raffreddamento, cancelli inutili a trattenere il pericolo. Niente di più sbagliato: queste sono canzoni, sono le prime canzoni politiche del nuovo millennio. È stato fondamentale svuotare i cassetti dell’autoreferenzialità territoriale (rabbrividisco all’idea di un prossimo futuro canzoniere sociale padano…) e aprire le finestre alla tempesta: bene quindi che a prestare voce a chi non ha voce sia un inglese di una certa importanza, uno che ha un passato, uno che avrà visto altre fabbriche sì ma le stesse nostre tragedie. Che l’inglese porti lontano e dispieghi come bandiere questi stracci sporchi, che gli permetta di raggiungere altri porti, altre teste, altri cuori. È importante che la gente, in giro, venga a sapere. Assai significativa la collaborazione di molti musicisti dell’area veneziana: impossibile non notare come le differenze di stile e di genere di ciascuno si siano dissolte in un canto urlo suono rumore frastuono comune e tutt’altro che consolatorio.
Non vi racconterò delle frustrazioni né di tutte le cose non dette che ho ritrovato qui dentro, non scriverò alcuna lista sballottato tra le onde dei ricordi e delle emozioni. Dirò soltanto che alla fine del disco c’è una struggente canzone d’amore vissuta sul filo, tra un letto d’ospedale e quella strana percezione di sé come visti dall’alto che raccontano quei pochi ritornati indietro dal coma: un’ultima carezza sulla riva prima di essere inghiottiti dal nero.
Al cd è allegato un libretto coi testi in inglese e in italiano, ed un paio di interventi poetici di Ferruccio Brugnaro e Maurizio Mattiuzza, l’uno a tenere tra le mani tremanti la disperazione all’uscita del tribunale, l’altro a volare sul cielo sopra Marghera come una rondine a cui hanno appena distrutto il nido.
Il cd è pubblicato in collaborazione tra Diplodisc, l’etichetta personale di Alessandro Monti (distribuzione Audioglobe), e stella*nera: numerose copie sono disponibili a sostegno della nostra rivista. Contatti: www.unfolkam.it.

Casamatta “Humana radio”

Questo è un cd che mette in difficoltà, è un cd che guarda dritto in faccia, che ti viene addosso, che ti affronta e costringe a reagire. Difficile, anzi impossibile ascoltarlo mentre si fa dell’altro. L’esordio dei Casamatta innesca l’effetto di un gorgo magnetico a cui bisogna arrendersi, per cui appoggi il libro che volevi leggere e ti metti a fissare gli altoparlanti che soffiano fuori gli spettri. Dapprima è polvere bianca che si raggruma in fumo, poi diventano piccoli animali (topi, per lo più) in movimento nervoso come appena prima del temporale, infine corpi immobili appoggiati su tavoli di metallo appena illuminati d’azzurro dalla luce veloce dei lampi. Non è un lavoro inquietante a gratis: è un film frutto di un montaggio paziente che ha il bagliore sottile dei ritagli televisivi notturni, ciascuna canzone un esperimento di sottrazioni progressive di sensibilità come un gioco anestetico. La sensazione forte è che sia tutto perduto, che non ci sia via di scampo, che la strada che porta a domani passi attraverso salite disperate.


Casamatta non offre nomi riconoscibili, serve un esercizio di memoria lunga per ritrovare le radici del cantante. Quel che suona il gruppo non è identificabile in un genere preciso, direi che le influenze e gli intrecci variano addirittura all’interno di ciascun pezzo. Quello che accomuna i pezzi è che tutti colpiscono senza risparmiarsi, sono tutti pesanti il giusto peso del nostro tempo eppure sono ferocemente aggrappati a ieri, come se il tempo si potesse piegare, tagliuzzare, masticare e risputare fuori. Spesso dentro a una canzone si fa un salto indietro a rivederci congelati come eravamo appena ieri, i testi sono intrecci di parole fatte con il vocabolario dei volantini ciclostilati, con gli slogan delle manifestazioni. Tante parole inutili, tante parole trasformate nei mattoni che costruiscono il nostro mondo. Sintonizzarsi su questa “Humana radio” è come riascoltare le nostre voci di un tempo: le riconosciamo, ma improvvisamente le scopriamo estranee e ci stupiamo di vederle usate come vuoto a perdere.
Dodici canzoni rubate a tutti. Rubate ai vecchi divenuti ricchi accumulando le monetine dei nostri risparmi (l’iniziale “La terenezza del lupo” sembra strappata a morsi da un demo di “The wall”) e ai vecchi rimasti poveri. Il termometro del tempo impazzisce: nel suono vibra l’aria degli anni Settanta assieme a quella degli anni Ottanta, e si resta colpiti da questo tempo che non ha più senso, da questo oggi che suona strano, da questo ieri che improvvisamente non riconosci come tuo. Potrei farvi in fretta una piantina con qualche nome di riferimento, ciascuno è perfetto e al tempo stesso sbagliato: Plasticost, Pere Ubu, Assalti Frontali… ecco, vi siete già persi. L’unico pezzo non originale del cd è una versione da brivido de “La paura del domani”, segno che Eugenio Finardi già nel 1976 aveva la vista lunga.
Non ho idea della reperibilità del cd, che suppongo non diffuso nei negozi. I curiosi si fiondino su www.casamatta.org.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

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Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

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