|    Sentirsi 
                  soli  
                Vivo una realtà triste. Fatta di abusi e soprusi . La 
                  violenza legalizzata di uno stato cialtrone incapace di garantire 
                  le massime libertà degli individui. Sempre meno cultura, 
                  sempre più cinismo e finzioni. Apparire più che 
                  essere. Immagini bombardano il nostro cervello ipnotizzandolo 
                  e schiavizzandolo. Alienano i nostri pensieri. Sostituiscono 
                  la innata voglia di libertà e di autodeterminazione con 
                  stereotipi di uomini larva. Un tempo, nei totalitarismi, c’erano 
                  persone che preparavano rivoluzioni. La società annichiliva 
                  ma le individualità prendevano coscienza di quanto fosse 
                  importante la libertà personale.  
                  Oggi la libertà è divenuta, ingiustamente, sinonimo 
                  di democrazia, ma così non è. Il sistema attuale 
                  è peggiore di qualsiasi altro sistema totalitario perché 
                  le persone credono di vivere in massima libertà ma ciò 
                  che è colpito e dove si colpisce è nell’inconscio. 
                  Ora siamo su una giostra fatta di milioni di luci e colori, 
                  chiaramente artificiali, che stordiscono l’istinto e la 
                  capacità di ragionamento ma dietro la giostra si nasconde 
                  una realtà fatta di annichilimento. Oggi basta un videocitofonino 
                  per sentirsi felici e realizzati. Su quella giostra gli uomini 
                  stanno annichilendo. Ci danno consigli, tutti ci dicono quale 
                  è la migliore cosa da fare e quando farla. Il telegiornale 
                  nasconde notizie ma ci rammenta la tavola, il cibo, il calcio 
                  e le piccole beghe. L’economia va a braccetto con la politica. 
                  E noi povere larve siamo pronti a scendere in piazza solo per 
                  girotondi e società calcistiche.  
                  Abbiamo avuto 50 anni di democrazia cristiana, di televisione 
                  Pippobaudista. Ora abbiamo una seconda repubblica di banane 
                  per noi scimmie da laboratorio. Abbiamo una cultura generalista 
                  superficiale di parte, finto buonista e finto terzomondista. 
                   
                  Siamo creditori, e questo è incredibile, rispetto ai 
                  popoli del terzo mondo, dopo che abbiamo spazzato via la loro 
                  cultura, le loro risorse e la loro dignità di individui. 
                  Non basta un altro millennio per ripagare loro dei torti subiti. 
                   
                  L’Italia ha dimenticato di essere stata terra di cultura. 
                  Siamo schiavi di multinazionali. Le aziende italiane cercano 
                  di divenire, senza avere né l’esperienza necessaria 
                  né la storia, multinazionali, tralasciando quello che 
                  un tempo era la nostra forza, l’originalità e la 
                  passione. Ci stanno imponendo modelli, complici i nostri dittatori. 
                  Gruppi di potere economico si danno battaglia per la leadership 
                  del paese.  
                  Le prossime elezioni saranno l’ennesima farsa. Un vecchio 
                  imprenditore egocentrico e pazzoide al cospetto di un vecchio 
                  democristiano manager di azienda pubblica poi svenduta.  
                  A scuola nessuno ci ha insegnato la vera essenza del novecento. 
                  La vera essenza dell’individuo. Il novecento poteva essere 
                  il secolo in cui si poteva affermare una società anarchica, 
                  invece proprio per questo timore non è stata data questa 
                  possibilità. Il feto è morto. Ci hanno imposto 
                  guerre e xenofobie. Ci hanno inculcato la paura dell’altro, 
                  e per altro intendo individuo, cosi da spingerci ad un sistema 
                  democratico che ci consentisse di sentirci sicuri. Hanno ucciso 
                  uomini di libertà, hanno compiuto stragi di stato, migliaia 
                  di vittime. Ci hanno preparato. Ed ora ecco lì tutti 
                  pronti a raccogliere i frutti. Io sono un germe degli anni ’80, 
                  io ora mi sento un frutto che qualcuno raccoglierà per 
                  poter guadagnare con la mia spremitura. Io non ci sto e se proprio 
                  devo finire finirò da anarchico.  
                  Basterebbe applicare una semplice regola per vivere liberi. 
                  Rispettare il prossimo con le sue diversità. Non esiste 
                  più una classe operaia, nessuno si sente operaio. Siamo 
                  tutti finto borghesi del cazzo. Tutti aspiriamo alle stesse 
                  cose e se non è annichilimento questo!  
                  Oggi si accontentano non più dei famosi 15 minuti di 
                  celebrità ma di qualche istante di gloria. Qualche secondo, 
                  il tempo per farsi riconoscere, salutare mamma fidanzatine e 
                  amichetti gonfiare il petto e raccogliere gli applausi al ritorno 
                  nella tribù.  
                  Mi sento solo, lontano da voi amici anarchici, chiuso in quel 
                  land desolato e triste che è la Ciociaria, qualcuno mi 
                  aiuti ad uscire dall’incubo infinito della mia esistenza. 
                 
