Non ci sono colpevoli. 
                    Così la cassazione ha chiuso la storia giudiziaria 
                    della strage del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. 
                    
                    E dopo quasi 36 anni di occultamenti e depistaggi era facile 
                    poter dire che non ci sono prove sufficienti. Fortunatamente 
                    alla verità delle aule di giustizia si contrappone 
                    quella sostanziale, quella storica. 
                    È stata una strage di stato. 
                    Avete notato quanti hanno fatto a gara nel deplorare l’assenza 
                    di responsabili ora che è finita nel nulla giudiziario 
                    la storia della strage di piazza Fontana? Beh, sembrava proprio 
                    un sospiro di sollievo: finalmente la questione finisce in 
                    un cassetto. Non se ne parlerà più sui giornali, 
                    quindi è stata spesa qualche accorata parola. Tanto 
                    che cosa costa? Niente, se non il fatto che qualcuno poteva 
                    anche stare zitto. È sempre così: quando nessuno 
                    ha più nulla da perdere ci si può anche commuovere 
                    per le «povere vittime» di quella bomba. 
                  
                   L’interno 
                    della Banca Nazionale dell’Agricoltura dopo la strage
                  
 
                    I fatti 
                  Il 3 maggio la Cassazione ha confermato la sentenza di assoluzione 
                    per Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni. I 
                    tre neonazisti che la corte d’assise di Milano aveva 
                    condannato all’ergastolo il 30 giugno 2001. 
                    Condanna poi annullata l’anno scorso, 12 maggio, dalla 
                    corte d’appello di Milano. 
                    Una sequenza che ricorda un copione già scritto. 
                    Nel 1979, infatti, la corte d’assise di Catanzaro condannò 
                    all’ergastolo, sempre per piazza Fontana, i neonazisti 
                    Giovanni Ventura, Franco Freda e l’agente dei servizi 
                    segreti Guido Giannettini. Mentre assolse, anche se per insufficienza 
                    di prove Pietro Valpreda e gli altri anarchici del Circolo 
                    22 marzo. 
                    Ma nel 1981 la Corte d’appello, sempre di Catanzaro, 
                    mandò tutti assolti, neonazisti, 007 e anarchici. Con 
                    un particolare tutt’altro che irrilevante. 
                    Freda e Ventura vennero condannati a 15 anni per gli attentati 
                    del 25 aprile 1969 a Milano alla Stazione centrale e alla 
                    Fiera campionaria e per gli attentati su dieci treni nella 
                    notte fra l’8 e il 9 agosto sempre di quell’anno. 
                    Sentenza curiosa. 
                    Condanna solo per i primi due attentati del trittico che si 
                    conclude drammaticamente il 12 dicembre con 16 (poi divenuti 
                    17) morti e 84 feriti (ufficialmente, ma un’altra decina 
                    con ferite lievi preferì andarsene senza farsi medicare 
                    al pronto soccorso). 
                    Ora la sequenza, l’escalation era chiara, ma i giudici 
                    d’appello preferiscono lasciare fuori il fatto più 
                    clamoroso. 
                    Sostanzialmente (anche se ci saranno altri strascichi giudiziari, 
                    altre sentenze fino al 1991) la faccenda si chiude l’1 
                    agosto 1985 con la conferma della sentenza del 1981. 
                    Bisognerà aspettare il 1995 con l’ordinanza di 
                    rinvio a giudizio per una trentina di neonazisti (fra questi 
                    i già menzionati Zorzi, Maggi e Rognoni), ex 007 e 
                    il capo della P2 Licio Gelli perché la questione piazza 
                    Fontana ritorni nelle aule giudiziarie. 
                    Dal 1989, infatti, il magistrato Guido Salvini indagando sull’eversione 
                    di destra aveva raccolto nuove prove sul coinvolgimento dei 
                    già noti Freda e Ventura con l’aggiunta di personaggi 
                    nuovi che portavano a piazza Fontana. 
                    Da lì la sequenza dei tre processi che sono approdati 
                    a un altro nulla di fatto. 
                  
                  L'anarchico Pietro Valpreda
                  
 
                    Chi ha paura del 12 dicembre? 
                  Fortunatamente, come tutti sappiamo, la verità delle 
                    aule di tribunale non corrisponde necessariamente (si potrebbe 
                    dire quasi mai) alla verità fattuale, storica. Ci sono 
                    dei punti fermi e chiari in tutta questa vicenda. Il 1969 
                    è stato un anno strategicamente importante. All’accrescersi 
                    della conflittualità nelle fabbriche e nei luoghi di 
                    lavoro, mentre proseguiva l’agitazione studentesca, 
                    si accompagnavano la bellezza di circa 140 attentati, fra 
                    piccoli e medi, riusciti e non riusciti. Fra questi ci sono 
                    i tre (Stazione centrale e Fiera campionaria, treni e piazza 
                    Fontana più l’appendice a Roma: Banca Nazionale 
                    del Lavoro e altare al milite ignoto) che connotano quell’anno 
                    e fanno esplodere (è proprio il caso di dirlo) la strategia 
                    della tensione. Oggi sappiamo con certezza che a indirizzare 
                    quella strategia erano i servizi segreti americani preoccupati 
                    di un possibile arrivo al governo del Partito Comunista Italiano. 
                    Sappiamo con certezza (ci sono i riscontri e perfino le ammissioni) 
                    che i servizi segreti americani guidavano gli 007 italiani 
                    e che i capi del SID (prima Eugenio Henke, poi Vito Miceli) 
                    hanno coordinato gli attentati compiuti dai militanti dell’estrema 
                    destra e che Miceli ha «gestito» anche il tentativo 
                    di colpo di stato di Junio Valerio Borghese del 7 dicembre 
                    1970. Sappiamo che l’allora presidente del consiglio 
                    dei ministri, Mariano Rumor era quantomeno «persona 
                    informata dei fatti». E che il ministro dell’interno 
                    Franco Restivo non ha certo impedito che alcuni camerati di 
                    Borghese, la notte del fallito golpe, siano potuti entrare 
                    indisturbati nella sede del suo ministero. Per poi andarsene 
                    indisturbati quando vengono informati del «tutti a casa». 
                    Sappiamo che le accuse contro politici come Giulio Andreotti 
                    (immancabile presenza), Mariano Rumor, Mario Tanassi e Mario 
                    Zagari sono state archiviate dalla commissione inquirente 
                    del parlamento (come accadeva quasi di regola). Sappiamo che 
                    una schiera di magistrati (a partire dai romani Vittorio Occorsio 
                    ed Ernesto Cudillo, quelli della prima inchiesta, per arrivare 
                    al giudice di cassazione Corrado Carnevale) hanno fatto in 
                    modo che non si potesse arrivare all’accertamento dei 
                    fatti e delle responsabilità. 
                    Sappiamo tutte queste cose (e tante altre ancora), ma sappiamo 
                    anche che la verità su piazza Fontana (incredibile, 
                    ma vero) fa ancora paura a chi comanda. Dopo quasi 36 anni 
                    vogliono lasciare questa pagina così tragicamente importante 
                    nello spazio dell’irrisolto. Perché come è 
                    stato ripetuto migliaia di volte da anarchici e non: lo stato 
                    non può condannare se stesso per una strage che ha 
                    compiuto.