rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


ricordando Jorge Amado

Un eretico del Socialismo
di Giovanni Alioti

Un grande scrittore, la cui storia si è intrecciata con il Partito comunista brasiliano. Ma ad un certo punto...

Il Brasile, terra dei paradossi, non si è smentito nemmeno in occasione della scomparsa di Jorge Amado, il suo scrittore più popolare e di maggior successo. Nei giorni seguenti la sua morte, non pochi sono stati i riconoscimenti alla vastità e coerenza della sua opera letteraria (mossa sempre dalle stesse utopie), al lirismo dei suoi romanzi, alla valorizzazione e innovazione della lingua portoghese. La stranezza, alla base del paradosso, è stato verificare quanti tra coloro che omaggiavano “l’eroe morto” erano gli stessi che nell’ambiente universitario, nell’élite brasiliana e tra i critici letterari avevano da sempre disprezzato i suoi libri o li avevano coperti di un manto di silenzio.
Evidentemente il Brasile non si sottrae alla regola per cui si riconosce autorità e valore ad un’opera solo “post mortem”. E pensare che Jorge Amado voleva essere ricordato, più di ogni altra cosa, come il romanziere delle puttane e dei vagabondi. In questo suo essere il cantore dei diseredati, lo scrittore baiano ci appare per certi versi simile, pur nella sua profonda diversità di indole, di appartenenza generazionale e di espressione artistica, al nostro Fabrizio De André.
Eppure la critica letteraria brasiliana, in relazione all’opera di Jorge Amado, si è dimostrata – in tutti questi anni – incapace di giudicare e capire. In verità ci fu anche di peggio. Durante l’Estado Novo, la dittatura populista instaurata da Getúlio Vargas nel 1937, centinaia di esemplari dei suoi libri furono inceneriti in un falò, in perfetto stile nazista, acceso nel centro della città di Salvador. Sin da quel tempo Jorge Amado era uno scrittore scomodo, e per molti ha continuato ad esserlo.
Questo assunto non valeva, viceversa, per la considerazione e la stima di cui Jorge Amado godeva tra la gente. Mario Vargas Llosa racconta, ad esempio, che quando fu a Salvador de Bahia nel 1982, per la festa dei 70 anni di Jorge Amado, rimase meravigliato dell’entusiasmo con cui la gente del popolo lo festeggiava. “[...] Io sapevo che egli era popolare nella terra che la sua fantasia e la sua prosa hanno reso famosa in tutto il mondo, ma mai avrei immaginato che questo prestigio e affetto avesse radici in tutti i segmenti sociali, a partire dai più poveri, dove è improbabile che leggano i suoi libri [...]”.
A dispetto di ciò e nonostante la diffusione internazionale dei suoi romanzi (tradotti in 48 lingue differenti), nel mondo accademico brasiliano Jorge Amado è stato uno scrittore doppiamente discriminato: per la sua utopia socialista e per essere uno scrittore di successo.
Anche la critica non ha mai sopportato questa sua duplice condizione, finendo per avere una visione assolutamente miope della sua opera letteraria. Il fatto che Jorge Amado fosse un scrittore impegnato politicamente e socialmente, ha rappresentato per molti critici una barriera ideologica alla lettura, all’interpretazione e alla valutazione dei suoi romanzi.
Questo preconcetto verso il politico, si è unito alla logica elitaria storicamente dominante tra gli intellettuali brasiliani, che da sempre hanno dato importanza solo agli autori che solo loro leggono, mentre arricciano il naso per qualsiasi scrittore che abbia accesso ad un vasto pubblico.
L’obiettivo di Jorge Amado era, al contrario, la ricerca di un’ampia accettazione popolare, scrivendo per un grande numero di lettori allo scopo di liberare così la letteratura brasiliana dal dominio della élite al potere. Per questo i suoi romanzi hanno trovato le proprie radici, in primo luogo, nella tradizione popolare nordestina (la letteratura di poco valore, i cantastorie) e poi nell’estetica del realismo critico e di denuncia. Questo realismo sociale è, però, temperato nelle pagine di Amado dalla descrizione fantastica e dalla visione sognatrice propria della tradizione romanzesca del XIX secolo, così come da una certa rappresentazione teatrale melodrammatica.
Possiamo affermare che Jorge Amado in quegli anni ebbe, dall’altra parte dell’atlantico e senza saperlo, la stessa intuizione di Walter Benjamin, il quale dimostrava che se il grande pubblico preferiva un film di Charles Chaplin ad un quadro di Pablo Picasso, era perché Chaplin giocava con tutta la tradizione del circo, del melodramma, delle storie di appendice e, con questo, sapeva fare arte per le masse.

 

Comunista, però...

