rivista anarchica
anno 40 n. 354
giugno 2010


comunicazione alternativa

Apologia del volantinaggio
di Cosimo Scarinzi

Lui non lo dice, ma l’autore di questa elegia del volantino ha mosso i suoi primi passi politici nella Milano del ’68-’69 per poi attraversare i decenni e ritrovarsi a Torino responsabile nazionale della CUB Scuola.
Dell’oggetto cartaceo di cui parla, ha vasta e riconosciuta esperienza.

 

È sempre stato mio fermo convincimento che un volantinaggio alla settimana e, se possibile, anche più d’uno, sia assolutamente opportuno per tenere tonici ed in forma i militanti. Apparentemente si tratta di un’attività che non richiede particolari competenze, di un mero lavoro esecutivo. Basta avere una certa prontezza, tenere i volantini in modo che non si appiccichino l’uno all’altro, porgerli non troppo lentamente né troppo velocemente e il gioco sembrerebbe fatto.
Credo però che questa relativa facilità possa trarre in inganno. Certamente basta una certa scioltezza ma per godere appieno del volantinaggio può essere utile un rapporto più strutturato con il suo svolgimento. Se posso permettermi un paragone un po’ forte, chiunque può bere del buon vino ma il pieno apprezzamento delle qualità del vino stesso richiede un percorso di apprendimento che è esso stesso fonte di piacere.
Si tratta allora di conoscere bene il percorso che porta al prodotto finito, il volantino, e quello che ne fa uno strumento volto a specifici obiettivi.
Molto schematicamente bisogna avere contezza:

  1. dell’approvvigionamento della carta che deve essere acquistata cercando un buon rapporto qualità prezzo e, se possibile, una certa qual varietà di formati e colori. È bene, a proposito di carta, smazzare bene le risme;
  2. dello stato dei macchinari che si utilizzano ognuno dei quali è adatto alla produzione di materiali di diverso formato, in quantità diverse, con caratteri diverse. L’approntamento di un parco macchinari adeguato come ben sa chi se ne occupa è un piacere in sé. A distanza di decenni ricordo ancora con affetto il mio, nel senso dell’utilizzo non della proprietà giuridica, primo ciclostile, un robusto Gestetner in dotazione, nel corso della seconda guerra mondiale, ad un reparto di SS, sequestrato da una formazione partigiana e passato prima ad una sezione del partito repubblicano e poi ad un circolo anarchico. Una macchina robusta, certo semplice rispetto a quelle attuali, capace, se ben trattata, di notevoli prestazioni;
  3. di alcuni accorgimenti grafici. Il volantino deve essere comunicativo, contenere informazioni ma non essere pesante, vedere un rapporto fra spazio stampato e spazio bianco non repulsivo, attrarre l’attenzione mediante titoli accattivanti e disegni gradevoli, creare curiosità. Detto ciò, molto dipende dal contesto. Un volantinaggio in un corteo NO TAV, solitamente, vede interlocutori curiosi e ricettivi, un volantinaggio in un mercato torinese è assai meno soddisfacente da questo punto di vista.

