rivista anarchica
anno 36 n. 322
dicembre 2006 - gennaio 2007


Dvd Zingari

Asociali e sottouomini
di Paolo Finzi

 

Quando dallo scaffale di mio fratello presi quel libro vietato…
La coscienza dei lager, la scoperta degli Zingari.

“Prendi pure i libri che vuoi, ma per ora lascia stare quello. Te lo darò più avanti” mi aveva detto mio fratello, maggiore di cinque anni. Inevitabile che proprio quel libretto edito da Feltrinelli dal titolo “Pensaci uomo” finisse di nascosto tra le mie mani. Era curato da Piero Caleffi e Albe Steiner.
Furono le foto a colpirmi, proprio quelle che mio fratello non voleva che io vedessi allora: montagne di cadaveri, di denti, di capelli, le baracche, i forni crematori, i volti sconvolti e sconvolgenti dei “musulmani” (cioè delle persone impazzite che passavano il tempo a lamentarsi, a urlare), ecc..
Ne rimasi scioccato, faticai per lungo tempo ad addormentarmi. Come invitava il titolo, ci pensai. E ci ripensai. Cominciai a leggere qualche libro trovato nella biblioteca di famiglia: “Se questo è un uomo”, “Tu passerai per il camino”, ecc.. E sentii dentro di me il dovere morale di fare qualcosa perché quelle grida e quei silenzi avessero, anche grazie a me, un’eco e una memoria.
I revisionisti vorrebbero farci credere che quelle immagini erano false, artefatte. E io, che anche per carattere sono attento a non dare mai niente per scontato e sono pronto a discutere tutto (“da dio al verme” come, ci ricordava Pier Carlo Masini, si diceva in ambito anarchico a fine Ottocento), credo di essere abbastanza aperto ad accettare il nuovo, a mettere in discussione le famose “certezze”, ecc. Ma sui lager nazisti, in particolare sull’esistenza delle camere a gas, non ci sto.
Ho letto troppe testimonianze dirette, non solo di Ebrei, ma anche di cattolici, comunisti, anarchici, omosessuali, ecc.. Ho conosciuto troppa gente, troppe persone con il numero tatuato sul braccio. L’origine ebraica della mia famiglia – infatti – la militanza socialista e antifascista dei miei genitori non solo prima e durante la Resistenza, l’impegno politico che ho respirato in famiglia fin da piccolo (tra parentesi, mia madre è prima cugina di Eugenio Curiel, militante comunista assassinato dai fascisti a Milano nel 1945), mi hanno portato in contatto fin da bambino con tanti reduci dai lager. Poco, molto poco ho sentito direttamente dalla loro voce (e solo in seguito, leggendo e meditando Primo Levi, avrei capito il perché). Ma molto ho sentito dire di loro, della loro esperienza da quelle persone – loro intime – che ne riferivano. Quei racconti si incrociavano con le letture delle testimonianze di chi avrebbe dovuto passare per il camino, ma per qualche fortuita circostanza ne era scampato. E, quasi sempre con un senso di colpa devastante, aveva potuto tornare a vivere.
La grande maggioranza di quelli che ebbi modo di conoscere erano Ebrei. Ma non tutti. Ricordo un ingegnere dell’ENI, cattolicissimo, democristiano, con il cui figlio giocai durante l’infanzia e la fanciullezza, soprattutto durante le estati trascorse a Forte dei Marmi. Era stato nei lager, ne era uscito sconvolto, con tratti maniacali che colpivano chiunque lo conoscesse. E solo chi sapeva, capiva. E poi la professoressa Arata, mitica docente di scienze al liceo Carducci nell’epoca del ’68. Una brava donna, ma anche una conservatrice, che noi giovani contestatori della scuola autoritaria ci trovavamo spesso contro. Eppure anche lei – cattolica e “anticomunista” come pochi – era stata nei lager nazisti.
Una volta avvicinatomi, proprio in quegli anni, alle idee, alla storia e al movimento degli anarchici, ho poi ritrovato, soprattutto nel ricordo dei nostri vecchi combattenti antifascisti, nuove conferme, testimonianze, pagine di orrore e di lotta. E tante altre figure si affollano nei miei ricordi.

Come gli Ebrei peggio degli Ebrei

Saltiamo ai primi anni ’90, quando prima mio figlio Elio e poi mia figlia Alba iniziano a frequentare la scuola pubblica – materna, elementare e poi media. È lì che incontro e conosco i Rom e i Sinti: bambine e bambini compagni di classe dei miei, le mediatrici culturali e poi il campo dove vivono. Stringo rapporti con alcune famiglie, dopo mesi e mesi di visite al campo ottengo il permesso di portare in giro con i miei anche un po’ dei loro. E mi ritrovo in metropolitana, al cinema, a Gardaland con frotte di scatenati bambini e di timide bambine. E, onore degli onori, riesco anche a portarli a casa mia per le feste di compleanno o altro: sono ormai passati quasi due anni dai primi approcci.
Con mia moglie dobbiamo fronteggiare quasi quotidianamente il razzismo (neanche tanto strisciante) che colpisce gli Zingari non solo da parte dei soliti fascistoni, ignoranti, leghisti, ecc.. Quanto pregiudizio, quanta chiusura anche a sinistra!
È in questo contesto, di interesse e simpatia per i piccoli Rom e Sinti e per alcune loro famiglie che, nello studiare la strana e complessa e affascinante storia degli Zingari, ho avuto modo di approfondire la persecuzione di cui sono stati oggetto nei secoli e soprattutto lo sterminio attuato con allucinante sistematicità da parte del regime nazista. E di scoprire che pure i fascisti nostrani, nel loro piccolo, neanche in questo campo sono stati degli angioletti…
La storia della persecuzione nazista contro i Rom e i Sinti ha dei tratti che paiono allucinanti anche a chi, come me, da un quarantennio ha una qualche dimestichezza con la memorialistica dei lager e con il dibattito in merito.

