rivista anarchica
anno 36 n. 317
maggio 2006


Cretas autogestita
di Claudio Venza

 

La Baronata pubblica una ricerca sulla collettivizzazione, durante la Rivoluzione Spagnola, nel villaggio aragonese-catalano di Cretas. Eccone la prefazione.

 

La pubblicazione in lingua italiana dell'importante e puntuale ricerca di Renato ed Encarnita Simoni sollecita una riflessione più ampia sul collettivismo agrario spagnolo del 1936-1939. Infatti il lavoro sul villaggio aragonese-catalano di Cretas (nella comarca di Valderrobres, in provincia di Teruel) permette di ripensare l'esperienza collettivista attraverso un particolare, e assai stimolante, esempio concreto. È una microstoria analitica che, come succede nei casi migliori, offre materiali validi per considerazioni su tematiche di tipo generale.
Il villaggio di Cretas è qui descritto in modo avvincente e si presenta ai lettori attenti ai dati geografici, sia fisici che umani, con una fotografia dai contorni nitidi e ben delineati. Gli autori ci fanno entrare nei problemi materiali e negli aspetti culturali dei 1.600 abitanti del villaggio negli anni Trenta, rievocando spesso un elemento caratteristico: l'insediamento si trova in pratica sul confine tra Aragona e Catalogna ed è attratto dalla cittadina catalana di Tortosa.
È la zona della Franja, una sottile striscia di territori amministrati dall'Aragona, ma con una netta connotazione linguistica affine alla Catalogna. Da questa ultima regione, con forte radicamento sindacalista e libertario, provengono le idee e le aspirazioni che saranno alla base della corta, ma intensissima, esperienza di “comunismo libertario” del 1936-38.
Come i Simoni mettono in evidenza, la gran parte degli abitanti attivi è dedita all'agricoltura, ma gli uomini che emigrano – in conseguenza di gravi crisi agrarie e in genere per periodi brevi con occupazione nell'edilizia –, vanno a Barcellona, la città più industriale dell'intera Spagna. Qui giungono anche le ragazze di Cretas che svolgono lavori domestici, quasi sempre per molti anni, nelle famiglie borghesi della metropoli.
Dalla Rosa de foc, definizione diffusa che rende omaggio alla vita ribelle e creativa della capitale, chi torna a Cretas porta nuove visioni del mondo, con nuovi valori di giustizia e di solidarietà sociale e con esperienze concrete di lotte e agitazioni.
Da qui nascono le locali strutture sindacali, motori di una vita associativa animata che coinvolge settori importanti della popolazione più povera del villaggio e suscita timori e reazioni dei ceti privilegiati.

Profonda rottura dell'equilibrio tradizionale?

