rivista anarchica
anno 35 n. 305
febbraio 2005


riviste

Il nostro progetto
di “La Question sociale”

 

Rivista libertaria di riflessione e di lotta è il sottotitolo di una nuova rivista, in lingua francese, di cui pubblichiamo la presentazione del primo numero.

 

Perché “La Question sociale”?

La questione sociale – che rimanda all’esigenza di mettere termine all’alienazione salariale con l’emancipazione dei lavoratori e con l’instaurazione di una società di liberi e uguali, da cui dipende ormai la sopravvivenza del genere umano – si pone oggi negli stessi termini delle origini.
Nonostante tutte le elucubrazioni sulla fine della lotta di classe, essa continua a occupare un posto centrale nella storia e quindi nella vita degli uomini.
Non dimentichiamoci che la questione sociale è anche una questione politica; che riguarda le modalità di organizzazione delle lotte degli sfruttati e i loro rapporti con le istituzioni di questo sistema, e soprattutto le forme di autogoverno loro necessarie per modificare profondamente la società.
Un secolo e mezzo ci separa dalla nascita della Prima Internazionale, ma i problemi che essa aveva sollevato sono sempre attuali. La rivoluzione è ancora da fare e sarà fatta dai lavoratori o non sarà affatto.
Ora, per prospettare la rinascita di un progetto di emancipazione della società, è indispensabile ripartire da ciò che lo aveva fatto esistere: un movimento sociale ampio, profondo, radicale, come si è presentato nei momenti cruciali della storia del movimento operaio in Francia, in Russia, in Germania, in Italia, in Argentina, in Spagna…

Perché “libertaria”?

Più che a un movimento costituito, questo termine per noi dice la volontà di non bloccarsi sulla questione dello Stato.
Dopo il crollo del blocco orientale, dopo il fallimento del modello del socialismo/comunismo di Stato, ci sembra impossibile, se si vuole ridare vigore all’utopia comunista, non prendere una posizione chiara su un principio: l’emancipazione degli sfruttati non può passare dalla conquista, pacifica o violenta, con le elezioni o con un colpo di mano, dell’apparato statale da parte di una minoranza di rivoluzionari che agisce in nome loro. Se la questione delle forme che può e deve prendere questa autoemancipazione rimane per noi aperta, cercheremo però di evitare risposte sbagliate a domande mal poste.
Crediamo che si debba tornare alle fonti delle idee e delle pratiche che hanno fondato la lotta per l’emancipazione dei lavoratori: ai principi della Prima Internazionale e della dichiarazione di Saint-Imier, alle molteplici esperienze dei "wobblies", degli anarcosindacalisti, dei sindacalisti rivoluzionari (anche se questo termine nasconde spesso una grossa ambiguità sulla questione dello Stato), dei comunisti dei consigli, dei marxisti antileninisti e di tutto ciò che va nel senso di rimettere in discussione il dominio dello Stato e del capitalismo sulla vita degli esseri umani.
Per certi aspetti, infatti, sembra che oggi il capitalismo ci riporti a condizioni della lotta di classe non lontane da quelle della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo, soprattutto ripresentando una forte polarizzazione sociale e una democrazia autoritaria.
Ma noi sappiamo anche che nei paesi in cui si è imposto da molto tempo il capitalismo di mercato, lo Stato è diventato a poco a poco un elemento quasi costitutivo, “naturale”, dell’organizzazione sociale e che la domanda di sicurezza, alimentata da contraddizioni sociali sempre più aspre, gli restituisce ogni giorno una credibilità, quale unica risorsa concepibile contro la decomposizione delle relazioni e dei valori.
Per questo la critica allo Stato va riformulata, senza settarismo ma senza riguardi, in termini che gli restituiscano una coerenza agli occhi di tutti coloro che avvertono oramai la necessità di una trasformazione radicale della società, senza trovarne la strada.
Vogliamo infine precisare che non è nostra intenzione lavorare contro le organizzazioni libertarie oggi attive, ma operare accanto a loro per contribuire a un rinnovamento della cultura militante in questo ambito, a elaborare una cultura autenticamente critica che non si limiti alla ripetizione rituale dei sacri principi dell’anarchia, ma che si dimostri all’altezza delle sfide imposte dalle contraddizioni della società in cui viviamo.

Sommario del numero 1

Notre projet
Edito: Des temps trop durs pour se taire
Analyse politique: O. Mazzoleni, De l’emprise de l’État
Luttes sociales:
N. Thé, Retour sur une longue saison de luttes
G. Soriano, L’expérience des collectifs de solidarité parisiens: une nouvelle étape
Injustice: C. Guillon, Le temps de vivre
Dossier: Droit (et pratiques) de grève
France: G. Soriano, Un droit bien réel, mais très dépendant des rapports de forces
Espagne: C. Vela, Un vide juridique consensuel
Suisse: A. Miéville, Un droit théorique dans une “ paix du travail ” bien réelle
États-Unis: O. Bear, Un vrai corset législatif
Brésil: M. Sarda de Faria, Le “ nouveau syndicalisme ” dans la fonction publique
International: Cl. Albertani, Les dilemmes de l’empire
Histoire:
D. Giachetti, Les grèves sauvages dans l’Europe de 1969
Un document de 1904: Émile Pouget, La genèse de l’idée de grève générale, texte introduit et annoté par M. Chueca
Lire et relire. Revue des revues

Per chi e con chi?

