rivista anarchica
anno 36 n. 317
maggio 2006


La breve estate catalana
intervista di Gianni Sartori a Claudio Venza

 

Conversazione con un anarchico, docente universitario a Trieste, sulla Catalogna di ieri e di oggi.

 

Viene a cadere quest'anno il settantesimo anniversario dell'inizio della Guerra Civile spagnola (per molti storici la “prova generale” della Seconda Guerra Mondiale). Questa ricorrenza e il dibattito sul nuovo Statuto della Catalogna, stanno riportando sotto i riflettori le vicende della penisola iberica. Ne abbiamo parlato con il professor Claudio Venza, docente universitario di Storia della Spagna contemporanea all'Università di Trieste, condirettore della rivista “Spagna contemporanea” e direttore responsabile di “Germinal”. Autore di numerosi saggi sui movimenti culturali e sociali della penisola iberica, attualmente sta completando un lavoro sulla presenza italiana nella Guerra Civile spagnola del 1936-'39.

Recentemente è tornata attuale la questione “nazionalitaria” in Catalogna con relativo strascico di polemiche e anche di velate minacce da parte di esponenti dell'esercito spagnolo all'indisciplinata regione. Una sua opinione in merito…

Ritengo che per comprendere questa polemica occorra contestualizzarla. La questione nazionale della Catalogna (intendendo per nazione una lingua, una cultura, una tradizione che definiscono un'identità) riporta a conflitti di più ampio respiro. Il generale José Mena Aguado che ha minacciato di far intervenire l'esercito (in quanto garante dell'unità della nazione spagnola) è un erede di quei militari, guidati da Sanjurjo, il capo della Guardia Civil, che nell'agosto 1932, a poche settimane dal riconoscimento dell'autonomia della Catalogna (all'epoca la regione più sviluppata e progressista) con l'approvazione dello Statuto da parte delle Cortes, minacciarono le istituzioni repubblicane con un tentativo di colpo di stato. I militari spagnoli sono da sempre ipercentralisti e sullo sfondo della storia della penisola iberica incombe la presenza ossessiva dell'esercito, sempre pronto a farsi “sentire”.
Anche il golpe del luglio 1936 aveva tra i suoi scopi quello di mantenere la Spagna “Una” contro le richieste autonomiste. Questo retroterra ha condizionato anche il dibattito sul nuovo Statuto per la Catalogna, un testo che andrebbe oltre i limiti di quello del 1979 e che è stato approvato da quasi il 90% dei deputati alla Generalitat catalana nel settembre 2005.
Questo conflitto emerge anche in relazioni a episodi apparentemente secondari come quello dell'archivio di Salamanca.

L'archivio della discordia

Ce ne può parlare?

I generali insorti insieme a Franco nel luglio 1936 fin dai primi giorni si resero conto che non avrebbero vinto immediatamente e che stava per iniziare una lunga guerra. I golpisti, aiutati dalla Germania nazista e dall'Italia fascista, volevano tagliare tutte le radici del “sovversivismo”, sia quello sociale (vedi la forte presenza del movimento anarchico) che quello autonomista di Baschi e Catalani. In ogni villaggio, città conquistati dalle loro truppe sequestrarono ogni documento prodotto dai “rossi”: liste di iscritti ai sindacati CNT e UGT, alle associazioni di laici, alle biblioteche popolari; si impadronirono anche dei verbali delle riunioni, comprese quelle delle collettività autogestite e dei consigli comunali quando il sindaco era considerato filorepubblicano…insomma tutto quello che testimoniava del fermento sociale organizzato contro i latifondisti, contro il militarismo, contro l'egemonia della chiesa.
Tutto il materiale veniva portato a Salamanca e l'archivio assunse una precisa funzione repressiva.
Terminata la Guerra Civile, esso divenne uno strumento della “limpieza” politica condotta dal franchismo in modo sanguinario dal 1939 in poi, soprattutto fino al 1945. Va ricordato che la Spagna, vedendo già nel 1942 che l'“Asse” cominciava a perdere la guerra, dal 1943 cominciò ad avvicinarsi al fronte degli Alleati. Naturalmente venne ricambiata. Nel dopoguerra senza gli aiuti dagli Usa (e dall'Argentina) molti spagnoli sarebbero morti di fame e il regime avrebbe corso dei rischi.

Ha svolto ricerche a Salamanca?