La frattura nella vita del villaggio, che segnala il conflitto fra interessi di classe e tra comportamenti e morali diversi e contraddittori, è seguita in modo molto eloquente nel volume e quindi esso serve anche per verificare un tema assai rilevante nella storia delle collettivizzazioni. Sullo sfondo si ritrova perciò una questione di centrale importanza: la collettività rappresenta davvero una profonda rottura dell'equilibrio comunitario tradizionale? E tale equilibrio rappresenta il risultato di lotte interne o è piuttosto un adeguamento complessivo degli uni e degli altri in nome della coesistenza e sopravvivenza dentro il villaggio?
Occorre tener conto che i contadini poveri, e i meno frequenti braccianti, spingono per la soluzione collettivista nell'estate del 1936 per migliorare le proprie condizioni di vita ridotte a livello di pura sussistenza se non peggio.
Resta comunque il dubbio se nella Cretas autogestita (come nelle centinaia di situazioni analoghe sulle quali esiste una certa documentazione) si è verificato anche un recupero di antiche tradizioni di gestione collettiva, come suggerisce anche il vecchio, e per certi aspetti classico, lavoro di Brenan? In effetti va ricordato che, fino alla desamortización liberale del 1855, vigevano nel villaggio usi e costumi di antica origine che prevedevano l'integrazione alimentare per le categorie più affamate attraverso l'uso di terre di proprietà comunitaria: dalle libere raccolte di funghi e radici alle trappole per piccoli animali selvatici, dal recupero di rami ed alberi caduti ai fini del riscaldamento fino all'uso di terreni incolti per il pascolo o per il ricovero del mulo o dell'asino.
Anche a Cretas si rinnovano ciclicamente mobilitazioni di forza lavoro della comunità in segno di reciproca solidarietà nei periodi di maggior bisogno, ad esempio durante la raccolta delle olive.
D'altra parte esiste anche il fenomeno opposto: è diffusa una considerevole litigiosità tra i proprietari (grandi, medi e piccoli) per ragioni di spostamento di confini, di deviazione di corsi d'acqua, di furti di animali o di raccolti.
Su queste controversie si innestano lunghissimi procedimenti giudiziari, anche di durata plurigenerazionale, al termine dei quali l'oggetto stesso del contendere – la proprietà terriera –, può svanire nelle mani di avvocati, notai e giudici incaricati di seguire le estenuanti cause.
In tale ambiente rurale – dove le lunghe permanenze prevalgono sulle innovazioni, dove le forti inerzie familiari e comunitarie vincono sulle tensioni generazionali –, le collettivizzazioni, che in fin dei conti durano circa un anno, costituiscono solo un evento superficiale e circoscritto?
Sembrerebbe di sì se, com'è documentato dal presente libro, dopo l'intervento repressivo della Divisione di Enrique Lister nell'agosto del 1937, le famiglie meno motivate o più intimorite abbandonano in massa le strutture collettive e in esse rimangono solo poche decine di unità produttive.
Sembrerebbe di no se, come avviene in molte collettività rurali aragonesi, subito dopo la fase acuta della repressione violenta, la produzione autogestita riprende a funzionare poiché è l'unica forma nella quale si può realizzare un soddisfacente raccolto delle olive e dell'uva, i due principali prodotti della zona, per mandarli al fronte e nelle città affamate. Sembra di assistere ad una sorta di rivincita morale dei produttori agricoli sugli uomini militarizzati del comandante Lister, più adatti all'uso della violenza che al lavoro dei campi.