                The man of the moon 
                  freeky@libero.it 
                  
                 1/ 
                  Un dibattito presunto 
                Pubblichiamo la replica di Antonio Cardella e Ludovico 
                  Fenech all’intervento di Guido 
                  Barroero apparso sullo scorso numero della rivista.  
                Pensavamo che il breve scambio epistolare intercorso tramite 
                  l’Editrice “Zero in condotta” con Guido Barroero, 
                  sarebbe bastato a riportare la discussione sul nostro libro 
                  su binari più propri. Purtroppo era una pia illusione 
                  e l’articolo di Barroero, apparso sul n. 311 di “A” 
                  lo conferma.  
                  Intendiamoci: Barroero è libero di pensare (e di scrivere) 
                  sul nostro libro ciò che ritiene, e non saremo certo 
                  noi a contestargli tale diritto. Anzi, lo ringraziamo per aver 
                  avuto la pazienza di leggerlo e di riconoscere la fatica che 
                  ci è costata. L’unico limite a questa indiscussa 
                  liceità di critica è però costituito da 
                  un livello sia pur minimo di onestà intellettuale (non 
                  parliamo di malafede), che, nel caso specifico, manca nel momento 
                  in cui Barroero, per esempio, immagina che all’interno 
                  della FAI sia esistito, e tuttora esista, un dibattito sul piattaformismo. 
                  Dibattito presunto, che serve a Barroero per innescare la polemica 
                  che gli serve. La FAI – e questo Barroero dovrebbe se 
                  non saperlo, almeno intuirlo – ha chiuso i conti con il 
                  piattaformismo sin dall’atto della sua costituzione, nel 
                  momento in cui ha fatto propri il Programma Malatestiano ed 
                  il Patto Associativo, che segnano il ripudio di alcuni presupposti 
                  portanti dell’impianto archinovista, quali la “responsabilità 
                  collettiva”, il dirigismo organizzativo e via dicendo, 
                  scegliendo, la FAI, il principio federativo.  
                  È vero tuttavia che gruppi e individualità che 
                  si ispirarono al piattaformismo hanno ripetutamente, specialmente 
                  nel decennio di cui tratta il nostro libro, tentato di stravolgere 
                  l’assetto della Federazione, la quale, a nostro giudizio, 
                  in alcune occasioni, è stata fin troppo indulgente verso 
                  elementi che lo stesso Barroero definisce immaturi politicamente 
                  e comportamentalmente, soliti a “far uso spregiudicato 
                  di dinamiche organizzative e assembleari… e di un certo 
                  settarismo intollerante…” (pag. 58 del numero citato 
                  di “A”).  
                  La FAI non ha mai contestato il diritto ai militanti dell’area 
                  libertaria di organizzarsi come meglio credessero, e testimonianza 
                  di ciò è l’ottimo rapporto che, nel rispetto 
                  delle singole peculiarità, c’è sempre stato 
                  con i GIA e i GAF. Ma né i GIA né i GAF si sono 
                  mai sognati di mettere sotto assedio la Federazione, come spesso 
                  è avvenuto ad opera di attivisti del piattaformismo. 
                   