Personalmente ho avuto la possibilità di lavorare nell'archivio di Salamanca consultando il materiale relativo alle collettivizzazioni, alle riunioni della CNT (sindacato anarchico) e ho visto che i nomi erano stati diligentemente sottolineati in rosso, con matite dalla punta grossa. Poi interveniva la repressione nei confronti delle persone individuate. In sei anni si calcola che i giustiziati (in genere fucilati) siano stati tra i novanta e i centocinquantamila. Recentemente la Generalitat ha chiesto la restituzione della parte di archivio riguardante la Catalogna e Zapatero ha riconosciuto questo diritto. Da parte sua il sindaco di Salamanca (esponente del PP di Aznar) ha cercato di boicottare l'invio delle prime 500 (anzi 499) casse, contenenti solo documenti relativi alla Generalitat, che hanno dovuto essere trasferite di notte, quasi di nascosto.
In questo caso il centralismo franchista è riemerso sotto la foglia di fico dell'“unità” del materiale d'archivio (hanno detto che non lo volevano “smembrare”), anche se ai nostri giorni il materiale cartaceo in originale non è indispensabile per la ricerca storica (fotocopie, microfilm…). In realtà si vuole impedire la ricostituzione degli archivi catalani da parte di chi nega il diritto all'autonomia. A mio avviso se il braccio di ferro fra autonomismo e centralismo dovesse continuare troppo a lungo in futuro una parte degli attuali autonomisti potrebbe diventare apertamente indipendentista.

Ultimo scritto di Camillo Berneri prima di essere assassinato dagli stalinisti a Barcellona - 1937

Lei ha una profonda conoscenza della realtà catalana. Dovendo individuare alcune caratteristiche culturali del popolo catalano che cosa metterebbe in evidenza?

Quello della identità è un terreno complicato e scivoloso. È facile cadere nelle generalizzazioni e nella costruzione di stereotipi folcloristici. Per quanto riguarda la mia esperienza (ambiente universitario, ricercatori, movimenti popolari…) direi innanzitutto che è tuttora diffuso il bilinguismo e che la maggior parte usa indistintamente il catalano e il castigliano. Forse tra i più giovani prevale ormai il catalano, almeno a livello scolastico e istituzionale. Ho tenuto diverse lezioni all'Università, usando il castigliano e in passato non c'erano problemi. Ultimamente mi sembra che ci sia qualche difficoltà. Dai trenta anni in su comunque prevale il bilinguismo.
Mi riferisco soprattutto a Barcellona, la realtà che conosco maggiormente, insieme a Gerona e Lerida. Aggiungo che personalmente tendo a considerare la “questione catalana” all'interno di una cornice spagnola.

Ha notato un'atmosfera più “europea” a Barcellona?

Un altro elemento (ma sempre senza generalizzare), soprattutto nel passato, potrebbe essere la maggiore apertura culturale, la sensibilità verso la cultura internazionale, l'interesse per quello che accadeva nelle capitali europee, soprattutto a Parigi (anche per la presenza a Barcellona di una consistente comunità francese).
Non va dimenticato che la Catalogna era la regione più sviluppata economicamente. Qui agli inizi dell'800 sono sorte le prime industrie tessili, in ritardo rispetto alla Gran Bretagna, ma in anticipo rispetto alla Spagna. L'industria si sviluppò poi, a fine ottocento, nei Paesi Baschi e solo negli anni sessanta e settanta del secolo scorso nel resto della penisola iberica. Ma nell'800 Barcellona, oltre che di commercianti, operai e industriali era anche una città di artisti. Migliaia di artisti, in genere squattrinati, che costituivano un vero strato di intellettuali poveri (pittori, architetti, decoratori, poeti, letterati…), bohemien spesso sconosciuti che però contribuirono immensamente allo sviluppo culturale di questa città.

C'è altro?

