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                 Cari compagni di A, provo una 
                  certa riluttanza ad inviarvi quanto segue, poiché – da qualche 
                  anno a questa parte – mi rivolgo a voi sempre in modo polemico. 
                  Devo darvi comunque atto che non avete mai soffocato la mia 
                  voce, anche quando dissentiva duramente dall’impostazione del 
                  vostro periodico. Evidentemente la mia attuale concezione dell’anarchismo 
                  è distante dalla vostra, ma poiché ciò nonostante sono sempre 
                  un vostro affezionato lettore spero che consideriate il mio 
                  scritto come un ulteriore contributo al dibattito su Genova. 
                  Dibattito che – in verità  mi è sembrato un po’ a senso 
                  unico. Ritengo utile, quindi, gettare un sasso nello stagno 
                  e inserire la mia voce dissenziente al coro di unanime di quanti 
                  sulle vostre pagine hanno preso le distanze dai cosiddetti Black 
                  Bloc.  
                  Ho letto con molta attenzione il numero 275 della vostra rivista 
                  (dopo Genova). Mi aspettavo  dopo il comunicato congiunto 
                  da voi firmato – che avreste pubblicato delle riflessioni ispirate 
                  alle posizioni da voi precedentemente espresse, ma quello che 
                  vi ho trovato è stato un insipido minestrone di veementi prese 
                  di posizione politica, condito di considerazioni etiche traballanti 
                  e di notizie inventate, se non tratte dalla più trita propaganda 
                  di regime; opinioni, queste, espresse più o meno da quasi tutti 
                  i redattori degli articoli sulle giornate genovesi. Ma procediamo 
                  con ordine.  
                  Voi dichiarate che la violenza non fa parte del vostro DNA 
                  né del vostro orizzonte, pur riconoscendo che in certe 
                  situazioni può essere l’unica “via di fuga”. Pertanto invitate 
                  il movimento – quello anarchico e quello più generale anti-G8 
                   a fare piazza pulita di posizioni e comportamenti “estremistici” 
                  e violenti.  
                  Se è legittimo, per voi, non riconoscervi in pratiche che non 
                  condividete, io, da anarchico, mi e vi domando: chi dovrebbe 
                  fare piazza pulita? Un bel servizio d’ordine di partito? 
                  Le tute bianche? O chi altri? E poi, come mai non limitate l’appello 
                  ai comportamenti e arrivate addirittura alle posizioni? 
                  Cosa significa ciò? Che chi non condivide le vostre idee non-violente 
                  non solo non dovrebbe aver diritto ad esercitare le proprie 
                  pratiche, ma nemmeno a quello di esprimere le proprie posizioni? 
                  Sembra quasi di sentire Berlusconi quando dice che il movimento 
                  no-global non è stato capace di isolare i violenti.  
                  Spero che non invochiate addirittura un maggiore controllo della 
                  polizia, visto che il vostro collaboratore Alessandro Martometti 
                  si lamenta  su una rivista anarchica  che chiunque 
                  poteva entrare tranquillamente a Genova con le intenzioni più 
                  impensate e fare quello che voleva: a Nervi il portone era aperto 
                  e nessun Rappresentante dell’Ordine Pubblico si è sognato poi 
                  di sottrarre la mazza ai legittimi possessori. Anche se 
                  sulla rivista non ne parlate (immagino che abbiate occupato 
                  tutte le pagine con articoli sulla violenza delle tute nere 
                  da non rimanervi più spazio da dedicare alla violenza della 
                  polizia), dovreste sapere che ci hanno provato alla fine, alla 
                  scuola Diaz, a sottrarre la mazza e tutti – forse anche 
                  Martometti – sanno com’è finita.  
                  Francesco Codello afferma di non aver nulla in comune con chi 
                  fa della violenza alla hooligans, con chi si copre il volto 
                  e fa dell’anonimato una scelta politica. È nel suo 
                  diritto. Non so quante denunce lui abbia preso, o quante volte 
                  sia stato arrestato dopo essere stato filmato nell’atto di lanciare 
                  un sasso agli sbirri, ma gli assicuro che in questi casi (io 
                  non mi stanco mai di raccomandarlo nei momenti caldi) 
                  è preferibile coprirsi bene il volto. Sono sicuro che Codello 
                  non lancia sassi, ma allora perché dare una valenza oscura e 
                  minacciosa ad un semplice gesto di autodifesa? E perché poi 
                  scomodare Malatesta per sostenere tesi che lo avranno fatto 
                  rivoltare nella tomba? Del resto il buon Errico, già nel lontano 
                  1896, aveva preso le distanze da chi gli attribuiva simili aberrazioni: 
                   
