rivista anarchica
anno 37 n. 324
marzo 2007


lotte sociali

Il ritorno del mutuo soccorso
di Cosimo Scarinzi

 

Dai nuovi movimenti contro la Tav, il Mose, il Ponte, la base Dal Molin, una nuova dimensione comunitaria e di solidarietà.

 

Un simpatico compagno metalmeccanico, mio compaesano di sindacato, mi raccontava giorni addietro che segue la stampa ed i siti libertari utilizzando un computer aziendale grazie al fatto che l’azienda, al fine di impedire questo tipo di pratica, ha reso impossibile l’accesso a siti quale quello della “Gazzetta dello Sport” mentre non si è preoccupata di mettere un filtro contro l’accesso alla pubblicistica della nostra area.
A ben vedere, mi pare evidente che il comportamento dell’azienda è assolutamente ragionevole, da un punto di vista economico, infatti, la frequentazione di siti pornografici, finanziari, sportivi avrebbe sui ritmi di lavoro, specie il lunedì mattina, un effetto ben più devastante rispetto alla lettura, per fare un esempio, di “A Rivista Anarchica” o di “Umanità Nova”.
Gli apologeti del sabotaggio di scuola operaista potrebbero trarre da questa vicenda una conferma delle loro teorie sulla rude razza pagana e cioè su di una classe che conduce la propria lotta contro lo sfruttamento essenzialmente attraverso comportamenti non “politici” nocivi all’ordinato andamento della produzione.
Ricordo, a questo proposito, che, anni addietro, acquistai un libro, del quale ho rimosso il titolo e l’autore, che forniva una sterminata documentazione sulle pratiche di sabotaggio negli USA. Alla cinquantesima pagina, dopo la descrizione di qualche centinaio di pratiche asociali lo abbandonai alla rodente critica delle tarme sulla base della banale considerazione che su oltre cento milioni di salariati statunitensi, ma altrettanto, fatte le proporzioni si può dire per l’Italia, è ragionevole supporre che ogni giorno decine di migliaia di lavoratori pratichino piccole forme di sabotaggio per sottrarsi alla pressione del lavoro.
Questa forma di resistenza allo sfruttamento è, ovviamente, contrastata dalle aziende attraverso forme di controllo, repressione, ridefinizione delle regole di funzionamento, pressione sullo stato per imporre legislazioni che indeboliscono i diritti dei lavoratori. Può, a buona ragione, essere considerata una forma di lotta di classe che non si conosce in quanto tale.
D’altro canto, se non va sottovalutata, è ragionevole riconoscerne alcuni, evidenti, limiti. Si tratta, infatti, di forme di azione eminentemente individuali, e nell’azione individuale non vi è di per sé nulla di negativo, che, in molti casi, finiscono per determinare tensioni fra gli stessi lavoratori e che, comunque, stanno più nella classica dialettica servo signore che in quella fra classi sociali.

La campagna contro i “fannulloni”

