|   Proporzionalmente alla modernità 
                  – forse con passo più rapido – corre il vetusto, 
                  il seppellito niente affatto una volta per sempre. Tutte queste 
                  infiltrazioni di magia e di religione nelle scienze e nella 
                  vita sociale (maghi, cartomanti, medicine alternative, omaggi 
                  all’oriente misterioso, fisici post quantistici a braccetto 
                  con cardinali, psicosistematori del conscio e del subconscio, 
                  artisti furbastri ed estetologi deliranti) sono originate dai 
                  residui di filosofia che inficiano la pratica scientifica. Più 
                  questa ne è indebolita, più l’esoterico 
                  infloridisce.  
                  Dalla filosofia nasce l’idea di una scienza che avrebbe 
                  il compito di rappresentare la Vera Realtà, dalla filosofia 
                  prende l’avvio l’autocontraddittoria fiducia nel 
                  poter – un giorno, lo sa Dio quando – aver in testa 
                  una copia perfetta di quanto sta là fuori – come 
                  se qualsiasi cosa si veda, anche tramite strumenti, non fosse 
                  sempre e comunque il risultato di qualcuno che lo vede, come 
                  se qualsiasi cosa detta non fosse pur sempre detta da qualcuno. 
                  Dalla filosofia, infine, si alimenta il Potere per giustificarsi 
                  e perpetuarsi. Non liberandosene, non ci si può avvedere 
                  di come la scienza dipenda dall’assunzione di un preciso 
                  atteggiamento – considerare ripetibile il proprio oggetto, 
                  le proprie procedure e considerare un’incognita per volta 
                  – e neppure di come, a loro volta, da atteggiamenti mentali 
                  dipendano la magia, la religione o l’arte. Nella categorizzazione 
                  del magico, per esempio, interviene la moltiplicazione delle 
                  incognite di cui una deve rimanere appannaggio di chi compie 
                  la procedura, il mago, perché se la ripetibilità 
                  fosse affidabile a chiunque, scadrebbe nella tecnica. Nel miracolo 
                  di ordine religioso, per concludere con gli esempi, viene esclusa 
                  di principio la ripetibilità, mentre nell’artistico 
                  la ripetibilità è vincolata all’esecutore 
                  garantendo così la sua originalità.  
                  Un’analisi simile dovrebbe essere tenuta presente nel 
                  leggere La magia e il potere (Lindau editore, Torino 
                  2004) di Giorgio Galli. Da storico, Galli registra scrupolosamente 
                  tutti i casi in cui un sapere esoterico ha influenzato direttamente 
                  le decisioni dei vari capi carismatici dai cui umori, in tanti 
                  casi, dipende la stessa vita dell’umanità intera. 
                   
                  Veniamo così a sorprendere una serie di persone – 
                  di cui avevamo già imparato a nostre spese a diffidare 
                  per altri motivi – in posizioni piuttosto imbarazzanti: 
                  Caterina de’ Medici decide le sorti di migliaia di ugonotti 
                  grazie a qualche rito esoterico celebrato con Nostradamus, la 
                  carriera di Richelieu iniziò grazie all’amicizia 
                  di Eleonora Galigai – poi bruciata come strega –, 
                  Newton si occupava di alchimia, Cartesio fu sospettato di rapporti 
                  con la Confraternita Rosacroce, Hobbes credeva in corpi invisibili, 
                  Weber, dopo un trauma, è cambiato da così a cosà, 
                  di Hitler, Himmler, Hess e soci si sa, Mussolini ha chiamato 
                  Gustavo Rol, il sensitivo torinese, per farsi predire il futuro 
                  (e quello glielo disse, ma indorando la pillola), Churchill 
                  si rivolgeva a medium (e al farmacista – per la cocaina), 
                  la compagnia più o meno cantante intorno a Peron apparteneva 
                  a varie sette, perfino Togliatti era tanto superstizioso da 
                  mettersi in tasca una pelle di serpente prima di tenere un comizio 
                  importante, La Malfa si occupava di teosofia e Craxi praticava 
                  magia a scopi sessuali mentre le donne socialiste romane del 
                  suo tempo onoravano Osiride (credendolo femmina, peraltro). 
                  Dalla parte degli artisti non si è da meno: Pessoa, Cocteau, 
                  Valery, Artaud, Pound, tanto per fare qualche nome, tutti attratti 
                  dall’esoterismo (e dal nazismo). Dalla parte di scienza 
                  e filosofia ci può stare uno Jung (incline al nazismo), 
                  Heisenberg (nazista dichiarato), Heidegger (tesserato al partito 
                  nazionalsocialista fino al 1945) e, ovviamente, Evola.  
                  È un massacro, insomma, che non stupirà chi ha 
                  sempre saputo che, per diventare “celebri” e “potenti”, 
                  qualcosa – qualcosa di cospicuo – si deve pagare: 
                  in termini di libertà, in termini di lealtà e 
                  perfino in termini di intelligenza personale. L’appartenenza 
                  ad una setta, la professione di fede in qualcosa di trascendente 
                  la comprensione umana, lo scarico di responsabilità al 
                  caso delle proprie congiure (soprattutto di quelle andate a 
                  male), il rituale, il cerimoniale, il bacio dell’anello, 
                  la sedutina al tavolino a tre gambe, la presunzione di una conoscenza 
                  del futuro dedotta dagli oroscopi – a destra, perlopiù, 
                  ma spesso e volentieri anche a sinistra – predispongono 
                  a quelle luminose carriere che, se poi di solito finiscono male, 
                  almeno per un po’, assicurano agi, piaceri e tronfia soddisfazione 
                  di sé. Ma, per cercare di capire come si sia giunti a 
                  tanto – e qui torno alla premessa –, occorre fare 
                  i conti con la filosofia e con i guasti che ha prodotto nel 
                  sapere umano. 
                  
                  Felice Accame 
                P.s.: Galli, dicevo, parla da storico. Però, proprio 
                  da storico-storico non sempre, perché qua e là 
                  infiocchetta con qualcosina d’altro. Per esempio: “Il 
                  2 aprile 1978”, dice, “sono passati diciassette 
                  giorni dal sequestro di Moro” e aggiunge fra parentesi: 
                  “Il diciassette è un numero significativo”. 
                  Oppure: parlando di un racconto di Mary Shelley e del nome di 
                  un suo personaggio, Hoffer, “che richiama l’eroe 
                  della guerriglia nel Tirolo contro Napoleone (…) per attirare 
                  l’attenzione su quell’Austria ove Hitler sarebbe 
                  nato e la cui annessione avrebbe segnato l’inizio della 
                  politica espansionistica del Terzo Reich”. Si noti: la 
                  Shelley scrive intorno al 1850. Le coincidenze, detto molto 
                  in breve, ci possono sempre stare – e nella storia, cercandovi 
                  regolarità, spesso saltano all’occhio –, 
                  ma, cercandole a tutti i costi, si rischia di indebolire la 
                  solidità della propria ricostruzione storica.  
                 |