rivista anarchica
anno 37 n. 324
marzo 2007


catastrofi

Blocco del sistema
di Andrea Papi

 

A fronte delle catastrofi prossime venture, le soluzioni prospettateci appaiono interne alla stessa logica che sta producendo il disastro.

 

Quest’anno la befana ci ha fatto un dono nient’affatto gradito, da troppo tempo atteso e temuto. Dalla Commissione Europea per analizzare “il costo dell’inazione” per i cambiamenti climatici è scaturito Peseta, un catastrofico studio che scatena panico per le previsioni che ci regala. Ciò che ci dice è veramente preoccupante, anche se in realtà non è nulla di nuovo sotto il sole. Sono decenni che a ondate, sempre più ravvicinate tra loro, scienziati e ambientalisti di ogni parte del globo, a volte qualche politico, con una dovizia di dati sempre più abbondante, ci avvisano che la specie umana nel suo complesso, sta producendo lo sfascio del pianeta con sistematica tenacia, col rischio di precludere la possibilità di continuare a vivere a sé ed alle altre specie viventi. Con progressione strabiliante la nostra inarrestabile operatività sta rompendo, uno dopo l’altro, tutti gli equilibri ecologici che permettono la permanenza e il progredire della forma vita sulla terra.
Che cosa ci dice? Cose che in fondo da un bel po’ abbiamo introiettato nella loro sostanza. Ciò che le rende rilevanti non è altro che l’ufficializzazione, da parte delle forze governative in carica. Ora non è più possibile tentare di sminuirle o negarle, magari tirando fuori il solito scienziato venduto che, con dati alla mano illeggibili per la gente comune, straparla di fenomeni naturali indipendenti dall’agire umano che, innocente, può così proseguire nella sua opera devastatrice. Ora, ufficialmente, si dimostrano preoccupati e lanciano l’allarme anche i padroni delle scelte che incombono su tutti noi. Ormai anche chi conta e s’impone è costretto a dire ciò che da tempo tantissimi denunciavano inascoltati e dileggiati. C’è insomma di che stare allegri, perché neppure ora possiamo ricominciare a dormire tranquilli. Anzi!

Surriscaldamento climatico

Senza entrare nei dettagli, da Peseta emerge che i paesi del sud Europa verranno terribilmente danneggiati dal surriscaldamento del clima. Italia, Spagna e Grecia, guarda caso meno attivi nella riduzione delle emissioni nocive, saranno colpiti in modo particolare. Stante la progressione in atto, le emissioni di anidride carbonica saranno triplicate entro la fine del secolo fino a generare un surriscaldamento di tre gradi della temperatura globale.
Gli effetti di previsione dicono proporzioni angoscianti. Per la salute umana diverse decine di migliaia di morti all’anno. Per l’agricoltura uno spostamento della fertilità della terra dal sud al nord, tale che il nord Europa vedrebbe aumentare i propri raccolti in proporzione variabile dal 3 al 70 per cento, mentre al sud diminuirebbero dal 2 al 22 per cento. Molte specie animali morirebbero ed altre migrerebbero determinando squilibri incontrollabili nella catena alimentare. Il livello delle acque marine salirebbe da 22 a 96 centimetri coprendo ingenti pezzi di costa e cancellando intere zone. I danni causati dalle alluvioni potrebbero aumentare all’incirca fino al 30 o 40 per cento. Il rapporto è molto più dettagliato e mette ben in evidenza la gravità di ciò che si prospetta.
A conferma delle preoccupazioni europee, qualche settimana dopo il quarto rapporto dell’Ipcc, organismo dell’ONU per il controllo dei cambiamenti climatici. Redatto dopo il terzo del 2001, è il risultato di sei anni di lavoro di 2.500 scienziati coordinati dalle nazioni unite. Il suo verdetto è chiarissimo: il global warming, surriscaldamento climatico globale, è inequivocabile, conseguenza dell’effetto serra provocato dall’uomo, e porterà con sé conseguenze devastanti. Le ipotesi del proseguimento di un processo già in atto sono bibliche: cambieranno radicalmente le possibilità di sopravvivenza per diversi milioni di persone, ci sarà una drastica riduzione delle calotte polari entro qualche decina d’anni con conseguente innalzamento dei mari, i cicloni tropicali si estenderanno in più zone e, anche se diminuissero in quantità, aumenteranno sicuramente in intensità, ci sarà la rottura definitiva degli equilibri su cui si reggono gli ecosistemi che sono alla base della conduzione della vita. Il tracollo definitivo del sistema di sopravvivenza viene calcolato tra il 2040 e il 2080.
La catastrofe è così ormai ufficialmente annunciata e non si tratta più di voci isolate di qualche personaggio ai margini, finora accusati sistematicamente di catastrofismo. Quest’annuncio ufficiale porta però con sé qualche ordine di problemi, innanzitutto perché si limita al riconoscimento di dati di fatto, già da tempo noti, quando la situazione è troppo compromessa.
Oltre al riconoscimento c’è sostanzialmente solo l’invito ai governi e agli addetti ai lavori a limitare i danni. La commissione europea propone una riduzione delle emissioni nocive del 30% entro il 2020 e di arrivare al 50% entro il 2050. L’ONU insiste di cominciare a pensare di smettere le combustioni di petrolio e carbone, quindi di cominciare a ipotizzare fonti alternative in un tempo accettabile. Resta sottinteso che fino a quando non sarà messa in moto la macchina alternativa, ammesso che i veri responsabili prima o poi se ne convincano, tutto procederà come adesso.
Tutti sembrano d’accordo che il mondo non possa fermarsi.
Le reazioni della sponda economica sono diverse e sono strettamente legate agl’interessi specifici. Non si smentiscono mai! Mentre le grandi aziende agricole e quelle turistiche del nord Europa si preparano ad approfittare dei disastri annunciati perché prevedono uno spostamento a loro favore, le grandi industrie europee, trovando il provvidenziale appoggio di Verheugen, commissario europeo per l’industria, hanno subito cominciato a ribellarsi all’idea di dover intervenire per limitare la produzione dei loro impianti. Stizziti, chiariscono che gli interventi adombrati li porterebbero a chiudere bottega, costringendoli ad azzoppare le loro produzioni in favore dei paesi con regole ambientali meno stringenti.