                  Altra affermazione di Barroero, contestata dalla realtà 
                  documentale di atti congressuali e dai dibattiti interni alla 
                  Federazione, è quella che tende ad assimilare il piattaformismo 
                  con la rivisitazione del concetto di classe. Sono temi ben distinti 
                  e mi sembra francamente scorretto attribuire alla FAI un atteggiamento 
                  “aclassista”, nel senso di una presa di distanza 
                  dalle esigenze e dalle lotte dei lavoratori. È vero, 
                  viceversa, che la FAI – soprattutto negli anni Settanta 
                  – dibatteva su un concetto di classe che riguardasse tutti 
                  i lavoratori, gli sfruttati e i diseredati della terra, al contrario 
                  della teoria marxista-leninista, che privilegia alcune categorie 
                  di lavoratori e ne emargina altre: del resto, anche questo è 
                  un argomento trattato in maniera esemplare dallo stesso Malatesta. 
                   
                  Mi sembra infine patetico il tentativo di ammantare di un presunto 
                  (quanto inespresso da Barroero) retroterra politico-ideologico 
                  l’atto teppistico compiuto da elementi piattaformisti, 
                  che portò alla devastazione dei locali del circolo di 
                  via Scaldasole a Milano, nel settembre del 1973. Atto che fu 
                  stigmatizzato nel Convegno di Carrara su Marini del 7 ottobre 
                  e nel successivo Congresso della Federazione.  
                  Infine “l’indiscutibile successo del Convegno dei 
                  lavoratori anarchici promosso dall’area piattaformista” 
                  a Bologna dall’11 al 15 agosto 1973. Di quel Convegno 
                  si occuparono a lungo i compagni della FAI che tentarono di 
                  parteciparvi e ai quali fu impedito di parlare: si trovarono 
                  di fronte a “conclusioni” prefabbricate e ad un’organizzazione 
                  dei lavori degna del peggiore leninismo.  
                  Per concludere: crediamo che il piattaformismo e i gruppi che 
                  ad esso si ispirano abbiano piena legittimità di esistere 
                  e di organizzarsi come credono, alla sola condizione che analoga 
                  libertà garantiscano agli altri, diversi da loro, e dimettano 
                  quell’arroganza e quei tentativi di prevaricazione che, 
                  per ammissione dello stesso Borroero, ne hanno caratterizzato 
                  l’attività, negli anni Settanta e non solo.  
                  Per noi la polemica è chiusa. Pensiamo che il nostro 
                  libro abbia molte lacune, che molto resta da indagare e da dire 
                  sulla FAI degli anni Settanta. La nostra scelta, però, 
                  non è stata mai quella di compiere un’indagine 
                  storiografica in senso proprio. Bensì, e molto più 
                  semplicemente, ci ha sempre attivato l’intento di fornire 
                  un contributo per una storia della FAI che, ci auguriamo, altri 
                  più attrezzati e meno coinvolti di noi, vorranno fare 
                  a tempo debito. 
                Antonio Cardella 
                  Ludovico Fenech 
                  (Palermo) 
                  