                  “Poiché alcuni, impressionati dalla mia avversione alla violenza 
                  inutile e dannosa, han voluto attribuirmi, non so se per lodarmi 
                  o per denigrarmi, delle tendenze verso il tolstoismo, io approfitto 
                  dell’occasione per dichiarare che, secondo me, questa dottrina, 
                  per quanto appaia sublimamente altruista, è in realtà la negazione 
                  dell’istinto e dei doveri sociali. […] Vi possono essere dei 
                  casi in cui la resistenza passiva è un’arma efficace, ed allora 
                  sarebbe certamente la migliore delle armi, poiché sarebbe la 
                  più economica di sofferenze umane. Ma, il più delle volte, professare 
                  la resistenza passiva significa rassicurare gli oppressori contro 
                  la causa della ribellione, e quindi tradire la causa degli oppressi”. 
                   
                  Queste parole le ha scritte proprio lui, il povero Malatesta 
                  (spesso citato a sproposito, tanto da epurarne il carattere 
                  rivoluzionario che sempre ha permeato tutti i suoi scritti). 
                  Egli ha sempre considerato la violenza come un male necessario 
                  per opporsi ad un male più grande, e anche in questo scritto 
                  afferma di essere contrario solo alla violenza inutile e 
                  dannosa; quindi Codello avrebbe buon gioco di obbiettare 
                  che quella dei cosiddetti Black Bloc tale è stata, ma è sempre 
                  lo stesso Malatesta, questa volta nel 1922 (a dimostrazione 
                  che, dopo quasi trent’anni, non aveva cambiato parere), a definire 
                  il suo concetto del diritto degli oppressi a ricorrere alla 
                  violenza.  
                  “Lo schiavo è sempre in istato di legittima difesa e quindi 
                  la sua violenza contro il padrone, contro l’oppressore è sempre 
                  moralmente giustificabile”.  
                  “Per noi l’oppresso […] ha sempre il pieno diritto di ribellarsi 
                  senza aspettare che lo si prenda a fucilate; e sappiamo che 
                  spesso l’attacco è il più valido mezzo di difesa”.  
                  