Già negli anni ‘30 Jorge Amado, guardando al futuro, cominciava a sviluppare una letteratura rivolta alle grandi masse che iniziavano ad alfabetizzarsi. Il suo pubblico preferenziale, come egli stesso affermava, doveva essere formato da studenti e operai, ma paradossalmente queste categorie di lettore erano raggiunte più all’estero che in Brasile.
Da Il paese del carnevale, il suo primo romanzo pubblicato quando aveva solo 18 anni, fino alla trilogia del 1952 I sotterranei della libertà (con certezza la sua opera più propagandistica sul piano politico, di cui recentemente Einaudi ha pubblicato in italiano il secondo volume Agonia nella notte), i libri di Jorge Amado hanno accompagnato da vicino la traiettoria del Partito Comunista Brasiliano e le trasformazioni della sinistra brasiliana. Nei suoi libri pubblicati fino agli anni ‘50 s’incontrano, però, tanto l’illusione iniziale riposta nel partito, quanto il suo successivo disincanto. Certamente, in nessuno degli scrittori brasiliani dell’ultimo secolo la relazione dell’arte con la politica è così presente come nella prima fase letteraria di Jorge Amado, ma soprattutto durante e dopo il suo rientro in Brasile dall’esilio in Europa (1948-52).
Erano gli anni della guerra fredda nel mondo e delle dittature in America Latina (in Brasile al potere c’era nuovamente Getúlio Vargas), l’immagine pubblica di Jorge Amado (premio Lenin della letteratura) e la sua opera si identificavano con l’idea dello scrittore militante, che usa la penna come arma per denunciare le ingiustizie sociali, le tirannie, lo sfruttamento e per conquistare proseliti alla causa socialista.
Gli scritti di allora di Jorge Amado, come quelli di suoi contemporanei ispanoamericani dell’epoca – Pablo Neruda o Miguel Ángel Asturias – erano animati da un’ideale civico e morale (rivoluzionario è la parola appropriata), ma al tempo stesso estetico.
Quello che ha salvato Jorge Amado dalla trappola in cui sono caduti molti scrittori latino-americani “impegnati”, che diventarono come voleva Stalin “ingegneri di anime”, ossia meri propagandisti, fu che nei suoi romanzi politici un elemento intuitivo, istintivo e vitale vinceva sempre sui limiti ideologici e distruggeva gli schemi razionali. Ma nonostante questa felice sintesi tra denuncia politica e sociale, grande narrazione e “realismo magico”, è evidente che – cadute le illusioni e i miti che “adornavano” il socialismo reale – quegli scritti hanno perso l’aggressività e la freschezza di un tempo. In altre parole sono invecchiati.
Ma il primo a percepirlo fu lo stesso Jorge Amado che, pur senza il trauma di una rottura con il passato, diede una svolta nella sua opera letteraria, spoliticizzandola, liberandola di presupposti ideologici e tentazioni pedagogiche, aprendola verso altre manifestazioni della vita, cominciando dall’ironia divertita e terminando nei piaceri del corpo e nei giochi dell’intelletto.
Nascono così i suoi indimenticabili personaggi femminili, come Gabriella, garofano e cannella (1958) e Dona Flor e i suoi due mariti (1966) e, poi, quello che viene considerato un manifesto della liberazione della donna Teresa Batista stanca di guerra (1972).
Nei libri scritti in questa seconda fase dal 1958 fino al 1992 (vedi biografia) non c’è, però, né incoscienza né miopia rispetto alle avversità, alle atroci privazioni con le quali l’immensa maggioranza delle persone in Brasile fa i conti quotidianamente. Sofferenza, inganno, abuso, menzogne e stupidità sono presenti tanto nelle sue pagine quanto nella vita dei suoi lettori. Ma nei romanzi di Jorge Amado tutte le disavventure del mondo non bastano per piegare il desiderio di sopravvivenza, l’allegria di vivere, l’ingegno gioviale e scherzoso che anima i suoi personaggi. Questo amore per la vita è tanto intenso e contagioso che, leggendo le storie raccontate da Amado, ci si convince che qualsiasi siano le circostanze negative in cui si vive, sempre ci sarà nella vita umana un posto per il divertimento e un altro per la speranza.