                 2/ 
                  La meglio gioventù 
                Per ragioni di lavoro mi occupo di formazione storica e mi 
                  capita spesso di dover ricordare (ai docenti più che 
                  agli studenti) che ogni ricostruzione di fatti, figure e periodi 
                  del passato rinvenibili su manuali o su testi storiografici 
                  specialistici va sempre presa come una delle ricostruzioni possibili, 
                  dal momento che mai dovrebbe interrompersi la ricerca di fonti 
                  utili ad arricchire il bagaglio delle conoscenze necessarie 
                  all’attività storiografica per rivisitare conclusioni 
                  rivelatesi parziali o mettere a confronto interpretazioni diverse. 
                  Saperne di più su un periodo storico o su fatti del passato 
                  non significa quindi approssimarsi alla “verità” 
                  fattuale, ma più laicamente offrire – tramite apposite 
                  pubblicazioni – una ricostruzione temporale il più 
                  ampiamente documentata ed eventualmente una propria (dell’autore) 
                  interpretazione dei fatti, quale esito di un processo di ipotesi, 
                  problematizzazione e spiegazione. In genere la tesi interpretativa 
                  viene dichiarata nella prefazione dall’autore/storico 
                  o da altri. La ricerca della verità appartiene invece 
                  all’editoria religiosa.  
                  Se l’oggetto del lavoro euristico dello storico coincide 
                  poi con la sua esperienza personale, se si tratta di fatti, 
                  persone, periodi che ha conosciuto per diretta esperienza individuale 
                  o collettiva, occorre aggiungere una variabile tutt’altro 
                  che trascurabile e che introduce il “fattore soggettività” 
                  dell’autore: si tratta della “percezione” 
                  che l’autore aveva degli eventi che viveva all’epoca 
                  in cui accadevano e della “percezione” che egli/ella 
                  esprime nel momento in cui si mette a ricostruire/scrivere quegli 
                  eventi. Nel campo della “percezione” possono entrare 
                  diversi elementi quali le emozioni, le passioni, le relazioni 
                  personali, i propri convincimenti mentre accadevano le cose, 
                  la condivisione/opposizione di idee con altri protagonisti delle 
                  stesse vicende e così via. Tutti questi elementi sono 
                  ben noti a chi ha lavorato e lavora sulle fonti orali come sulla 
                  microstoria (termine affatto detrattivo) relativa agli ultimi 
                  decenni. Sono elementi inevitabili e non criticabili, costitutivi 
                  dell’esperienza dell’autore/protagonista degli eventi 
                  oggetto del lavoro euristico, ma di cui tenere conto in sede 
                  comparativa. Al pari dei contributi offerti dalle fonti orali, 
                  quindi, non siamo in presenza della “storia” come 
                  probabilmente è andata, bensì della testimonianza, 
                  pur documentata da fonti scritte – anche loro tutt’altro 
                  che neutrali, di un attore di quelle vicende.  
                  Ecco, il libro di Antonio Cardella e Ludovico Fenech, Anni 
                  senza tregua. Per una storia della Federazione Anarchica Italiana 
                  dal 1970 al 1980, Edizioni Zero in Condotta, Milano 2005, 
                  mi sembra rientri in questa tipologia di lavoro storico. Se 
                  il committente coincide poi con l’organizzazione politica 
                  a cui appartengono gli autori, si tratta di un fenomeno frequente 
                  nella promozione di questo tipo di storiografia dal basso.  
                  Ora che disponiamo di questo lavoro, c’è da sperare 
                  che qualche giovane ricercatore sia interessato ad intervistare 
                  quanti più protagonisti possibile di quegli “anni 
                  tumultuosi” come li definisce argutamente Guido Barroero. 
                  Infatti, più attori raccontano, più percezioni 
                  dei fatti si rendono disponibili, più è possibile 
                  ricomporre un telaio fattuale e tematico, emozionale e intellettuale, 
                  che ci aiuti a dare significato ai fatti e ad avanzare e confrontare 
                  più ipotesi interpretative.  
                  Lo stesso contributo di Barroero 
                  è già un dare voce ad altre “percezioni”; 
                  sono tuttora agenti infatti gli esiti storicamente figli di 
                  quel decennio, snodo di esperienze politiche ed organizzative 
                  dell’anarchismo di classe fatte di donne ed uomini, compagne 
                  e compagni, che hanno messo in gioco la loro meglio gioventù, 
                  per l’anarchia e per il comunismo.  
                Donato Romito 
                  (Fano) 
                  
                 
                  
                
                    
                  
                     
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                          nostri fondi neri 
                            
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                           Sottoscrizioni.  
                            Jean-Pierre Nuenlist (Riva San Vitale – Svizzera) 
                            13,40; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Alfonso 
                            Failla, 500,00; Giuseppe Gessa (Gorgonzola) 15,00; 
                            Andrea Silvestri (Vada) 10,00; Milena e Paolo Soldati 
                            (Clermond-Ferrand – Francia) ricordando Fiorenzo 
                            Laffranchi e Marina Soldati, 100,00; Carmelo Fais 
                            (Ardauli) 50,00; Eugenio Bertolani (San Possidonio) 
                            86,00; Gianni Forlano (Milano) ricordando Alfonso 
                            Failla e Ulisse Finzi, 20,00; Giacomo Ajmone (Milano) 
                            20,00; Mario Perego (Carnate) 50,00; Gesino Torres 
                            (Santo Spirito di Bari) 20,00; Pierangelo Bargiggia 
                            (Domaso) 9,00; Luca Giudici (Novara) 40,00; Peter 
                            Sheldon (Sydney – Australia) 106,00. 
                            Totale euro 1.039,40. 
                          Abbonamenti sostenitori.  
                            Roberto Petrella (Roma Vitinia) 100,00; a/m Giorgio 
                            Barberis, Alessandriacolori (Alessandria) 100,00. 
                            Totale euro 200,00. 
                         
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