Economia verde

I verdi europei di contro replicano che la green economy creerà occupazione e nuove prospettive di sviluppo, trovandosi in perfetta linea con gli americani che, un po’ più furbi dei colleghi del vecchio continente, si sono invece subito organizzati per sfruttare la nuova situazione che si prospetta. Sembra che con grande prontezza il Gotha del capitalismo mondiale, fiutati nuovi affari d’oro all’orizzonte, abbia deciso una sferzata significativa. Dieci colossi del capitalismo americano tradizionale, di quelli repubblicani da sempre per intenderci, si sono alleati con le più note associazioni ambientaliste ed hanno dato vita alla nuova lobby verde US Climate Action Partnership, al fine di premere sul governo per una decisa politica verde e per avere l’esclusiva delle nuove produzioni verdi da immettere sui mercati.
In Italia, oltre alle prevedibili pressioni di Pecoraro Scanio per scelte più ambientaliste, il ministro Padoa Schioppa ha istituito una Commissione ministeriale per la contabilità ambientale. Per la prima volta si prende ufficialmente atto dell’entità del danno potenziale da cambiamento climatico, non più solo questione ambientale, ma problema di rilevanza economica e finanziaria. Inoltre, pure prevedibile, purtroppo riprendono coraggio i partigiani del nucleare, rimanendo fedeli a calcoli di puro interesse economico.
Al contempo le reazioni dell’opinione pubblica, per ora, non sembrano mostrare la riluttanza che la cosa richiederebbe. E ciò è preoccupante, almeno dal mio punto di vista, perché mi fa intravvedere che tutto questo sfacelo imminente rischi di essere relegato lassù, delegato nelle sue soluzioni sempre agli stessi che l’hanno provocato. La notizia shock, ammesso che sia filtrata nella sua vera importanza, è stata accolta come una semplice notizia, più o meno al pari di ogni altra. Siamo diventati meri fruitori anche dei peggiori disastri. Ciò che conta ormai non è tanto ciò che avviene, ma l’astrattezza dello spettacolo, che viene digerito indipendentemente dal significato che comporta perché goduto e consumato per le emozioni che genera.
Se le nostre reazioni non fossero soprattutto indotte e condizionate, come invece di fatto sono, ci dovrebbe essere una vera e propria rivolta, perché la situazione sarebbe sanamente vissuta come del tutto inaccettabile. Invece, dopo l’emozionante fruizione mediatica, tutto torna a procedere nella più bieca e cinica normalità, di fatto “anormale” rispetto alle pulsioni e alle scadenze biologiche che dovrebbero essere collegate alla nostra natura. Sembriamo essere sovrastati da un’inconsapevole alienazione collettiva che ci rende incapaci di reagire e ci fa accettare, supini e impotenti, il senso di precario che ormai pervade ogni cosa ed ogni attimo, avvolge il presente quotidiano e distilla le prefigurazioni di un futuro implacabile sempre più buio.
Come si può vedere, tutte le reazioni e le ipotesi, cosiddette di soluzione, si muovono all’interno della stessa logica che sta producendo il disastro annunciato e riconosciuto. I decisori che hanno in mano le nostre sorti hanno cominciato a dar segni di volersi muovere non tanto perché hanno assunto il senso e la portata del problema, ma perché costretti a farlo dal suo incalzare. Solo che lo fanno con la stessa mentalità e gli stessi paradigmi con cui hanno agito fino ad oggi: limitare i danni, prepararsi a sfruttare il nuovo business, spostare la produttività nei nuovi settori che deciderà il cambiamento climatico, imbonire l’opinione pubblica per tenerla a bada e prepararla al contempo ad un futuro segnato da calcolati rischi devastanti che segnerà milioni, se non miliardi di vittime (forse in cuor suo qualcuno di loro pensa anche ad una naturale e provvidenziale soluzione del problema demografico).
Tutto ciò vanifica il problema stesso. Lo banalizza e lo riduce a qualcosa di endemico a se stesso, in una visuale puramente antropocentrica. Il problema non è sentito nella sua globale ed olistica qualità ecologica, ma come impatto inerente soprattutto le problematiche della specie umana, costretta a cominciare a rendersi conto di trovarsi danneggiata, mentre finora con sistematicità ha danneggiato tutto il resto pensando di guadagnarci e non preoccupandosi di null’altro che di se stessa. Ora sta diventando consapevole che non ci guadagna più e che il suo agire le si ritorce contro perché pur essa viene lesa. Anche di fronte a questa spiacevole evidenza non cambia però registro. Pur immersa nel disastro provocato, ragiona per rimetterci il meno possibile e, se le riesce, per fare nuovi guadagni, possibilmente succulenti e lucrosi anche più dei precedenti.
Il sistema vigente non cerca la soluzione vera, bensì cerca di risolvere se stesso. Mentre è la causa diretta ed inequivocabile del problema, invece di azzerarsi, di mettersi a nudo e ripensarsi, tenta di esorcizzare gli effetti catastrofici cui ha sottoposto l’intero globo cercando soluzioni che lo salvino. Non si pone nell’ottica vera di risolvere il problema. Alla fin fine si può affermare con forza che è insana la radice stessa del rapporto strutturale che si è impostato tra la specie e il contesto in cui finora essa ha prosperato.

