rivista anarchica
anno 35 n. 308
maggio 2005


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Fermata facoltativa non obbligatoria

 

Qualcosa che prima è un seme, poi è una pianta. Anche il tronco di questa pianta, in quanto legno, può diventare un cucchiaio, o una sedia, o un tavolo. Il girino diventa rana. Qualcosa del genere avviene nella storia delle parole: dalla radice “sp”, c’è chi sostiene che sia venuto fuori l’ispettore, l’episcopale, lo scettico, il scetticheggiante e lo scetticheggiare, e anche la spia – sembra che la radice designasse un “guardare due volte”, un “guardare e riguardare”, da cui tutta la varietà dei significati che ancora noi, oggi, attribuiamo a queste parole.
Per distinguere l’essere umano in crescita, poi, abbiamo a disposizione una ricca famiglia di termini: feto, neonato, poppante, infante, bambino, fanciullo, ragazzo, uomo, adulto, vecchio, senescente, etc. Più o meno, quando usiamo questi termini, ci si capisce; se parliamo di neonato in rapporto al ragazzo, ovviamente, non c’è problema, ma se il neonato lo opponiamo al poppante qualche problema, ovviamente, sorge. Come distinguerli con chiarezza? O come far sì che tutti ma proprio tutti parlino di fanciullo distinguendolo sempre e comunque dal ragazzo? Sull’uso di certe parole occorre mettersi d’accordo. Più è il loro contenuto categoriale, si potrebbe provare a dire, più è opportuno provare a mettersi d’accordo. Racconto di aver inciampato all’inizio delle scale, ma se non specifico da dove sono partito, il mio interlocutore non saprà mai se ho inciampato su o giù. “Inizio” – come “fine”, “parte”, “tutto”, “prima”, “dopo”, etc. – designa un operare mentale, un modo di vedere, non qualcosa dal significato empirico condiviso.
La premessa è necessaria – e l’esempio dell’“inizio” non è scelto a caso – per capire in che dannato guaio si dibattano cattolici o presunti tali e laici o presunti tali a proposito dell’embrione e dei suoi destini. Sui quali, mesi fa, il filosofo Emanuele Severino si è deciso a sciorinare il suo argomento “decisivo”, “mai stato preso in considerazione”, indicato da lui “per la prima volta” nella speranza di farsi capire. Per sostenere che l’embrione “non è” un essere umano, comincia spiegando cos’è la capacità – senza il “senso” della quale non avremmo tutte quelle meraviglie che l’uomo ha saputo compiere in ogni campo: “politico, religioso, economico, artistico, giuridico, scientifico, culturale” – e, passando per l’inevitabile Aristotele, afferma che “la capacità esiste anche prima di essere esplicata o messa in pratica”. È la ben nota potenza e “che l’embrione prodotto dal seme dell’uomo e dall’ovulo della donna sia essere umano in potenza” sembrerebbe un principio, a suo modo di vedere, accettato da tutti. Ma, come dice lo stagirita, “ciò che è in potenza è in potenza gli opposti” e, in ragione di ciò, ne conseguirebbe che “se l’embrione può diventare un uomo in atto, allora, proprio perché ‘lo può’ (…), proprio per questo può anche diventare non-uomo”.
Andiamo avanti. Se “l’embrione è in potenza un-esser-già-uomo” – è saltato fuori anche un “già” per metterla giù più dura –, “è in potenza anche un esser-già-non-uomo”. E “se l’embrione è, in potenza, quell’esser già uomo che è necessariamente unito all’esser già non uomo, ne viene che l’embrione non è già un uomo – non è cioè quell’esser autenticamente uomo che rifiuta di unirsi all’esser non-uomo”. “Questo autentico esser uomo” – stiamo volgendo al termine – “non è pertanto ’contenuto’ nell’unità potenziale dell’esser uomo e del non esser uomo: così come lo scapolo (…) non è contenuto nell’ammogliato”. Da ciò apparirebbe chiarissimo che “non si può quindi dire che sopprimendo l’embrione si uccide l’uomo”. Così come – riprendendo il suo esempio – non si può certo dire, che uccidendo l’ammogliato, si uccide lo scapolo ch’era stato in lui. No, quello, anzi, se la gode. In potenza, aggiungerebbe un Aristotele ridacchiante.
Ferve, allora, il dibattito. Nel bailamme, tempo dopo a Severino risponde Giovanni Reale, altro filosofo e la sua risposta va segnalata per un solo motivo: a dimostrazione di cosa sia la filosofia – di quale “plasticità”, di quale duttilità possa godere –, la tesi di Reale si basa sui medesimi argomenti di Aristotele ricavandone però, e qui sta il bello, la tesi diametralmente opposta: L’embrione va difeso, è vita. Lo ha spiegato anche Aristotele.
Se la vedano loro, vien da dire. Se non che.
Da biologo, strafregandosene di Aristotele, interviene nel dibattito Edoardo Boncinelli e spiega che “per gli embrioni non esiste l’ora x”. Allora. La fecondazione in altro non consiste che nella “congiunzione di un gamete maschile, lo spermatozoo, e uno femminile, la cellula-uovo o ovocita maturo”. Questo processo si svolge in diverse ore e, condizione necessaria perché si possa parlare di un “nuovo organismo” è la combinazione dei dna dei due genomi. Così si ha una singola cellula che, in quattro e quattr’otto, prende a duplicarsi – fino ad un momento in cui, smettendola, assume sembianze tali per cui, guardandole attentamente e confrontandole con l’apposito album delle figurine, qualcuno potrà parlarne come di un cane, di una giraffa o di Brigitte Bardot.
Ma, allorché Boncinelli conclude la sua chiara lezione di biologia, si pone una domanda: “Quando è che un embrione diventa persona e come tale gode dei diritti scritti e non scritti spettanti ad una persona?”. E si dà la risposta: “Questa è una domanda che esula dalla biologia e della scienza in generale e qui mi fermo”.
E, qui, fa male a fermarsi. Perché è l’argomento che, di solito, fornisce preti e stregoni vari di lasciapassare per entrare da protagonisti nei dibattiti scientifici. Si dà per scontato che la definizione delle parole e delle categorie che queste parole designano – per esempio in parole come “persona” – non sia questione di scienza. Non di biologia, d’accordo, ma di qualche altra scienza sì. Per esempio di una semantica che possa avvalersi di un modello dell’attività mentale che, sempre e comunque, le parole designano. Se ciò si esclude di principio, giocoforza a decidere il significato delle parole sarà sempre chi comanda – a tutto scapito di chi obbedisce.

Felice Accame

P.s.: gli articoli di Severino, Reale e Boncinelli sono stati pubblicati sul “Corriere della Sera”, rispettivamente il 1 dicembre 2004, il 6 gennaio 2005 e il 26 gennaio 2005.
P.p.s.: pare incredibile, ma, a volte, non dico “ritornano”, ma “sono sempre qui”. Per l’esorcismo: a) ricordarsi che “potenza” e “atto” sono schemi categoriali. Allorché la sanatura, per esempio, viene costituita come contemporanea al termine di confronto si ha la “potenza” (cfr. S. Ceccato, La mente vista da un cibernetico, Eri, Torino 1972, pag. 93) e b) capire come ha fatto Aristotele a cacciarsi nei guai del rapporto tra dynamis ed energheia (cfr. G. Vaccarino, La nascita della filosofia, Società Stampa Sportiva, Roma 1996, pp. 232-244).