Direi che lo spirito commerciale (quelli di Barcellona venivano chiamati “fenici”) e poi industriale ha contraddistinto la mentalità catalana, determinando un'etica del lavoro e del risparmio che emerge anche nei discorsi quotidiani, nelle scelte di vita della gente. È uno “stile di vita” distinto da quello castigliano che è invece alla base della colonizzazione dell'America Latina, a partire dal Cinquecento. Tra gli spagnoli più dinamici il prestigio veniva affidato alle imprese coloniali, alla guerra di conquista, all'evangelizzazione (in genere forzata) degli indigeni più che al duro lavoro quotidiano e al risparmio. Il processo di evangelizzazione in simbiosi con la colonizzazione ha riguardato poco i catalani che si dedicavano soprattutto a migliorare il loro territorio e i rapporti mediterranei. Questo si può collegare ad un esplicito e diffuso laicismo, ad una vera e propria diffidenza nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche, considerate spesso retaggio di un passato oscurantista. Anche perché la chiesa sostenne, a partire dal 1833, i gruppi carlisti, fautori di un sistema politico teocratico.
Altro elemento significativo è l'antimilitarismo. Numerosissimi i “non-sottomessi” (obiettori totali) e gli obiettori di coscienza, molti di più di quanti accettavano di vestire la divisa. Ciò accadeva anche perché l'esercito veniva, e viene, percepito come centralista, emanazione del potere di Madrid. È significativo che i vertici dell'esercito costringano ancora i soldati, ormai “volontari”, ad usare solo il castigliano.
L'ideale pacifista è molto diffuso: a Barcellona milioni di persone hanno manifestato per settimane contro la guerra in Iraq.

Francesco Barbieri, anarchico italiano
arrestato e ucciso dagli stalinisti assieme
a Camillo Berneri

Il crollo dello stato repubblicano

Risale a settanta anni fa l'inizio della Guerra Civile spagnola. La forte presenza del movimento anarchico in Catalogna stroncò sul nascere l'operato dei militari golpisti. Cosa può dirci in proposito?

A metà luglio del 1936 c'è il golpe militare contro la Repubblica (e contro il separatismo di baschi e catalani) che interrompe un processo di apertura, modernizzazione (v. in ambito scolastico) della società spagnola.
Ai golpisti rispondono debolmente il governo legittimo e l'esercito lealista, ma si oppone soprattutto il protagonismo popolare, vicino alla CNT e alla FAI.
Lo stato repubblicano crolla e la vita si riorganizza su altre basi, soprattutto a Barcellona, a Valencia, anche a Madrid… dovunque sia presente un forte sindacato anarchico, ma anche uno socialista. Diverso è il discorso di Bilbao dove è più forte l'UGT e prevale su tutto la questione dell'autonomia.
A Saragozza e Siviglia trionfano i militari golpisti e scatta una dura repressione.
Nel territorio rimasto fedele alla Repubblica i settori privilegiati della società (alleati di Franco) scappano o vengono neutralizzati. In quel momento Barcellona (chiamata la “Rosa de foc”) ha un milione di abitanti; è una città colta, vicina agli standard europei. Ma è anche il centro dell'anarcosindacalismo europeo, forse mondiale. Qui l'anarchismo è operaio, mentre in Andalusia è rurale. Si sviluppa la prospettiva di una nuova società; da sempre nei circoli della CNT si discuteva di valori universali, di solidarietà internazionale, non solo di salario. La componente libertaria vince nelle strade, sulle barricate contro i golpisti, con la perdita di militanti preziosi (come Francisco Ascaso); ma quella che nelle intenzioni dell'esercito si doveva risolvere con una sfilata per la Diagonal barcellonese non riesce. Si rovescia la situazione e la classe operaia anarchica batte i militari. Non era successo in Germania e nemmeno in Italia, dove c'era un forte movimento sindacale. Ma in Spagna c'era l'abitudine al conflitto anche violento, all'azione diretta in sintonia con gli scioperi generali.
Dovrà riconoscerlo anche il presidente della Generalitat Lluis Companys, esponente dell'ERC (Esquerra Republicana de Catalunya. N.d.R.) e avvocato che talvolta aveva difeso anche militanti anarchici.

Luis Romero, Garcìa Oliver, José Peirats… hanno raccontato con molta efficacia dell'incontro tra Companys e i “capi” anarchici; l'episodio viene riportato anche da H.M. Enzensberger in “La breve estate dell'anarchia”… Cosa decidono gli anarchici?

Per ragioni di opportunità politiche CNT e FAI decidono di non spodestare il governo catalano. Companys riconosce la loro egemonia, ma gli viene detto di restare.
Si crea un Comitato delle Milizie Antifasciste, una sorte di potere parallelo che organizza in modo orizzontale, volontario le forze popolari. Sono le formazioni che partiranno subito per combattere a Saragozza, in Aragona…

Qual era l'ideologia dei golpisti?

Potremmo definirli “nazionalcattolici”. L'ideologia di base del franchismo (o meglio: i valori di riferimento) sarà questa identificazione degli interessi nazionali con quelli della Chiesa. Sostanzialmente è l'ideologia della CEDA (Confederación Española de Derechas Autonomas. N.d.R.), destra cattolica reazionaria, anche se l'aspetto ufficiale sarà quello della Falange, più filofascista, e del corporativismo, ad imitazione del sistema italiano.

