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                      Le 
                        edizioni Zero in Condotta hanno dato alle stampe la seconda 
                        edizione del libro La Resistenza sconosciuta, 
                        edito per la prima volta esattamente dieci anni fa. È 
                        ormai un testo esaurito da molto tempo e pur continuamente 
                        richiesto. La ristampa presenta numerose novità. 
                        Innanzitutto il formato non è più quello 
                        grande ma si presenta come un classico testo poiché 
                        tutti i giornali anarchici clandestini del periodo 1943-45 
                        sono stati trasferiti in un CD allegato al libro. Gli 
                        autori hanno inoltre rivisto i loro saggi alla luce delle 
                        nuove ricerche che in questi anni sono state effettuate 
                        sull’argomento, sono poi stati tolti due saggi (quello 
                        sul Minculpop e l’altro sulla nuova destra) ed al 
                        loro posto ne è stato inserito uno, inedito, sugli 
                        Arditi del Popolo.  
                        Le circa 180 pagine del libro offrono, dunque, al lettore 
                        la possibilità di conoscere la resistenza anarchica 
                        al fascismo lungo tutto il ventennio, partendo proprio 
                        dal primo antifascismo operato dall’arditismo e 
                        dagli anarchici i cui rapporti, differenze ed azioni comuni 
                        sono state messe in luce da Marco Rossi. La repressione 
                        degli anarchici operata dalla dittatura nei due decenni 
                        in cui si è impadronita dell’Italia, le sacche 
                        di resistenza, i tentativi di riorganizzazione del movimento 
                        ed i rapporti con altre componenti della dissidenza fuorilegge 
                        vengono affrontati da Giorgio Sacchetti; Gaetano Manfredonia 
                        invece ci porta nel mondo degli esiliati anarchici in 
                        Francia, dove l’azione antifascista continua con 
                        un minimo di organizzazione tendente all’unità 
                        d’azione con i movimenti (come Giustizia e Libertà) 
                        critici nei confronti del partitismo, ma dove si evidenzia 
                        anche la differenziazione di progetti e di azioni all’interno 
                        del complesso movimento anarchico costretto all’esilio 
                        pur se il fine comune è quello di generare una 
                        insurrezione contro il fascismo in Italia, fine a cui 
                        tendono tutti i loro sforzi pur nella precaria condizione 
                        di fuorusciti costretti alla sopravvivenza e, anche oltralpe, 
                        perseguitati dal democratico governo Francese. Il saggio 
                        di Claudio Venza segue gli esuli antifascisti anarchici 
                        nell’epopea della rivoluzione spagnola, nel loro 
                        tentativo di mettere in pratica il comunismo libertario 
                        attraverso l’autogestione e, contemporaneamente, 
                        combattere il fascismo spagnolo per poter vincere anche 
                        il fascismo in Italia. Italino Rossi incentra il suo lavoro 
                        sugli anarchici nel periodo della resistenza in Italia 
                        (1943-45) fornendo una esauriente geografia sul ruolo 
                        degli anarchici che hanno operato su più fronti 
                        e in più regioni, sia con formazioni proprie ed 
                        autonome, sia all’interno delle brigate Garibaldi, 
                        delle Matteotti o di Giustizia e Libertà, sia con 
                        partiti come quello socialista, repubblicano o comunista. 
                        Una storia, quest’ultima, ancora tutta da scoprire 
                        ed analizzare. Il filo conduttore dell’antifascismo 
                        anarchico che gli autori de La Resistenza sconosciuta 
                        sviluppano nei loro interventi viene ripreso in un saggio 
                        introduttivo da Gigi Di Lembo che colloca l’antifascismo 
                        anarchico in un interessante contesto storico e politico 
                        mentre Franco Schirone, oltre a rintracciare e presentare 
                        le testate anarchiche clandestine del periodo 1943-45, 
                        ci offre una vastissima bibliografia sull’argomento. 
                         
                        La nuova edizione de La Resistenza sconosciuta 
                        è accompagnata, come accennato, da un CD, tutto 
                        da scoprire, da leggere, da vedere e da ascoltare. Qui 
                        infatti sono riportati non solo i giornali anarchici clandestini 
                        pubblicati nel periodo della Resistenza (quasi 200 pagine), 
                        ma viene offerto al lettore la possibilità di leggere 
                        e scoprire almeno cinquanta esemplari di volantini antifascisti 
                        anarchici pubblicati in Italia, in Francia, in Spagna, 
                        in Nord e in Sud America dagli esuli, in lingua italiana. 
                        Ma non è finita. Vengono riprodotte oltre cinquanta 
                        fotografie di vario genere: anarchici nei diversi confini, 
                        gruppi nella Resistenza, alcuni personaggi, lapidi disseminate 
                        in diverse località e che danno solo una idea di 
                        ciò che può essere ancora scoperto. E per 
                        completare il lavoro, nel CD possono essere ascoltate 
                        alcune canzoni anarchiche della Resistenza musicate ed 
                        interpretate per l’occasione da Danio e Santo Catanuto. 
                         