È significativo il fatto che la giustificazione della spedizione anticollettivista (che tra l'altro sottrae inevitabilmente forze alla lotta contro le truppe di Franco) si basava sull'accusa ai Comité locali di aver terrorizzato i contadini proprietari per rubare loro attrezzi e generi alimentari. Tale motivazione si è riprodotta nel corso dei decenni ed è giunta fino agli anni '70 trovando ospitalità nelle memorie di due protagonisti di primo piano dell'attacco militare. Sia Lister che il suo braccio destro Carlos Contreras (alias Vittorio Vidali, comunista abituato agli incarichi duri e delicati, nato vicino a Trieste e maturato nell'URSS stalinista) hanno rievocato la scoperta di decine di prosciutti (il famoso jamón serrano) nei magazzini collettivizzati.
Il semplice fatto di ritrovare generi alimentari nei depositi adatti alla conservazione e gestiti dalla collettività, sarebbe la dimostrazione che i contadini avrebbero subito dei soprusi violenti e delle rapine vere e proprie (Enrique Lister, Con il 5° Reggimento, Roma, Nuove edizioni romane, 1968; versione ripresa in molte occasioni pubbliche da Vidali).
Al di là degli eventi più eclatanti, va comunque ricordato che la repressione delle collettività non deriva da una semplice volontà dei comunisti filostaliniani di riprendere il controllo militare dell'Aragona dove un Consiglio di Difesa, anche se a partecipazione aperta a comunisti e socialisti, esprimeva intenti di autonomia organizzativa dal governo centrale. La ragione di fondo andrebbe invece collegata, come affermano studi antichi e recenti, all'intento delle forze conservatrici (dai repubblicani ai socialisti moderati, dai catalanisti ai comunisti ortodossi) di svuotare progressivamente la rivoluzione sociale esplosa dopo la risposta popolare che aveva bloccato il golpe del 18 luglio 1936.
Per alcune settimane l'iniziativa politica e sociale è nelle mani di chi non intende semplicemente difendere la legalità repubblicana infranta dai golpisti, ma pensa di poter realizzare un progetto più radicale che coinvolge sia le campagne che le città: i collettivisti (interni o vicini alla CNT, ma anche della UGT) gestiscono la produzione e i consumi; i miliziani (spesso appartenenti alla CNT-FAI) detengono di fatto il potere militare; una miriade di comitati e altre strutture popolari, di frequente apertamente libertari, si impegnano in una rivoluzione culturale caratterizzata dallo sforzo di superare il clericalismo, di emancipare la donna, di cancellare l'analfabetismo, di far partecipare tutta la società alla nuova cultura, anche attraverso il teatro, il cinema, la musica.
La nota “breve estate dell'anarchia” si diffonde sui due terzi del territorio spagnolo e tra i tre quarti della popolazione liberi dai generali ribelli e dai gruppi reazionari che li appoggiano.
Già nell'ottobre del 1936 l'emergenza bellica prende il sopravvento e gli scontri armati alle porte di Madrid assediata dalle truppe golpiste portano ad un terremoto politico nel campo repubblicano.
La difesa della capitale assume un valore simbolico enorme, perfino superiore a quello strategico, ed è giocata a livello internazionale dalla propaganda della Terza Internazionale, strumento diretto dell'Unione Sovietica, e più potente di quella del primo governo di coalizione antifascista diretto dal socialista Francisco Largo Caballero.
Lo stesso intervento armato delle Brigate Internazionali per soccorrere Madrid in pericolo è un “battesimo di fuoco” ampiamente propagandato, dentro e fuori della Spagna.
Viene quindi oscurato il contributo di altre formazioni di volontari antifascisti internazionali che combattevano con i miliziani già dall'agosto del 1936, quando l'esercito golpista non si era ancora ripreso dagli insuccessi di poche settimane prima.