Cosa succede in Catalogna dopo la sconfitta del tentativo golpista? Come si organizzano le masse popolari e quelle libertarie in particolare?

Nel Comitato (denominato “Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste) il ruolo dirigente spetta agli anarchici che collaborano con i socialisti e il neonato PSUC, a egemonia comunista. Ma oltre alle milizie ha inizio l'autogestione produttiva, le collettivizzazioni, soprattutto nelle medie e piccole industrie, oltre ai servizi pubblici. Assemblee e comitati degli operai decidono di farsi carico della produzione.
Quello che resta delle influenze clericali viene emarginato. Nei conventi e nelle chiese si insediano gli “atenei libertari”.
In quel momento Barcellona è il cuore delle tendenze rivoluzionarie rappresentate dalla CNT, dalla FAI, dal POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista, piccolo partito comunista antistalinista. N.d.R.) e da molte organizzazioni spontanee che ruotano attorno alla volontà di fondare una nuova società, alla sperimentazione sociale. È interessante leggere i resoconti di viaggiatori e inviati dei giornali di mezzo mondo, sorpresi dal clima rivoluzionario della città catalana. Nei ristoranti non si paga, i trasporti sono gratuiti, un clima di rapporti umani che sembra quello vagheggiato dai teorici dell'anarchismo…

Buenaventura Durruti, anarchico e
comandante militare durante
la rivoluzione spagnola

In difesa della proprietà privata

Aveva prima accennato al PSUC…

Il PSUC (Partit Socialista Unificat de Catalunya, con un Comitato Centrale autonomo rispetto al PCE) nasce dopo il 19 luglio 1936 dall'unificazione tra alcuni partitini comunisti (Partit Comunista de Catalunya e Partit Català Proletari) con la Federaciò Catalana del PSOE. La leadership è indubbiamente degli stalinisti. Ottenne il riconoscimento della Terza Internazionale, un caso raro dato che veniva riconosciuto un solo partito comunista per ogni stato. Evidentemente Stalin stava seguendo con attenzione quanto avveniva in Catalogna. In poche settimane il PSUC cresce di proporzioni, grazie alla propaganda, al fatto di essere rappresentante dell'URSS. Quando arrivano a Barcellona le navi con le armi cresce il consenso verso la Russia che le manda (insieme a consiglieri militari, esponenti politici, agenti della polizia segreta). Anche se può sembrare paradossale l'altra “gamba” che favorisce la crescita del PSUC è la “difesa della proprietà privata”, contro le collettivizzazioni.

Cioè?

Lo scopo dichiarato dagli stalinisti è quello di mantenere i legami con la piccola e media borghesia per vincere la guerra. Quindi sostengono la repressione contro i movimenti rivoluzionari che porterebbero confusione, che “oggettivamente” farebbero il gioco dei fascisti. Il PSUC restaura il concetto di disciplina militare e politica; considera la battaglia in atto puro scontro militare tra eserciti. Le milizie, dopo essere state abbondantemente calunniate, vengono sciolte e si creano reparti militari, con precise gerarchie e in cui non si discute. I combattenti vengono a trovarsi in condizione di inferiorità rispetto agli ufficiali. È il cosiddetto Esercito Popolare. Sulle masse popolari, controllate dai vertici, si impone una determinata visione della lotta contro il fascismo. Anche polizia e propaganda vengono controllate dal PSUC. In perfetta sintonia con la politica del PCE: ricostruire stato ed esercito e difendere la proprietà privata.
In questo il PSUC ha anche l'appoggio di alcuni settori catalanisti che collaborano nella restaurazione.

Ma le collettivizzazioni non avevano funzionato?

Operai e contadini avevano dimostrato di essere in grado di far funzionare l'economia. Probabilmente le collettivizzazioni risultavano più praticabili in ambito rurale, da parte dei contadini. Nelle fabbriche non erano molti i tecnici disponibili. Ma numerosi studi sui trasporti, l'elettricità, l'edilizia, anche sulle fabbriche meccaniche…hanno dovuto riconoscere che l'esperimento aveva funzionato. In compenso la distruzione nell'agosto 1937 delle collettività rurali aragonesi (opera di Lister) metterà in crisi l'approvvigionamento anche dei combattenti.
Nel ‘36 ci sono due visioni conflittuali (una libertaria e l'altra autoritaria, per restare su una distinzione classica) in merito alla riorganizzazione sociale.