E se si ricominciasse da capo?

Se realmente fossimo un minimo sani, senza pensarci tanto su bloccheremmo il sistema. Parlo di ricominciare da capo, di un vero e proprio totale azzeramento. Bisognerebbe letteralmente smettere di produrre e di fare qualsiasi cosa inquina e produce danni. Bisognerebbe fermarsi per potersi ripensare, in modo da poter ricominciare facendo ed agendo in armonia col contesto ambientale.
Ma chi l’ha detto che bisogna per forza andare avanti. Ci chiediamo seriamente dove stiamo andando? Il tanto decantato progresso sta producendo un irreversibile e allucinante regresso, che rischia di diventare irreversibile. Cosa ci vuole per capire che bisogna ripensare tutta la collocazione, simbolica concreta e immaginaria, del nostro stare al mondo? Chi se ne frega se l’economia andrebbe a pezzi. Cosa ci vuole per capire che è proprio per il bisogno di far procedere bene questa economia che stiamo facendo a pezzi ogni cosa e noi stessi? Bisogna dare un taglio netto e definitivo al paradigma antropocentrico, che finora ha dato senso alle nostre scelte e alle nostre azioni. Bisogna accettare l’idea che è diventato necessario troncare definitivamente il modo di esserci che ci ha contraddistinto fino adesso. Non c’è nulla di quello che c’è che valga fino in fondo la pena di essere salvato, se non le potenzialità inespresse della nostra umanità e della natura.
Se riusciremo ugualmente a sopravvivere, cosa di cui legittimamente si può cominciare a dubitare, le condizioni di vita saranno comunque mutate talmente tanto e in peggio che vien da dire: “Non sarebbe forse il caso di mutarle fin da ora radicalmente, anche rischiando il tracollo economico, in modo saggio e con consapevolezza delle cose, in modo da non trovarci poi totalmente nella merda?”.

Andrea Papi