Restaurazione statale

In tale circostanza di estrema precarietà militare e politica nasce il secondo governo di Largo Caballero al quale partecipano quattro esponenti di primo piano della CNT-FAI. Dovrebbe essere la dimostrazione della raggiunta unità antifascista e del controllo istituzionale effettivo su una situazione dove si riducono progressivamente gli spazi per le sperimentazioni sociali e politiche in nome dell'urgenza della vittoria: “Primero ganar la guerra” è lo slogan che giustifica la riduzione delle forze e delle iniziative rivoluzionarie. L'obiettivo del nuovo governo è di bloccare, con una decisa azione diplomatica, gli aiuti di importanza strategica che giungono ai generali, tra i quali si sta imponendo Franco, dall'Italia fascista e dalla Germania nazista. Anche il popolarissimo leader Buenaventura Durruti rilascia dichiarazioni che sembrano favorevoli a subordinare ogni conquista sociale allo sforzo bellico.
Questi cenni sul contesto storico generale sembrano opportuni per inquadrare l'evoluzione delle collettività rurali e industriali attraverso un processo di legalizzazione, che significa sia riconoscimento ufficiale che aumento del controllo statale, e poi di limitazioni pratiche anticipatrici di un ridimensionamento brusco e quindi, in particolare proprio nell'Aragona, di una vera e propria eliminazione manu militari.
Il protagonista di tale restaurazione del potere statale è il Partito Comunista in forte crescita numerica e di influenza. Il suo punto di forza è il controllo delle forniture degli armamenti che provengono dall'Unione Sovietica, in pratica l'unico stato a sostenere concretamente la Repubblica (insieme al debole Messico). In cambio il PCE (il PSUC in Catalogna) ottiene posti sempre più rilevanti ai vertici dell'esercito, della polizia e dell'apparato di propaganda.
Il ripristino del sistema democratico tradizionale, sia pure epurato dalle destre golpiste, è l'obiettivo che lo unisce ad altre forze repubblicane conservatrici e che lo mette in rotta di collisione con le tendenze rivoluzionarie libertarie.
Tappe intermedie sono lo scioglimento delle milizie, la costruzione di un esercito gerarchico, la creazione di un organismo di polizia e di controllo del territorio, la concentrazione del potere decisionale nelle mani del governo centrale (peraltro fuggito ai primi di novembre da Madrid e rifugiato a Valencia). In tale ambito si vara una politica economica basata sulla difesa della proprietà privata dei mezzi di produzione e sulla collaborazione interclassista in nome degli interessi nazionali e accantonando quindi ogni trasformazione profonda, riformista o rivoluzionaria, dell'assetto produttivo e sociale. Perciò le collettività sono considerate dai restauratori che stanno conquistando un ruolo egemonico perlomeno inopportune e sbagliate fino ad attribuire loro responsabilità di provocazione e di “alleate oggettive” di Franco.
Questo è il clima antirivoluzionario che monta in modo sempre più evidente a partire dall'inizio del 1937. E i quattro ministri anarchici – che avevano assunto tali cariche tra polemiche e contraccolpi interni al movimento libertario affermando di voler difendere le conquiste raggiunte sullo slancio del luglio 1936 –, appaiono progressivamente emarginati dalle leve del comando e intrappolati nei labirinti istituzionali.