C'era comunque il problema di una situazione di guerra…

La guerra dura troppo per un'esperienza libertaria. Anche rifiutando la riorganizzazione dell'esercito restava sempre il problema dell'efficienza. La produzione doveva essere indirizzata verso armi, munizioni…non poteva privilegiare i “beni sociali”. Nel corso del tempo la guerra trasforma lo spirito iniziale e anche alcuni libertari finiscono per giustificare scelte discutibili da un punto di vista rivoluzionario antistatale. Quello di Bakunin contro Marx, per intenderci. Nel settembre 1936 la CNT partecipa al governo catalano e dopo due mesi quattro militanti anarchici entrano come ministri nel governo di Largo Caballero. Federica Montseny, diventa ministro della Sanità, una delle prime donne in Europa. Qui si occupa di pratiche contraccettive, di aiuto all'autogestione della maternità…
Il nuovo ministro della Giustizia è Juan Garcìa Oliver, ex assaltatore di banche; potremmo definirlo un “tecnico”…
Un altro è Peirò, operaio del vetro, considerato un “moderato” all'interno della CNT, che diventa ministro dell'Industria. Con la sconfitta della repubblica si rifugiò in Francia, ma poi venne catturato dai nazisti e riconsegnato a Franco (come Companys). Venne torturato affinché entrasse a far parte del sindacato verticale, franchista. Rifiutò e venne fucilato nel 1942.

Un aspetto importante della Guerra Civile spagnola è quello degli interventi stranieri, Brigate Internazionali da una parte e nazi-fascisti dall'altra…

A metà ottobre erano state costituite le Brigate Internazionali, a tre mesi di distanza dal golpe. Ma le prime settimane erano state decisive; all'inizio tre quarti della popolazione della penisola iberica non erano ancora controllati dai golpisti. A fine luglio Franco ottiene l'aiuto di Mussolini e quasi subito anche dei nazisti. L'Italia invia nel complesso 80 mila uomini, divisioni corazzate, aviazione, navi e sommergibili (da cui verranno lanciati siluri contro le navi russe che portavano armi alla Repubblica).
L'intervento italiano del CTV (Corpo Truppe Volontarie, anche se di “volontario” c'era poco) peserà moltissimo. Tutti sanno dei Tedeschi che bombardarono a tappeto, con bombe incendiarie, Guernica facendo un migliaio di morti. Ma si preferisce ignorare che l'aviazione italiana causò circa tremila morti solo a Barcellona.

Una delle figure più note di questo periodo è il grande rivoluzionario anarchico Buenaventura Durruti…

Ai primi di novembre 1936, Durruti viene invitato a lasciare il fronte aragonese, ad egemonia libertaria, per andare a Madrid (che sta per capitolare) con la sua colonna di qualche migliaio di miliziani.
Arriva dopo un viaggio massacrante e va subito a combattere. Muore quasi immediatamente, probabilmente per un suo errore (scese dall'auto con il colpo in canna, stando a quanto narra Abel Paz). Era il 20 novembre 1936, lo stesso giorno in cui veniva fucilato dai repubblicani ad Alicante José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange.
Secondo molti autori la morte di Durruti rappresenta un evento molto significativo. Esso dimostra che ormai la spinta iniziale deve fare i conti con la logica bellica, oltre che con lo stalinismo.
Le prime avvisaglie dei contrasti armati tra anarchici e stalinisti alleati dei catalanisti si registrano in alcuni villaggi della Catalogna nel gennaio del 1937. È significativo che già nel febbraio dello stesso anno la “Pravda” scriva che contro i “trotzkisti” e gli anarchici verrà usato il pugno di ferro, come in Russia. È un'anticipazione del maggio '37.

Federica Montseny, anarchica e ministro
della Sanità nel governo di Largo Caballero

Il ruolo non secondario di Vidali

Cosa avviene nel maggio 1937?