                        Come si può notare non si tratta semplicemente 
                        di una seconda edizione de La Resistenza sconosciuta 
                        ma di un lavoro ex novo.
Anteo 
                           
                        Di 
                          seguito pubblichiamo alcuni stralci di due saggi, ripresi 
                          dalla nuova edizione de La Resistenza sconosciuta. 
                           
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                 Vittorie e sconfitte  
                  di Gigi Di Lembo  
                (…). Questo volume offrì, allora per la prima 
                  volta, e continua ad offrire oggi qualcosa di unico: la possibilità 
                  di rileggere i fogli che gli anarchici avevano pubblicato dal 
                  1943 al ’45 nel pieno della Resistenza. Sono 18 tra periodici 
                  e numeri unici, stampati alla macchia o, nel migliore dei casi, 
                  illegalmente, segnali di raccolta e riscossa del movimento e 
                  assieme strumenti di dibattito che restituiscono, con grande 
                  immediatezza, programmi e speranze, problemi e soluzioni, polemiche 
                  e convergenze, i rischi, le perdite, le vittorie e le sconfitte 
                  dei nostri compagni di allora.  
                  (…). Nella seconda metà del 1941 buona parte degli 
                  anarchici dell’esilio era nuovamente in Italia ma confinata 
                  nelle Tremiti o a Ventotene, isole di restrizione di ogni libertà 
                  che però divennero giocoforza anche punto di ritrovo 
                  e di amalgama tra anarchici vecchi e nuovi, tra quelli provenienti 
                  dall’esperienza dell’esilio e quelli dalla oscura 
                  lotta interna. Questa in gran parte era consistita in una caparbia 
                  resistenza umana, una estenuante prova di forza per mantenere 
                  la propria dignità e identità, ma aveva registrato 
                  anche vere e proprie attività cospirative molto più 
                  diffuse di quanto non si pensasse. E di ritrovarsi queste due 
                  esperienze avevano veramente bisogno: all’estero bene 
                  o male il dibattito non aveva conosciuto soluzioni di continuità, 
                  era se mai mancato il polso della situazione italiana, all’interno 
                  viceversa l’esigenza prima era stata resistere e trovare 
                  qualcuno con cui resistere; non che fossero contatti tra interno 
                  e estero, anzi dalle recenti ricerche sembra emergere che questi 
                  non cessarono mai, ma certo furono scarsamente operativi.  
                  (…). Nel ’35 Togliatti aveva inquadrato lucidamente 
                  quella situazione: non bisognava assolutamente sottovalutare 
                  gli anarchici, che mantenevano una reale base di massa nel paese, 
                  al momento la situazione era relativamente favorevole per i 
                  comunisti perchè le teste pensanti del movimento erano 
                  tutte in esilio, così all’interno si dimostrava 
                  possibile una proficua collaborazione con gli anarchici, non 
                  “avvelenati” dalla loro stampa. Anzi nelle fabbriche 
                  quello che veniva chiamato il Partito non era altro che un minimo 
                  di coordinamento offerto dai comunisti a gruppi di sindacalisti 
                  anarchici rimasti attivi nell’ombra. Secondo Togliatti 
                  bisognava proseguire soprattutto su quest’ultima strada 
                  per togliere all’anarchismo le sue basi di massa ed impedirgli 
                  di diventare nella prossima rivoluzione il nemico più 
                  pericoloso per i comunisti. (…).  
                  Eppure l’anarchismo mantenne una cospicua presa tanto 
                  da potersi presentare al Congresso di Carrara del settembre 
                  1945, il primo in Italia dal novembre 1921, con una presenza 
                  capillare in tutto il paese. Così la “nuova” 
                  polizia sui fascicoli personali degli anarchici cambiò 
                  la stampigliatura da “pericoloso per l’ordine pubblico” 
                  a “pericoloso per l’ordine democratico”. Dal 
                  canto suo il PCI addestrò i suoi quadri ad usare molta 
                  diplomazia e richiami unitari alla comune lotta sostenuta, per 
                  assorbire il più possibile dei militanti libertari.  
                  Questo filo ci riporta al titolo del nostro lavoro: una “Resistenza 
                  sconosciuta”. La storia della Resistenza fu per anni appannaggio 
                  del partito comunista e questo fin dagli inizi fece di tutto 
                  per assumere nel proprio patrimonio anche il contributo anarchico. 
                  (…). Temo che la nostra Resistenza rimarrà sconosciuta 
                  ai più ancora per lungo tempo, certo che non lo è 
                  più per noi. (…).  
                  