I tragici fatti del maggio 1937 a Barcellona – con circa 500 morti, in buona parte anarchici e comunisti dissidenti del POUM –, segnano il momento della rottura tra le forze dell'antifascismo e portano al declino del protagonismo libertario. Se il mayo sangriento comporta l'esclusione dal nuovo governo di Juan Negrín (socialista vicino ai comunisti) della CNT-FAI, l'agosto del 1937 – con lo scioglimento forzato del Consiglio d'Aragona e delle collettività rurali della regione –, rappresenta una sorta di regolamento dei conti sul piano della tentata, e in parte realizzata, rivoluzione sociale. Nell'autunno del 1937 il potere è saldamente in mano ai repubblicani conservatori che promettono di vincere la guerra in tempi brevi ora che è quasi risolto l'ostacolo costituito da utopisti e incontrolados.
Nel microcosmo di Cretas, analizzato meticolosamente dai Simoni malgrado una certa carenza di fonti scritte, questi avvenimenti provocano il rovesciamento dei rapporti di forza. Il volume ci accompagna passo passo nelle fasi – assai istruttive e, se vogliamo, deprimenti – del ritorno all'ordine e alla supremazia dei proprietari e dei burocrati sorretti da militari disciplinati e obbedienti ai vertici governativi.
Tra gli altri indubbi meriti del presente lavoro vi è il proficuo scavo nella vita del villaggio prima, durante e dopo la collettivizzazione attraverso le fonti orali che non solo affiancano quelle scritte, ma talora le superano in efficacia. Piccoli episodi apparentemente marginali costituiscono in realtà eloquenti esempi di una mutata atmosfera, sia in un senso che nell'altro. Vorrei riprendere alcuni di quelli che si collegano alla questione, molto dibattuta anche in sede storiografica, sulla violenza rivoluzionaria iniziata il 19 luglio 1936. Vi ritrovo elementi che uno storico attento come Gabriele Ranzato (l'ultimo suo volume è quanto di più analitico sia apparso di autore italiano: L'eclissi della democrazia. La guerra civile spagnola e le sue origini 1931-1939, Torino, Bollati Boringhieri, 2004) potrebbe inserire con qualche difficoltà nella propria griglia di lettura che sembra equiparare le due parti in lotta.
Le uccisioni compiute dai repubblicani sono successive a quelle messe in atto dai sostenitori del golpe, le famiglie dei ricchi proprietari fucilati non continuano a subire particolari vessazioni, gli attacchi alle strutture ecclesiastiche si fermano abbastanza presto, il medico dalle note simpatie reazionarie è sostanzialmente tollerato. Dai racconti dei testimoni pare dominare una sorta di variabile moderatamente violenta della lotta rivoluzionaria, a parte la fase iniziale degli scontri nella settimana dopo il 19 luglio del 1936.
Un esempio è fornito da un episodio che, a quanto sembra, potrebbe rappresentare bene la “tolleranza repressiva” in vigore a Cretas per alcuni mesi. Per limitare i favoritismi del medico verso i suoi amici di destra, ai quali sta concedendo un elevato numero di ricette e di permessi, un miliziano armato si mette a fare la fila nella sala d'aspetto…
Ci si trova di fronte ad una minaccia implicita, a un messaggio chiaro e decifrabile anche se allusivo, ad un provvedimento che ha a che fare più con l'astuzia popolare che con un rigido potere istituzionale. L'evento sembra provocare oggi piuttosto un amaro sorriso che un vero e proprio terrore generalizzato e senza limiti. Sullo sfondo si nota comunque il ricordo fresco della decina di morti dei primi giorni che conferisce una credibilità non solo teatrale alla mossa del Comité rivoluzionario del villaggio. (Vale la pena di ricordare che, in ogni caso, tale livello di violenza non è paragonabile, per intensità, durata e durezza, a quello poi imposto dalle truppe dei vincitori franchisti).