                    
                  La rivolta di strada  
                 
                Ma, ritornando a Genova, mi spiegate dov’è stata tutta questa 
                  violenza da dover prendere le distanze? Dove sono i poliziotti 
                  morti e feriti? Non so se ve ne siete accorti, ma l’unico sangue 
                  che si è visto è stato quello dei dimostranti. O – per voi  
                  sono violenza una vetrina rotta, un cassonetto rovesciato, un’automobile 
                  data alle fiamme?  
                  È veramente ridicolo constatare come l’idiosincrasia 
                  della rivolta agiti i sonni di alcuni anarchici. Cosa sarebbe 
                  stato il 68 senza le molotov e le barricate? Solo dei 
                  bei manifesti serigrafati da mettere in mostra, trent’anni dopo, 
                  nelle gallerie borghesi.  
                  Ricordo che a Torino qualche anno fa si è tenuto un incontro 
                  dei G7: ci fu una manifestazione modesta a cui molti di quelli 
                  che ora blaterano su Genova non si sono presi la briga di partecipare. 
                  Eppure anche allora la globalizzazione era in atto. Ci sarebbe 
                  stata la manifestazione di Genova senza Seattle? E cosa ha caratterizzato 
                  Seattle se non la rivolta di strada?  
                  Codello però si spinge oltre, accumunando chi lancia i sassi 
                  a chi manda buste e bombe che colpiscono nel mucchio, feriscono 
                  (solo casualmente non uccidono) persone che nulla hanno a che 
                  fare col Potere.  
                  Ora, l’unica busta esplosiva di cui ho sentito parlare (forse 
                  Codello ha delle informazioni particolari e riservate) è stata 
                  inviata ad una stazione dei CC e ha ferito un carabiniere; non 
                  è stata rivendicata e quindi non può essere ascrivibile a nessuno, 
                  anche se qualche magistrato ha ipotizzato una matrice anarco-insurrezionalista. 
                  Possiamo discutere sull’opportunità o meno di inviare  
                  prima della manifestazione  simili messaggi, ma affermare 
                  che i carabinieri (che poi hanno assassinato, con un’esecuzione 
                  sommaria, Carlo Giuliani) siano persone che nulla hanno a 
                  che fare col Potere, mi sembra proprio uno sproloquio.  
                  Ma veniamo al Black Bloc. Sebbene, innegabilmente, esistano 
                  a livello internazionale dei gruppi che si riconoscono in questa 
                  sigla, mi aspettavo che gli anarchici avessero l’intelligenza 
                  politica di comprendere con chiarezza il ruolo, senz’altro attivo 
                  ma per molti versi marginale, svolto da questi gruppi nella 
                  situazione di Genova. Come si può essere così sprovveduti (altrimenti 
                  sarebbe malafede) da non comprendere che il paventato Black 
                  Bloc non è stato altro che un’invenzione mediatica? Invenzione 
                  che ha fatto comodo a tutti i politicanti: al Potere per giustificare 
                  la sua violenza indiscriminata e al Social Forum per negare 
                  la rivolta di strada, riconducendola sul terreno della provocazione. 
                   
                  Da sempre i comunisti, quando non riuscivano a controllarla, 
                  hanno denigrato l’insorgenza popolare come frutto dell’opera 
                  di provocatori e infiltrati, ma che oggi ci si mettano pure 
                  gli anarchici è veramente una cosa sconvolgente.  
                  “E piazza De Ferrari in un attimo fu presa / Fascisti e celerini 
                  chiedevano la resa / Poi poi poi ci chiamavano teddy boys…” 
                  cantavano i magnifici ragazzi genovesi, quelli dalle magliette 
                  a strisce, che nel lontano 1960 avevano messo a soqquadro la 
                  loro città, per impedire il congresso del rinato partito fascista. 
                   
                  “La piazza spazza via l’immondizia fascista” titolava 
                  a piena pagina Umanità Nova e, sempre sullo stesso numero del 
                  giornale, scriveva Umberto Marzocchi: I giovani, principalmente, 
                  reagivano energicamente, tenendo testa con decisione e coraggio, 
                  ai colpi, agli idranti, ai caroselli lungo la via XX settembre 
                  e piazza De Ferrari […]. L’anima leggendaria del Balilla genovese 
                  sembrava rivivere nel coraggio gagliardo dei giovani che, attaccati, 
                  tenevano in scacco le forze di polizia […]. Ancora una volta 
                  i giovani sono stati all’avanguardia del movimento. Dall’inizio 
                  alla fine hanno saputo respingere il tentativo poliziesco di 
                  soffocare la grande voce del popolo genovese […]. Genova ha 
                  vinto! […] La lezione di Genova dimostra che noi avevamo ragione 
                  quando dicevamo che ai palleggiamenti parlamentari bisognava 
                  opporre la piazza, la rivolta popolare […]. I giovani sono giunti 
                  all’appuntamento della piazza con decisione, con slancio, con 
                  audacia. Non hanno deluso le nostre speranze. A Genova hanno 
                  parlato i fatti. Gli anarchici sono stati presenti in piazza, 
                  col popolo insorto, con i giovani in azione. Queste sono 
                  le parole che mi aspettavo di leggere su un giornale anarchico. 
                  E, infatti, le ho trovate. Ma cosa troveranno, fra quarant’anni, 
                  coloro che sfoglieranno il numero 275 di A (dopo Genova)? 
                   