                  Gigi Di Lembo 
                  dall’Introduzione alla seconda edizione 
                  
                Ustica 
                  1927, mensa autogestita dai confinati 
                 
                  Anarchici e arditi del popolo  
                  di Marco Rossi  
                Se bisogna necessariamente parlare di “Resistenza sconosciuta” 
                  nel riferirsi alla rimossa partecipazione anarchica all’organizzazione 
                  clandestina e alla lotta armata contro il nazi-fascismo tra 
                  il 1943 e il 1945, è altrettanto il caso di considerare 
                  come semi-sconosciuto il primo antifascismo che, dal 1919 al 
                  1922, si oppose agli squadristi in camicia nera prima della 
                  conquista del potere da parte di Mussolini. (…). Cercando 
                  le origini e le ragioni dell’avvento del fascismo, appare 
                  evidente come l’apparato statale e il potere economico 
                  sia industriale sia agrario vent’anni prima erano stati, 
                  assieme alle gerarchie cattoliche e agli istituti bancari, a 
                  tutti gli effetti mandanti, protettori e finanziatori dello 
                  squadrismo fascista, incaricato di salvare l’Italia dagli 
                  spettri del bolscevismo ateo e dell’anarchia, ossia di 
                  stroncare con la violenza e il terrore le lotte sociali che, 
                  dopo la fine dell’immane primo conflitto mondiale, si 
                  erano andate sviluppando con forza nelle campagne e dentro le 
                  fabbriche, nei borghi come nelle città, al punto da mettere 
                  radicalmente in discussione i secolari rapporti di dominio e 
                  sfruttamento.  
                  (…). Questa sintonia e questo incontro, aldilà 
                  delle rispettive convinzioni ideologiche, tra militanti anarchici, 
                  lavoratori aderenti alle altre organizzazioni del movimento 
                  operaio e proletari “senza partito”, furono perfettamente 
                  intuite da Errico Malatesta – punto di riferimento dell’anarchismo 
                  organizzato ma anche rispettato ed amato leader del movimento 
                  d’emancipazione nel suo complesso – che sostenne 
                  in ogni modo lo sviluppo di questo “fronte unico antifascista” 
                  tra sovversivi di ogni tendenza. Nella visione malatestiana, 
                  la realizzazione di una “intesa diretta fra tutti gli 
                  elementi fattivi, al di fuori e al di sopra delle organizzazioni 
                  ufficiali”, non solo doveva servire a contrastare efficacemente 
                  la minaccia fascista, ma prefigurava il possibile sviluppo di 
                  un largo movimento rivoluzionario. (…). Conseguentemente, 
                  gli anarchici pressoché di tutte le tendenze, davanti 
                  all’incalzare delle spedizioni e delle rappresaglie fasciste, 
                  s’impegnarono ovunque in prima persona tanto nell’affrontare 
                  gli squadristi quanto nella creazione di strutture territoriali 
                  di autodifesa, talvolta composte soltanto da militanti libertari 
                  ma più sovente di tipo unitario.  
                  (…). Interessante e meritevole d’essere ancora approfondito 
                  il rispettivo atteggiamento critico delle varie tendenze anarchiche 
                  nei confronti dell’organizzazione ardito-popolare, atteggiamento 
                  in cui talvolta s’intravedono curiosi rivolgimenti teorici. 
                  Infatti talune diffidenze degli organizzatori verso la struttura 
                  paramilitare degli Arditi del Popolo erano motivate dall’avversione 
                  verso ogni disciplina, mentre molti di quegli stessi individualisti 
                  ribelli ad ogni ipotesi di organizzazione in quanto tale, finanche 
                  quella anarchica, non esitarono ad inquadrarsi nelle centurie 
                  ardito-popolari, rivestendo anche incarichi di comando.  
                  Tali dubbi e contraddizioni furono comunque superati dal precipitare 
                  degli eventi e dalla necessità di fronteggiare fascisti 
                  e apparati repressivi: gli anarchici, a fianco o all’interno 
                  delle squadre degli Arditi del Popolo, si trovarono in prima 
                  fila a combattere i fascisti, sia quotidianamente per strada 
                  che nelle vere e proprie battaglie che divamparono nelle città. 
                   
                  (…). Gli Arditi del Popolo, forti della loro autonomia 
                  e della loro determinazione, non facendo mistero dell’intenzione 
                  di contrastare e rispondere colpo su colpo al terrore fascista, 
                  capovolsero invece la mentalità perdente, legalitaria 
                  e pacifista ad oltranza che, pervadendo il movimento socialista, 
                  esponeva l’intera classe lavoratrice all’urto dell’aggressione 
                  fascista coi suoi inauditi livelli offensivi, esercitata da 
                  soggetti addestrati e psicologicamente abituati all’esercizio 
                  della violenza nonché pagati ed equipaggiati con le armi 
                  cospicuamente offerte dai depositi militari....Il fascismo non 
                  fu sempre irresistibile; ma s’impose grazie a connivenze, 
                  errori, sottovalutazioni che sarebbero stati pagati a duro prezzo 
                  per oltre vent’anni; prima che vecchi e nuovi arditi del 
                  popolo trovassero altre armi per un’altra liberazione, 
                  in quanto come osservato dallo storico inglese Deakin: “I 
                  partigiani del 1945 rappresentavano in un certo senso i vinti 
                  del 1922”.  
                  
                  Marco Rossi 
                  Il primo antifascismo: anarchici e arditi del popolo 
                  
                Parma 1922, barricate antifasciste 
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