Altri studi sul periodo

Questo utilissimo libro dei Simoni esce in italiano in un periodo nel quale compaiono altri studi che ruotano attorno agli stessi temi o a temi strettamente collegati. Così sulla questione della violenza rivoluzionaria e controrivoluzionaria dal 1936 al 1939 si è da qualche anno sviluppata una nuova attenzione storiografica. Sono apparse non poche ricerche che possono risultare assai adatte a quei lettori dei Simoni che volessero approfondire e allargare il campo d'interesse storico. Un esempio assai eloquente in tale ambito è il volume a più voci Víctimas de la guerra civil curato da Santos Juliá (Madrid, Temas de hoy, 1999). Il conflitto senza quartiere tra reazionari e rivoluzionari esploso con la guerra civile è adeguatamente collocato in un contesto temporale più ampio in un altro testo di riferimento, curato sempre da Santos Juliá, Violencia política en la España del siglo XX (Madrid, Taurus, 2000).
Tra i collaboratori di entrambi i volumi si trova Julián Casanova, già autore di noti studi specifici sull'Aragona rivoluzionaria e collettivista, nonché di una sintesi, densa e stimolante oltre che a tratti animata da critica malevola, delle vicende tormentate del movimento libertario degli anni Trenta: De la calle al frente. El anarcosindicalismo en España. 1931-1939 (Barcelona, Crítica, 1997). Il suo saggio nel libro curato da Juliá dedicato al Novecento porta un titolo ad effetto: “La cara oscura del anarquismo”. Esso ripercorre, con stile sicuramente efficace, la lunga sequela di scontri sanguinari tra anarchismo e Stato spagnolo dalla Prima Internazionale – proletaria e “millenarista” secondo certi storici marxisti –, alla disperata guerriglia urbana degli anni Cinquanta a Barcellona.
Altro saggista di rilievo sullo stesso argomento, ed anche lui presente nei due volumi, è Eduardo González Calleja che aveva già affrontato anche la complessa articolazione della violenza istituzionale antilibertaria: su lotte popolari e repressione statale egli ha fornito ampio materiale in lavori assai documentati quali: La razón de la fuerza. Orden público, subversión y violencia política en la España de la Restauración (1875-1917) (Madrid, CSIC, 1998) e El máuser y el sufragio. Orden público, subversión y violencia política en la crisis de la Restauración (1917-1931) (Madrid, CSIC, 1999).
Un giovane ricercatore aragonese ha da poco pubblicato la propria tesi di laurea dedicata al tema della violenza politica nella retroguardia repubblicana della provincia di Saragozza: José Luis Ledesma, Los días de llamas de la revolución (Institución “Fernando el Católico” – CSIC, Diputación de Zaragoza, Zaragoza, 2003). La tesi di fondo è che l'esplosione della lotta armata fu dovuta al collasso dello Stato seguito al golpe, che fallì nel settore orientale della provincia, e a cui seguì una rivolta sociale dei più oppressi contro i ricchi proprietari, i politici di destra, la Guardia Civil e i preti. In tale situazione la moltiplicazione dei poteri, civili e militari, porterebbe ad una miriade di conflitti per il controllo della nuova società e dei nuovi centri di comando. Il livello della repressione antifascista si abbassa con la formazione del Consejo de Aragón, un governo autonomo regionale inizialmente controllato agli anarchici, che centralizza processi e condanne riducendone il numero e la gravità.
Molto dipende, nella geografia della violenza, dalla presenza di milizie di provenienza non regionale e dall'eredità dei duri scontri di classe negli anni della Seconda Repubblica.
Ad arricchire il panorama degli studi sui villaggi aragonesi collettivizzati è apparsa, qualche anno fa, una ricca analisi redatta da due giovani di Saragozza: Javier Rodrigo Sánchez e A. Serrano Sanz, El anarquismo en Mas de las Matas. 1933-1939 (in Grupo de Estudios Masinos, “Boletín”, n. 19 (1997), pp. 365-474). Secondo i due ricercatori, che hanno lavorato su fonti scritte e orali attinenti un villaggio anch'esso in provincia di Teruel, “la memoria collettiva della collettività ha un gusto agrodolce” e ciò perché per alcuni significò un regime di paura, per altri una speranza frustrata e perché restò in molti testimoni l'immagine di conflitti politici e ideali risolti con la forza delle armi. Come pare succeda anche nel caso di Cretas (che questi autori hanno presente), per molti diseredati e poveri del villaggio la collettività significò un passo avanti in termini di miglioramento delle condizioni di vita e di senso della dignità personale e di classe, ma per la maggioranza dei piccoli proprietari, molto attaccati alla terra, questo esperimento rivoluzionario finì con l'opporsi frontalmente alle loro tradizioni, costumi e convinzioni morali. D'altra parte la situazione bellica e le trasformazioni profonde richieste dagli elementi più radicali bruciarono i tempi graduali della propaganda e della maturazione personale: invece di convincere, spesso il militante libertario si impose sull'ambiente sociale circostante.