Secondo lo spirito che ci anima, noi ci rivolgiamo prima di tutto alle persone sensibili, disponibili, generose, capaci di farsi domande su una società che non li soddisfa e sui mezzi per cambiarla profondamente.
Più in generale a tutti coloro che pensano che il capitalismo ci stia portando al disastro e che sono alla ricerca di un’alternativa, senza esclusiva.
Sappiamo però bene che la rottura del consenso si pratica non solo nella realtà delle lotte, ma è in quella realtà che arriva a pensarsi, a cercarsi un orizzonte.
Per questa ragione uno degli obiettivi essenziali della rivista sarà quello di articolare la riflessione teorica con uno sguardo critico alle lotte odierne, alle loro potenzialità e ai loro limiti, affrontando seriamente gli interrogativi che pongono. In due parole: fare un uso pratico della teoria.
Per precauzione, però, dobbiamo precisare che noi non ci confondiamo con le lotte e le manifestazioni di protesta di un autoproclamato “movimento sociale” o di un altermondialismo al cui interno si sente gracchiare ogni sorta di pretendenti a una gestione razionale di un capitalismo irrazionale. Per lotte noi intendiamo tutto ciò che mette concretamente in discussione le regole del potere e che intende soddisfare esigenze e bisogni collettivi.
Il fatto che si tratta di lotte che per lo più si conducono nel contesto dello sfruttamento del lavoro, che contrappongono i salariati ai loro padroni, non ce le fa affatto considerare fenomeni di retroguardia, anzi ci riporta a quello che rimane ai nostri occhi l’antagonismo centrale, quello che non può eludere nessuna trasformazione rivoluzionaria.
Se speriamo davvero di contribuire a una “cultura del conflitto” contro la società che ci circonda, vogliamo anche praticare una “cultura del dialogo tra compagni”, respingendo il “narcisismo della piccola differenza” che consiste nel prendersela con chi ci sta più vicino e che ha avvelenato la vita dell’estrema sinistra e degli ambienti libertari.
Poiché riteniamo che si debba portare la riflessione al livello imposto dai problemi teniamo molto ad avere uno sguardo internazionale sui vari temi, e non solo sul piano teorico.
Andremo pertanto alla ricerca ci contributi che ci aiutino a capire come, in luoghi diversi dai nostri, si pone la questione sociale.
Il lavoro di ricerca nelle riviste straniere, le proposte dei compagni stranieri, le traduzioni avranno quindi uno spazio importante.

La Question sociale è stato il titolo (soprattutto in italiano) di diverse pubblicazioni del movimento anarchico nel periodo che si colloca tra la fine dell’internazionale antiautoritaria e la nascita del movimento anarcosindacalista. Nel 1883 e poi nel 1894-96 uscì a Buenos Ayres, a Firenze dal 1883 al 1889, a Paterson (New Jersey, USA) tra il 1895 e il 1908, a Trieste (allora città dell’impero austroungarico) nel 1910 e a New York dal 1914 al 1916: questi giornali erano quasi tutti espressione di correnti favorevoli all’organizzazione operaia ed espressioni di ambienti dell’emigrazione. Grande spazio era riservato in genere al dibattito e le lotte sociali vi avevano un posto centrale. Più di una volta, e soprattutto nella Questione sociale pubblicata nel 1899 a Paterson, tra i redattori si ritrova il nome di Errico Malatesta. La città americana fu teatro, nel 1913, di uno dei più grandi scioperi dei tessili indetto dall’Industrial Workers of the World, il sindacato che organizzava soprattutto la manodopera immigrata e non qualificata. Tutto induce così a pensare che quel giornale abbia svolto un ruolo importante nella formazione politica dell’ambiente militante che fu l’animatore dello sciopero come di quello di Lawrence che l’aveva preceduto di un anno, e più in generale nella formazione degli ambienti militanti di origine libertaria che si impegnavano nell’IWW.
In Francia, questa fu la testata di varie pubblicazioni uscite tra il 1885 e il 1898, a Bordeaux, Lione e Parigi. Quella che ebbe la vita più lunga è la rivista socialista rivoluzionaria di origine blanquista e con un’evoluzione in senso marxista, pubblicata a Parigi da P. Argyriadès e da Paule Mink, che si caratterizzava per l’apertura e per la grande attenzione rivolta verso le condizioni degli operai e per le loro lotte a livello internazionale.

Impieghi fittizi e fondi neri

Non ci paga la CIA e non abbiamo nemmeno trovato il tesoro del KGB. Dietro di noi non c’è nessuna potente organizzazione politica o sindacale, e neppure uno dei tanti gruppetti. Per fare uscire la rivista dovremo svuotarci le tasche.
Chiunque, amico o compagno, che abbia la voglia o il coraggio di sostenerci un un’impresa tanto azzardata, sarà di sicuro il benvenuto.
Ma vogliamo ancora chiarire che difenderemo la nostra indipendenza come le pupille degli occhi.
Oltre al lavoro di scrittura e di discussione/selezione, fare una rivista significa rivedere, impaginare, stampare e distribuire, impacchettare, tenere la contabilità e l’amministrazione.
Ogni offerta d’aiuto sarà bene accolta. Il più delicato, comunque, è il lavoro di distribuzione, le strutture che distribuiscono la stampa di questo genere hanno una scarsissima efficacia e noi contiamo assai più sulle relazioni militanti per assicurare una diffusione nei luoghi e nelle occasioni d’incontro in cui la rivista può trovare i suoi lettori.

“la Question sociale”

172 pagine. Prezzo di questo numero: 7 euro (estero 14 euro). Abbonamento (3 numeri): 20 euro. Abbonamento sostenitore, estero, ad istituti e biblioteche: 40 euro. Assegni all’ordine di G. Carrozza.
Potete inviare direttamente le vostre richieste a: La Question sociale, c/o Librairie Publico, 145 rue Amelot, 75011 Paris o al nostro indirizzo e-mail: laquestionsociale@hotmail.com.