  • Mentre per gli Ebrei è stato possibile – in molti casi – avere una dimensione numerica dei rastrellamenti e dei successivi internamenti (per esempio, a partire dagli elenchi delle comunità israelitiche), il carattere del tutto anomalo della vita zingara (anche quando non caratterizzata dal nomadismo) ha fatto sì che gran parte di loro sia stata inghiottita dalla macchina dello sterminio nazista senza lasciar traccia, non ricostruibile nemmeno successivamente. Complessivamente si stima che nei lager nazisti siano stati eliminati circa 500.000 Zingari, provenienti in grande maggioranza dai Paesi dell’Europa Centrale.
  • Il carattere esclusivamente orale della cultura zingara, il quasi totale analfabetismo dei Rom e dei Sinti, la loro assoluta marginalità sociale hanno fatto sì – anche in questo caso – che solo nelle testimonianze dei gagè (come gli Zingari chiamano i non-Zingari) ci sia qualche traccia della loro situazione nei lager. Al punto che leggendo e rileggendo tanti libri di memorialistica, con l’occhio ora attento agli Zingari, ne ritrovo saltuariamente delle citazioni e delle tracce, piccole rare tessere di un mosaico.
  • Come ci spiega la parte iniziale del documentario “Porrajmos”, c’è una reticenza tra gli Zingari a parlare dei morti. A ciò si deve aggiungere, ben più pesante, il senso di vergogna che in genere accompagnava negli Zingari la coscienza di essere comunque detenuti, come se il lager non fosse che una nuova prigione che si aggiungeva alle altre in cui erano soliti scontare parti significative delle loro vite. Come si vergognavano della prigione, stigma della loro “asocialità”, così e ancor più si vergognavano del lager. E non ne parlavano. I pochi ormai sopravvissuti difficilmente accettano di parlarne.

Il riconoscimento negato

  • Già, l’asocialità. È dietro questo paravento che i nazisti cercarono sempre di mascherare la loro persecuzione razziale, etnica, contro gli Zingari. Aldilà delle dichiarazioni ufficiali, gli Zingari sono stati – con gli Ebrei – l’unico popolo perseguitato in quanto tale. Bollato come popolo di Üntermenschen (sottouomini), indipendentemente dal comportamento dei suoi singoli membri, hanno pagato la colpa di esistere, a prescindere… Da ciò nasce la meraviglia del padre di Hugo Höllenreimer, il Sinto tedesco di cui troviamo nel nostro Dvd la lucida testimonianza raccolta da Giovanna Boursier. Zingaro sì, ma stanziale, regolare, con famiglia, militare con un’onorata carriera al servizio della Germania. Ma, appunto, Zingaro, dunque da eliminare.
  • Quando dopo la sconfitta del nazismo, sia al processo di Norimberga sia in mille processi locali, si andarono ad analizzare strategie e “piccoli” delitti, quasi tutti d’accordo negarono che, nel caso degli Zingari, si fosse trattato di un genocidio, asserendo – sulla falsariga di quanto sostenuto dai nazisti – che gli Zingari erano stati colpiti in quanto “asociali” (nonché ladri e delinquenti abituali) – e non in quanto gruppo etnico.
  • Gli Zingari pagarono un tributo del tutto particolare, in termini percentuali, agli esperimenti pseudo-scientifici nazisti sulla resistenza in vita in condizioni estreme, bevendo solo acqua marina, passando da temperature torride a quelle glaciali, ecc. E i fratellini e i gemelli zingari erano particolarmente “cari” al boia Mengele (e questo nostro Dvd aggiunge la sobria e sconvolgente testimonianza del nostro Hugo).
  • Nessuno Zingaro è mai stato chiamato a testimoniare nei processi ai nazisti, nemmeno a Norimberga. Qui, anzi, si racconta di uno Zingaro che venne sì chiamato a testimoniare, ma appena visto il gerarca nazista suo carnefice gli saltò al collo. Risultato: l’incivile Zingaro fu condannato a 90 giorni di prigione ed espulso dal processo.
  • Anche nel processo Eichmann, nonostante la comprovata (e in parte ammessa) responsabilità dello stesso imputato nell’eliminazione sistematica, lucida e cosciente degli Zingari, lo stesso Eichmann fu assolto rispetto a questa imputazione.
  • Quando in Germania alcuni Zingari si decisero a richiedere il risarcimento per le persecuzioni subite, fu loro contestata la solita balla dell’asocialità e su questa base venne per lungo tempo negato loro qualsiasi risarcimento (en passant val la pena notare che in molti casi i funzionari statali incaricati di vagliare le richieste degli Zingari erano gli stessi che si erano “occupati” di Rom e Sinti in epoca hitleriana).

Paolo Finzi

tratto dal libretto del 2DVD+libretto “A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli Zingari”