Nella memoria popolare

Lo stesso problema è affrontato in un recentissimo volume di Josep Termes, noto specialista in storia dell'anarchismo. Egli considera uno degli scontri armati che, in Catalogna, crearono quel clima teso che sfociò nel tragico Maggio 1937 a Barcellona. Il conflitto tra collettivisti e piccoli proprietari viene esaminato in Misèria contra pobresa. Els fets de la Fatarella del gener de 1937: un exemple de resistència pagesa contra la col.lectivizació agrària durant la Guerra Civil (Catarroja-Barcelona, Editorial Afers, 2005). Nel piccolo centro rurale (poco più di 2.000 abitanti nel 1936) la produttività della terra arida era molto bassa, gli abitanti uscivano raramente dai confini municipali e il catalano era l'unica lingua usata. Qui, nella memoria popolare e nella documentazione d'archivio, la spinta verso la collettivizzazione risulta ridotta a poche decine di famiglie, le più indigenti, una piccola minoranza di fronte alle centinaia di altre “case” di residenti, per lo più coltivatori diretti e mezzadri.
Le tensioni crescono fino a sfociare in uno scontro armato fra un paio di centinaia di uomini del paese e una spedizione di cenetistas y faistas di Barcellona (forse un migliaio) che giungono a fucilare 34 abitanti del villaggio. L'arrivo della Guardias de Asalto, la polizia repubblicana, pone fine al conflitto, come succederà poi nel maggio barcellonese. Le “forze dell'ordine” ristabiliscono una sorta di pace sociale sciogliendo la collettività e dando il potere civile a rappresentanti della Esquerra Repubblicana de Catalunya, i nazionalisti progressisti che localmente si collocavano tra i nemici della collettività.
Diverse sono però le evoluzioni delle collettività in altre zone catalane, come indica anche Marciano Cárdaba in Campesinos y revolución en Cataluña. Colectividades agrarias en las comarcas de Girona, 1936-1939 (Madrid, Fundación Anselmo Lorenzo, 2002). In questa provincia, braccianti e piccoli contadini riuscirono in parte a trovare un accordo nel collettivizzare, ma le terre coinvolte erano per lo più di grandi proprietari fuggiti dopo il fallimento del golpe in Catalogna e occupavano spazi pianeggianti dov'era più facile l'uso di macchine agricole collettive. In genere furono evitati gli scontri aperti con gruppi di contadini riuniti in sindacati o partiti repubblicani conservatori.
Ritornando in Aragona va considerato con interesse il caso evocato da una storica olandese, Hanneke Willemse, Pasado compartido. Memoria de anarcosindicalistas de Albalate de Cinca. 1928-1938 (Zaragoza, Prensas Universitarias de Zaragoza, 2002). Qui le fonti orali costituiscono la base fondamentale del notevole volume centrato su un villaggio della provincia di Huesca. Questo libro valorizza, come si sta facendo con frequenza negli ultimi anni, in particolare il ruolo delle donne sia nella collettivizzazione che nell'organizzazione femminile Mujeres Libres.
Più circoscritto appare un volumetto che raccoglie la testimonianza del militante anarchico Miguel Celma, molto attivo nell'emigrazione in Francia: La collectivité de Calanda 1936-1938. La révolution sociale dans un village aragonais (Paris, Editions CNT Région parisienne, 1997). Malgrado il titolo, il libro di Francisco Simancas, anziano militante libertario, tratta brevemente del tema riportando solo dei dati su alcune esperienze in Castiglia: Colectividades (Madrid, Ediciones Libertarias, 1994).

Le “lezioni” delle collettivizzazioni

Un autore molto prolifico e impegnato, come Victor Alba, ha di recente tentato un bilancio dell'esperienza collettivista, sia agraria che rurale, con l'intento di trarne delle “lezioni” utili a quella parte dell'attuale movimento dei lavoratori orientato in senso rivoluzionario.
Il suo sforzo, uno degli ultimi, si intitola Los colectivizadores (Barcelona, Laertes, 2001) e offre una sintesi dei molti studi, confronti, dibattiti ai quali egli ha partecipato durante vari decenni di attività militante nell'area di un socialismo, a suo modo, libertario e marxista al tempo stesso. Il suo giudizio sull'esperimento collettivista è senz'altro positivo, sia come capacità di gestione dal basso della produzione, sia come accumulo di memoria operaia e contadina.
Purtroppo, egli sostiene, le collettività – negli anni Settanta definite “esempi di autogestione” –, sarebbero state vittime di un duplice ricatto: da un lato la fornitura di armi dell'Unione Sovietica comportò la subordinazione della politica repubblicana a quella di Mosca e dall'altro lato l'urgenza bellica impedì ai collettivisti di difendere le proprie conquiste con le armi. Sullo sfondo si ritrova, secondo l'anziano militante, l'errore di non aver capito che non bastava fare una rivoluzione economica ma era necessario e determinante controllare il potere politico in prima persona per evitare che i nemici delle collettivizzazioni manovrassero per indebolirle e poi per distruggerle. Victor Alba ne ricava un insegnamento di tipo generale sull'inevitabile radicalità di una rottura rivoluzionaria completa in quanto i cambiamenti parziali e limitati sarebbero destinati a venire prima isolati e poi smantellati.
Da un punto di vista meno interno alle logiche di movimento politico e più vicino alle riflessioni storiche (ma i due terreni non di rado sono intrecciati più di quanto non appaia) sembra logico affermare che l'esperienza dei collettivisti spagnoli, di cui il presente volume dei Simoni offre un esempio assai valido e stimolante, costituisce un campo con vari aspetti tuttora da esplorare.
Lavorando ancora in archivi pubblici e privati, nazionali e locali, e utilizzando pure le residue testimonianze e le memorie autobiografiche, si potrebbe intendere meglio sia l'intreccio tra fatto bellico e fatto rivoluzionario nella Spagna del 1936-1939 sia le più generali implicazioni tra storia delle teorie e delle pratiche sociali e politiche, e in particolare tra storia dell'utopia libertaria e delle sue applicazioni concrete e problematiche.