                  Alla violenza del sistema non si può rispondere adottando 
                  gli stessi criteri, ed il menare le mani, per quanto può essere 
                  liberatorio non può far parte di un modello auspicabile 
                  (Paolella).  
                  È indispensabile dunque fare chiarezza, non lasciare 
                  spazio a zone d’ombra, a complicità, ad ammiccamenti con chi 
                  pensa (ammesso che pensi) di poter cambiare il mondo con la 
                  convinzione che basti accendere il fuoco del ribellismo, della 
                  violenza, per far sì che vi sia una presa di coscienza collettiva 
                  in senso libertario (Codello).  
                  
                    
                  La volontà di ribellarsi  
                 
                A Genova, nel luglio scorso, c’erano numerosi compagni (non 
                  solo del Black Bloc) che hanno attaccato non persone ma simboli 
                  del Potere (banche, supermercati, finanziarie, assicurazioni, 
                  ecc...) e numerosissimi manifestanti che hanno reagito alle 
                  brutali cariche poliziesche nell’unico modo che andava fatto 
                  – malatestianamente  opponendo la violenza alla violenza. 
                   
                  Lasciamo agli Agnoletti e Casarini, furenti per non essere stati 
                  in grado di controllare un movimento che non gli appartiene, 
                  le farneticazioni idiote su provocatori, nazisti e poliziotti 
                  infiltrati. Pensate veramente che, quand’anche fosse vero (le 
                  prove presentate in merito dal Social Forum sono ridicole), 
                  tali personaggi sarebbero riusciti a creare la situazione che 
                  si è determinata in quei giorni? È stata solo la rabbia, 
                  la volontà di ribellarsi, di reagire alle cariche, di non farsi 
                  schiacciare di quanti hanno generosamente partecipato agli scontri. 
                  La stessa morte di Giuliani sta a dimostrarlo. Non era un Black 
                  Bloc “cattivo”, ma un comune ragazzo genovese, che viveva la 
                  sua vita e tifava per la sua squadra di calcio (anche se ciò 
                  può lasciare perplesso il vostro collaboratore Adriano Paolella), 
                  ma che aveva detto basta all’arroganza del Potere. Non capire 
                  questo significa non comprendere le dinamiche sociali della 
                  rivolta (magistralmente espresse da Bakunin), di quel momento 
                  magico in cui anche quelli che sino al giorno prima non si interessavano 
                  alle idee rivoluzionarie prendono improvvisamente coscienza 
                  e si mettono in gioco, sino a lasciarci la pelle. Tutto questo 
                  non solo non viene compreso, ma persino denigrato e si parla 
                  di nugoli di soggetti di ispirazione vandalica, sul modello 
                  degli ultrà dello stadio, gente di assoluta ignoranza politica 
                  ma bruciante del desiderio di sfogare la propria frustrazione 
                  quotidiana (Stefano Olimpi). Come se la frustrazione 
                  quotidiana non fosse il frutto di una società autoritaria, 
                  basata sullo sfruttamento e sulla produzione-consumo di merci 
                  inutili, e il compito degli anarchici non fosse quello di trasmettere 
                  i propri valori a coloro che si ribellano senza averne coscienza! 
                  E poi Codello ci viene a dire, riferendosi al blocco nero, che 
                  sono fautori di una concezione aristocraticamente e leninisticamente 
                  astratta! Senti chi parla!  
                  Mi rendo conto che non tutti gli anarchici possano condividere 
                  la pratica di distruzione dei simboli del Potere portata avanti 
                  dal Black Bloc, e che a qualcuno venga il mal di stomaco. 
                  Questione di sensibilità. Personalmente, l’immagine di una banca 
                  devastata, con le A cerchiate tracciate sul muro, mi scalda 
                  il cuore e mi convince – anche se sono cosciente che non sarà 
                  certo questa azione a mutare l’esistente, ma quale manifestazione 
                  pacifica può tanto?  che l’anarchismo ha ancora un futuro 
                  e che, nonostante l’ammosciamento generale del movimento 
                  anarchico, lo spirito di rivolta continua a serpeggiare fra 
                  le giovani generazioni e, diversamente dai decenni passati, 
                  si tinge di un nero libertario e liberatorio.  
                  Ovviamente, mi rendo conto che Codello (e quanti la pensano 
                  come lui) di questo spirito di rivolta ne farebbero volentieri 
                  a meno: Un anarchismo del XXI secolo non può non considerare 
                  come indispensabile ripensare e superare quella parte del suo 
                  pur straordinario patrimonio storico che hanno avuto ragione 
                  e senso in un’epoca storica che non c’è più , tanto per intenderci 
                  quella che termina con la rivoluzione spagnola del 36-39. 
                 