Esiti diversi e difficilmente verificabili

Quando il volantino è stampato ed inizia il volantinaggio capita, almeno a me, di dedicarsi ad una sorta di schematica analisi sociologica degli interlocutori. Ad esempio, rifletto sulla diversa attitudine per fascia d’età e sul fatto che i giovani tendono a prendere il volantino meno delle persone di età più avanzata, cosa certo non positiva. Osservo l’abbigliamento, l’espressione del volto, i movimenti del corpo. Di norma le persone dai tratti del viso più bonario prendono il volantino, quelli che sembrano cinghiali con le emorroidi no, quelli con un abbigliamento più modesto si, quelli con abiti più costosi no. Le eccezioni alle regole che tentiamo di definire e le sorprese sono però abbastanza numerose.
Ci si può divertire a scommettere con se stessi sul comportamento di ogni singolo passante e calcolare il tasso di risultati positivi delle previsioni. È anche interessante osservare lo stile di volantinaggio degli altri volantinatori, il loro successo o insuccesso e scambiarsi opinioni con loro.
Infine, vale la pena di ragionare sugli esiti del volantinaggio che, ovviamente, sono diversi e diversamente verificabili a seconda dei luoghi dove si svolge. È diverso il caso se si volantina in un’azienda dove si hanno interlocutori interni o in un mercato, nel primo caso la verifica è relativamente facile , nel secondo problematica.
Da sperimentare sono, a mio avviso, forme di volantinaggio integrate da musiche, affissioni di bandiere, banchetti con cibo gratuitamente distribuito, performances di gruppi teatrali ecc.. Insomma, il volantinaggio come qualsiasi attività umana può essere, nel senso letterale del termine, un’arte o una pratica sciatta e inutile. Sta a noi determinarne l’esito.
Domande del tipo: “è il volantinaggio utile?”, se poste in astratto, non conducono troppo lontano se non si valuta in maniera empiricamente approfondita l’esperienza pratico sensibile del volantinare.
Dato che mi è sostanzialmente estraneo ogni rimpianto per una presunta “autenticità“ delle relazioni intersoggettive e sono, al contrario, convinto che esse stesse siano una prassi e, per certi versi, un’azione con specifiche determinazioni dettate dal contesto storico sociale nel quale si danno, assumo come ipotesi quella che il volantinaggio vada interpretato esso stesso come azione per la relazione nel duplice senso di “atto volto a...” e “atto compiuto in sé”.

Un buon bicchiere di vino rosso

Proverò, di conseguenza, ad indicare un paio di possibili linee di sperimentazione e riflessione.
Dovendo, ad esempio, comunicare la potenza del soggetto volantinante, può essere opportuno organizzare un volantinaggio, poniamo dinanzi ad una fabbrica del settore gomma plastica del cuneese, in questo modo:

  • organizzare una robusta squadra di distributori di volantini, dagli otto ai dodici possono essere sufficienti;
  • ornare con bandiere e striscioni la zona. Non è in nostro potere garantire quest’effetto ma delle bandiere che garriscono al vento sono assolutamente suggestive;
  • accompagnare il volantinaggio con musiche adeguate. Vanno evitate canzoni troppo ideologiche in dosi da cavallo ma anche forme di corriva accondiscendenza alla moda. Un buon mix fra i vari generi non guasta.

I lavoratori uscendo sono gradevolmente colpiti dallo spettacolo, rallentano il passo – cosa assolutamente favorevole ad un ordinato e proficuo volantinaggio – smettono per qualche istante di pensare alle loro vicende personali e sono più ricettivi. Utile è la presenza fra i distributori e/o fra coloro che sortiscono dallo stabilimento di lavoratori dello stesso che diano il via a piccoli crocchi, dialogati, integrazioni alla distribuzione del volantino. Immaginiamo, invece un volantinaggio su territorio urbano su temi di carattere generale. È possibile ad esempio, oltre alle pratiche precedenti, che vanno sempre bene, installare un gazebo e/o un tavolino.
Il tavolino può essere addobbato con volantini e materiali documentari, per un verso, e con cibi e bevande per l’altro. Ciò serve a dare l’idea della convivialità, in primo luogo fra i distributori di volantini. L’interrompersi ogni tanto per bere un bicchiere di buon vino rosso, per mangiare una pizzetta o una fetta di salame, rende il volantinaggio più gradevole ma crea anche, intorno al presidio, un clima di curiosità, attenzione e, incredibili visu, partecipazione.
Si riscopre/inventa una convivialità che il territorio metropolitano ha perso con evidenti vantaggi per il volantinaggio stesso. Si attirano anche, va da sé, perdigiorno, sfigati, scrocconi ma ritengo sia un modesto prezzo da pagare.
Per parte mia apprezzo meno la partecipazione di cantanti di strada e giocolieri ma non pretendo che i miei gusti siano da considerarsi modello intrascendibile.

Cosimo Scarinzi