Il Primo Maggio a Barcellona non ci sono manifestazioni. Dopo alcuni giorni un gruppo di poliziotti, guidati da un membro del PSUC, va all'assalto della Centrale telefonica occupata dagli anarchici. Era un esempio classico di “doppio potere”: chiunque avesse voluto parlare con la Generalitat doveva prima passare per gli anarchici, anche (come avvenne) il presidente Manuel Azaña. È noto l'episodio del telefonista che gli aveva chiesto chi fosse. Ovviamente Azaña rispose di essere il Presidente della Repubblica, ma si sentì rispondere:”Questo è ciò che tu credi”. Era un potere di fatto che interrompeva il controllo statale. L'intervento della pattuglia di poliziotti provoca una vera battaglia sui vari piani della centrale e una rivolta nei quartieri proletari, contro lo strapotere degli stalinisti, minoritari ma ben organizzati. Da un lato anarchici e POUM, dall'altro PSUC e alcuni catalanisti. Gli stalinisti attaccarono il piccolo POUM, accusandolo di trotzkismo e di essere una “quinta colonna” al soldo dei franchisti (curioso che Trotzki accusasse gli anarchici di essere la “quinta ruota” della borghesia, N.d.A.).
Contro la CNT-FAI la tattica del PSUC doveva essere più sottile. Togliatti, per esempio, elogiava la base operaia della CNT mentre attaccava i dirigenti per i loro “errori e ambizioni”. Non potevano ovviamente dire che la CNT, con due milioni di iscritti e centinaia di migliaia di combattenti, era “al soldo dei franchisti”. Un inciso: in quel momento l'iscrizione al sindacato era obbligatoria, ma anche prima, nel 1933-34, gli iscritti erano un milione e 400 mila, a fronte di poche migliaia di comunisti.
Il maggio 1937 di Barcellona si può considerare una “guerra civile nella guerra civile”. Vi furono circa cinquecento morti, in maggioranza libertari.

Morirono anche anarchici italiani?

Il più noto è sicuramente Camillo Berneri, intellettuale anarchico, direttore di “Guerra di classe”, sequestrato ed eliminato dagli stalinisti. L'incertezza regnò per una settimana. Il Comitato di difesa dei quartieri che aveva eretto le barricate, viene fermato dai vertici della CNT. Gli anarchici italiani presenti hanno raccontato varie volte che alla caserma “Spartaco”, dove gli anarchici avevano già puntato i cannoni contro la caserma “Karl Marx” in mano agli stalinisti, dovettero intervenire di persona Oliver e Montseny. Poi da Valencia (dove si era trasferito il governo repubblicano nel novembre 1936) arrivarono 5000 guardie d'assalto che ripresero il controllo. Venne arrestato anche il dirigente del POUM Andrés Nin (poi torturato e assassinato) e alcune centinaia di anarchici. È probabile che in questa operazione (chiamata operazione “Nikolai”) abbia avuto un ruolo non secondario il comunista triestino Vittorio Vidali. Invece un altro triestino, l'anarchico Umberto Tommasini, raccontava di essere stato arrestato dalla polizia stalinista, mentre stava iniziando un'azione contro le navi fasciste italiane e di essersi salvato soltanto grazie alle proteste della CNT.

Le giornate di Barcellona furono decisive per il campo repubblicano. Si può dire che da quel momento termina la fase rivoluzionaria?

Questa resa dei conti mette il movimento anarchico di fronte ad una scelta molto delicata; militarmente avrebbero potuto sconfiggere gli stalinisti, almeno a Barcellona, ma non vollero farlo. Contro di loro ci sarebbe stata una repressione diretta dallo stesso governo repubblicano. Accettarono quindi lo scioglimento dei Comitati di Difesa dei quartieri operai e anche il fatto che centinaia di militanti libertari fossero arrestati. Largo Caballero si dimise, non volendo portare a termine la repressione contro quelli del POUM (accusati di essere “agenti di Franco”) senza prove. Probabilmente gli agenti stalinisti che avevano sequestrato Nin pensavano di estorcere una “confessione” con la tortura, ma il piano evidentemente andò male e Nin venne assassinato. Intanto ai suoi compagni che scrivevano sui muri di Barcellona: “¿Donde está Nin?”, gli stalinisti, con macabro umorismo, rispondevano “Está en Burgos o en Berlín” (Burgos era la capitale del governo di Franco). Invece il cadavere del “desaparecido” era stato occultato nei pressi di Alcalà de Henares. Recentemente sono stati recuperati i resti di un cadavere che potrebbe essere il suo.
Si ebbe quindi un consistente ridimensionamento del protagonismo rivoluzionario e un rafforzamento dello stato in cui i comunisti controllavano molte strutture di potere. Queste lotte intestine, a prescindere dalle responsabilità, finirono indubbiamente per indebolire la resistenza alle truppe franchiste. Ad ogni modo nella sconfitta repubblicana svolse un ruolo preponderante l'appoggio nazifascista.

Gianni Sartori