Claudio Venza

Edizioni La Baronata

Encarnita e Renato Simoni

Cretas
autogestione nella Spagna repubblicana (1936-1938)

336 pagine
Fr. 30,00/€ 20,00

Per richieste e informazioni:
Edizioni La Baronata, casella postale 22, CH-6906, Lugano.

Sito: www.anarca-bolo.ch/baronata
E-mail: baronata@anarca-bolo.ch


Leggere la Spagna ’36

A Massimo Ortalli, tra i responsabili dell'Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana, abbiamo chiesto di segnalare alcuni tra i libri usciti nell'ultimo decennio, editi da case editrici sia libertarie sia “normali”.

  • A. Font, Negras tormentas e altre storie, Rem, 2002 (libro a fumetti)
  • AA.VV. Chi c'era racconta, Milano, Zero In Condotta, 1995
  • AA.VV. Durruti 1896-1936, Milano, ZIC, 1996
  • Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola, Biblioteca Franco Serantini di Pisa – La Fiaccola di Ragusa – Zero In Condotta di Milano, 1999 e 2000, 2 volumi
  • Abel Paz, Le 30 ore di Barcellona, Carrara, Tipolitografica, 2002
  • Abel Paz, Spagna 1936 un anarchico nella rivoluzione, Lacaita, 1998
  • Ana Delso, Trecento uomini e io, Milano, Zero in Condotta, 2006
  • Anonimo, La cuoca di Durruti, Deriveapprodi, 2002
  • Antonio Tellez, Sabatè: la guerriglia urbana in Spagna, Ragusa, La Fiaccola, 2005
  • Bruno Arpaia, Tempo perso, Tropea, 1997
  • Camillo Berneri, Mussolini alla conquista delle Baleari, Casalvelino Scalo, Galzerano, 2002
  • Carlos Semprun Maura, Libertad! Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna, Milano, Elèuthera, 1996
  • E. e R. Simoni, Cretas. Autogestione nella Spagna repubblicana, Lugano, La Baronata, 2005
  • Fabio Grimaldi, Memorie di una guerra civile, Manifesto, 2003
  • Fulvio Abbate, Il ministro anarchico, Baldini Castoldi Dalai, 2004
  • Gabriel Jackson, La repubblica spagnola e la guerra civile, Saggiatore, 2003
  • George Orwell, Omaggio alla Catalogna, Milano, Mondadori, 2002
  • George Orwell, Ricordi sulla Guerra di Spagna, Datanews, 2005
  • Giannantoni e Minozzi, Il coraggio della memoria e la guerra civile spagnola, Arterigere, 2000
  • Giulia Canali, L'antifascismo italiano e la guerra civile spagnola, Manni, 2004
  • Giuseppe Galzerano, Vincenzo Perrone, Casalvelino Scalo, Galzerano, 1999
  • Ivano Tagliaferri, Il colonnello anarchico. Emilio Canzi e la guerra civile spagnola, Scritture, 2005
  • Ken Loach e J. Allen, Terra e Libertà, Gambaretti, 1995
  • Martha Ackelsberg, Mujeres Libres, Milano, Zero In Condotta, 2005
  • Mary Nash, Mujeres Libres 1936-1939, Ragusa, La Fiaccola, 1991
  • Massimiliano Ilari, La giustizia di Franco, Chieti, Centro Studi Libertari Di Sciullo, 2005
  • Mastroianni-Ortalli-Zanelli, Spagna 1936-1939, Biblioteca comunale, 1998
  • V. Roncarolo e G. Garelli, Guerra civil, L'Unità, 2004