Il sabotaggio, il boicottaggio ma, per certi versi, anche le azioni collettive come gli scioperi assumono una valenza sovvertitrice dei rapporti di forza fra dominanti e dominati nella misura in cui sono prodotti da, e producono, un legame sociale, dall’appartenenza ad una comunità che si da delle regole del gioco e che, ad esempio, pratica forme di sabotaggio e boicottaggio nocive ai dominanti ma favorevoli ai subalterni.
Questa considerazione vale, a maggior ragione, per i lavoratori impegnati nei servizi sociali, la cui resistenza allo sfruttamento si intreccia con il fatto che non si può essere, se si è una persona decente, indifferenti alla propria attività lavorativa. Penso, ad esempio, ad un’infermiera, un insegnante ma anche ad un addetto allo sportello delle poste e delle ferrovie.
In questi casi, il legame sociale è un problema non solo nel rapporto con i propri compagni di lavoro ma anche, e soprattutto, nella relazione con cittadini che, sovente, appartengono a gruppi sociali svantaggiati.
Se, infatti, un borghese può scegliere una scuola o un ospedale privati e di eccellenza, un proletario che si trovi di fronte ad una scuola sfasciata ed ad ospedale inefficiente non può che essere indotto a chiedere una maggior pressione sui lavoratori dei servizi perché garantiscano, quantomeno, un servizio accettabile.
Sono contraddizioni di non poco conto nell’azione sindacale immediata, penso ad esempio alle recenti deliberazioni del governo sull’efficienza nel settore pubblico ma hanno una valenza politica generale, per certi versi, ancora maggiore.
Noi sappiamo, infatti, sin troppo bene che l’obiettivo del governo nel lanciare la campagna contro i “fannulloni” del pubblico impiego è un taglio secco degli organici ma sappiamo anche che il governo e la stampa padronale possono costruire la loro campagna a partire da effettive caratteristiche negative di alcuni servizi pubblici, penso, per fare un solo esempio, alla recente morte di alcuni malati per ritardi nei soccorsi.
Verifichiamo, insomma, come la burocratizzazione della vita quotidiana, effetto della statalizzazione dei rapporti sociali, produca una forma storicamente nuova di atomizzazione sociale. L’individuo sociale medio, infatti, si pone, né può fare altrimenti, di fronte ai servizi come strutture sottratte al suo controllo ed alla sua partecipazione. Il settore pubblico/statale appare come, in realtà, un potere privato simile, da questo punto di vista, alle imprese.
Mi rendo conto che si tratta di questioni non facili da affrontare su di un terreno pratico/sensibile, credo, comunque, che vadano tenute presenti.
A questo proposito, mi pare che alcune mobilitazioni collettive dell’ultimo periodo, penso ai movimenti NO TAV, NO Mose, NO Ponte e, più recentemente NO Dal Molin, alle lotte dei pendolari permettano di pensare ad una sorta di mossa del cavallo e cioè alla possibilità di intrecciare il conflitto sui luoghi di lavoro con la mobilitazione territoriale su questioni precise che creano, mi scuso per la ripetizione, legame sociale, comunità, solidarietà.

Bellissima ripresa

Cito dall’“Appello alla mobilitazione del 17 febbraio: manifestazione nazionale a Vicenza. Il futuro è nelle nostre mani, difendiamo la terra per un domani senza basi di guerra”, a cura del Presidio Permanente (Vicenza):

Nonostante tutto questo a Vicenza è successo qualcosa di nuovo: Vicenza non si è arresa alle imposizioni. In questo percorso abbiamo trovato donne e uomini, studenti e anziani, lavoratori e professionisti; li abbiamo incrociati nelle mobilitazioni, abbiamo discusso con loro alle assemblee pubbliche ed ai convegni. Insieme abbiamo costruito il Presidio Permanente, un luogo attraversato da migliaia di persone in pochi giorni (…) La nostra città ha riscoperto la dimensione comunitaria e popolare, ha riattivato le reti di solidarietà che in altri contesti – per esempio a Scanzano Ionico o in Val di Susa – hanno permesso di fermare dei progetti devastanti.
Da ogni parte d’Italia ci è arrivata un immensa solidarietà, un caloroso sostegno. Manifestazioni e presidi si sono svolti in questi giorni in ogni angolo del Paese. Contro una scelta contrastata dalla comunità locale ovunque si manifesta e si discute.”.
Non credo che, necessariamente, chi ha stilato il testo dell’appello sia un rivoluzionario, probabilmente, anzi, non lo è ma il testo pone l’accento su una questione centrale quando si riferisce alla dimensione comunitaria e popolare ed alle reti di solidarietà.
Non a caso è nato, fra i nuovi movimenti, un “Patto Nazionale di Solidarietà e Mutuo Soccorso” http://www.pattomutuosoccorso.org.
La bellissima ripresa della categoria di mutuo soccorso dimostra come, dopo il ridimensionarsi, non mi illudo che sia scomparsa, della presa della sinistra statalista e, più in genere, del sistema dei partiti, sui cittadini e dei lavoratori, alcuni concetti chiave della critica libertaria al capitalismo ed allo stato non sono, per fortuna, solo patrimonio nostro.
Si tratta, credo, di assumere, con attenzione e rispetto, quest’insegnamento che ci viene dai movimenti popolari. La costruzione di un’identità collettiva, il superamento dell’atomizzazione sociale sono, infatti, per un verso una dinamica spontanea nel senso reale del termine e cioè di irruzione imprevista di pratiche e linguaggi nuovi rispetto all’istituito e, nello stesso tempo, un’attività consapevole di ridefinizione delle regole del gioco.
Ed è proprio a quest’attività che possiamo, a mio avviso, dare senza alcuna pretesa di primogenitura un contributo importante di esperienza, riflessione, proposte.

Cosimo Scarinzi