                  
                    
                  Con che diritto?  
                 
                Che significa tutto ciò? Che ogni azione illegale e violenta 
                  avvenuta dopo questa data (come ad esempio il rapimento  
                  negli anni sessanta  del console Elias, celebrato qualche 
                  tempo fa sulla vostra rivista) sia da considerarsi un atto sconsiderato 
                  ed eticamente non consono agli ideali dell’anarchismo?  
                  Codello è libero di operare tutte le revisioni che vuole ma 
                  ci permetta almeno di dissentire e di non essere d’accordo con 
                  lui. Trovo che sia veramente paradossale che proprio chi rifiuta 
                  la “tradizione” possa permettersi di lanciare anatemi a coloro 
                  che ne sono rimasti coerenti: Dobbiamo aver il coraggio di 
                  uscire dall’equivoco che ci portiamo appresso di considerare 
                  “anarchici” alcuni compagni che sbagliano [questa parole 
                  le ho già sentite] perché sono i comportamenti che determinano 
                  la discriminante e non le dichiarazioni di appartenenza. 
                   
                  Furore anatemico che pervade anche gli altri collaboratori. 
                  Se nel comunicato Niente abbiamo a che spartire si prendono 
                  le distanze in maniera pesante (Chiunque può definirsi anarchico: 
                  noi guardiamo ai comportamenti e non alle etichette), ma 
                  riconoscendo – almeno implicitamente – il diritto ad altri di 
                  essere sì diversi ma pur sempre anarchici. 
                  Paolella si spinge ancora oltre. Riferendosi ai Black Bloc, 
                  afferma: Non si comportano da anarchici e, data l’importanza 
                  che nell’area di pensiero anarchico ha la continuità e l’omogeneità 
                  tra mezzo e fine, si può sostenere che non siano anarchici. 
                   
                  Un’affermazione gravissima. Chi è Paolella, da potersi permettere 
                  un giudizio di tale portata? Può non essere d’accordo con le 
                  loro pratiche, è nel suo diritto. Può rivendicare un’anarchismo 
                  con concezioni e percorsi diversi e distanti, è sempre nel suo 
                  diritto. Ma, per sostenere che non siano anarchici, lo 
                  deve dimostrare.  
                  Chi ha incaricato Paolella a decretare il decalogo del comportamento 
                  degli anarchici? Ce lo faccia sapere. Le argomentazioni portate 
                  a sostegno delle sue tesi (elencate in ben sette punti) oltre 
                  ad essere futili e menzognere (poiché basate su una conoscenza 
                  dei fatti presa dai quotidiani e dalle dichiarazioni delle tute 
                  bianche) non dimostrano l’assunto.  
                  1) Il fatto che, molto probabilmente, Paolella legga solo i 
                  giornali anarchici di suo riferimento non lo autorizza 
                  a dire che i casseurs non abbiano un pensiero di riferimento. 
                   
                  2) La quantità degli oggetti devastati dipende dalle scelte 
                  di chi lo fa, ma non ne determina assolutamente la liceità sul 
                  piano etico. Devastare una banca non è eticamente più corretto 
                  che devastarne 10 o 50.  
                  3) I tamburi e le marcette non erano espressione 
                  collettiva, ma iniziativa di chi ha scelto di autorappresentarsi 
                  in tale maniera folkloristica (tanto che i telegiornali l’hanno 
                  riprodotto sino alla noia). Accomunare (che piacciano o meno) 
                  quattro tamburini vestiti di nero alle buffonate dei nazisti 
                  è del tutto pretestuoso e arbitrario.  
                  4) Come quando dove e da chi Paolella ha saputo che erano 
                  militarizzati, avevano dei capi, erano obbedienti 
                  agli ordini impartiti? Era in mezzo a loro o l’ha letto 
                  nei rapporti della questura?  
                  5) Sul viso coperto ho già risposto a Codello e sul fatto che 
                  si sono cambiati per rientrare al corteo mischiandosi con 
                  i manifestanti valgono le domande di cui al punto precedente. 
                   
                  6) L’aver lavorato a cottimo è una tale cazzata da non meritare 
                  risposta.  
                  7) Il fatto di essersi comportati da provocatori, tirandosi 
                  dietro più volte la polizia sul corteo, è una falsità che 
                  non trova alcun riscontro in quanto è accaduto a Genova. L’unica 
                  volta in cui i neri si sono tirati dietro la polizia 
                  è stato, il venerdì, nella piazza dove vi era il concentramento 
                  dei pacifisti, che sono stati poi caricati. Diverse testimonianze 
                  hanno confermato che ciò è stato il frutto di una casualità: 
                  tale piazzetta era in alto sopra Brignole, i Black Bloc, 
                  inseguiti dalla sbirraglia dopo aver bruciato il portone del 
                  carcere di Marassi (che indecenza! degli anarchici che dan fuoco 
                  alle carceri! È risaputo che solo in Spagna nel 36 
                  aveva senso fare simili azioni), vi sono arrivati  non 
                  conoscendo la città  inintenzionalmente e senza alcuna 
                  disegno preordinato di coinvolgere i non-violenti nelle loro 
                  storie. La responsabilità di quanto è successo è tutta della 
                  polizia.  
                  
                    
                  Almeno l’onestà intellettuale  
                   
                Sfido Codello e Paolella, o chi per loro, a dimostrare, con 
                  fatti veri e documentati, la disomogeneità tra mezzi e fini 
                  espressa da tutti coloro (non voglio definirli Black Bloc 
                  che, come ho già detto, nel caso di Genova, sono solo un’invenzione 
                  mediatica) che hanno operato scelte di attacco e di scontro 
                  a Genova, compagni a cui non intendo fare ammiccamenti 
                  ma dichiarare la mia piena, totale e solidale complicità. 
                  Oggi come ieri, A Genova hanno parlato i fatti. Gli 
                  anarchici (non tutti, purtroppo) sono stati presenti 
                  in piazza, col popolo insorto, con i giovani in azione. 
                   
                  Siete liberi di pensare che la pratica di distruzione violenta 
                  dei simboli del Potere ci allontani dalla gente, pertanto sia 
                  dannosa e vada respinta, ma questa è unicamente una vostra scelta 
                  politica. Se vi assumete la responsabilità di scomodare l’etica 
                  (oltre che Malatesta), dovreste almeno avere l’onestà intellettuale 
                  di analizzare i fatti avulsi da ogni contesto e da ogni considerazione 
                  di opportunità politica. Eticamente non è anarchico solamente 
                  chi riconosce allo Stato il diritto ad esistere. Il resto sono 
                  solo menate. Non confondiamo l’etica con la politica.  
                  
                  Tobia Imperato 
                  
                  
                   
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