 

Immensa disillusione

È forse la cosa più bella che ci lascia, da usare come un manuale di resistenza popolare, come un’antidoto contro il potere (…una risata vi seppellirà …) e contro tutti gli integralismi, come un talismano per continuare a sognare.
Infine, per amore di verità e di rispetto verso la sua persona e verso Zélia Gattai, la sua compagna di vita da oltre 50 anni, è doveroso chiarire che, nonostante sia considerato ancora oggi un comunista (in particolare in Italia), Jorge Amado è stato il primo grande intellettuale brasiliano ad abbandonare il PCB (e questo è un fatto poco conosciuto). Uscì, infatti, dal partito verso la fine del 1954, prima del 20º Congresso del PCUS del 1956, in cui furono denunciati per la prima volta dagli stessi comunisti i crimini di Giuseppe Stalin.
Jorge Amado mai ammise, pubblicamente, l’immensa disillusione avuta nei confronti del PCB, perché non volle esporre la sua ferita e non volle trasformarsi in un anticomunista o in un dissidente. Preferì semplicemente allontanarsi dal partito e conservare con sé le sue idee e convinzioni politiche, rimaste coerentemente di sinistra. La scelta di non rompere apertamente con il partito comunista può essere criticabile, in quanto ha ritardato in Brasile la presa di coscienza sugli orrori dello stalinismo e sulle mistificazioni del “socialismo reale”, ma non possiamo dimenticare il contesto e l’orientamento prevalente in quegli anni dell’intellighenzia di sinistra (compresi molti che ragionavano con la loro testa) di tenere nascosta la verità per paura di consegnare al campo avversario la vittoria definitiva.
Nonostante alcune delle critiche siano legittime (dipende ovviamente da che pulpito provengono), ci sono episodi che dimostrano, però, in modo inconfondibile l’indipendenza intellettuale di Jorge Amado. Ad esempio quando il PCB maledisse lo scrittore Graciliano Ramos, perché aveva rinnegato il realismo socialista, Amado fu il primo a solidarizzare con l’amico e ad alzarsi in sua difesa.
Con il tempo è indubbio che Jorge Amado ha maturato una visione “eretica” del socialismo, più coerente con i suoi sentimenti (e i suoi istinti): refrattaria ai principi autoritari, insofferente verso il burocratismo, sarcastica verso la cultura accademica, irriverente nei confronti delle gerarchie prodotte dalla ricchezza e dal potere, mediata dal sincretismo culturale e religioso espressione originale del “meticciato” e della negritudine della gente di Bahia.
Alcuni dei tratti “anarchici” (spesso nascosti e sotterranei) di questo comune sentire di Jorge Amado si ritrovano nel libro autobiografico O menino grapiúna (di cui si riportano di seguito alcuni brani), scritto nel 1981, dalle cui pagine traspare la natura e la passione libertaria del suo pensiero.
“[...] I capi e gli eroi sono vuoti, sciocchi, prepotenti, odiosi e malefici. Mentono quando si dicono interpreti del popolo e pretendono di parlare a suo nome, poiché la bandiera che impugnano è quella della morte, per sopravvivere hanno bisogno dell’oppressione e della violenza. Quale che sia la posizione che assumono, il sistema di governo o il tipo di società, il capo e l’eroe esigeranno obbedienza e culto.
Non possono sopportare la libertà, l’invenzione e il sogno, hanno orrore dell’individuo, si pongono al di sopra del popolo, il mondo che costruiscono è brutto e triste. É sempre stato così, chi riesce a distinguere tra l’eroe e l’assassino, tra il capo e il tiranno?
L’umanesimo nasce da coloro che non possiedono carisma e non detengono nessuna parcella di potere. Se pensiamo a Pasteur e a Chaplin, come ammirare e stimare Napoleone? [...]”

“[...] Per il bambino di Bahia - strappato alla libertà delle strade e dei campi, delle piantagioni e degli animali, dei palmeti e dei villaggi sorti da poco - l’internato nel collegio dei gesuiti fu la carcerazione, il tentativo di domarlo, di sottometterlo, di obbligarlo a pensare con la testa degli altri.
L’intenzione del padre era di educarlo
nel migliore collegio, il più rinomato.
Non si rendeva conto di come violentava il figlio.

La stessa sensazione di soffocamento, di costrizione, sarei tornato a provarla più volte nel corso della mia vita. Nel desiderio di servire cause giuste e generose, mi è capitato di accettare incarichi e di svolgere compiti non graditi - per due anni, ad esempio, sono stato deputato federale, pur non avendo vocazione parlamentare né gusto per la carica.
Allo stesso modo, per identici motivi, in certe occasioni ho accettato e ripetuto concetti, regole e tesi che non erano miei, ho pensato con la testa degli altri.
Nel collegio dei gesuiti, grazie alla mano eretica di padre Cabral, trovai nei
Viaggi di Gulliver le vie della liberazione, i libri mi aprirono le porte della galera. L’eresia di padre Cabral era estremamente limitata, non aveva nulla a vedere con i dogmi della religione. Eretico soltanto per quel che concerneva i metodi di insegnamento della lingua portoghese in uso a quell’epoca, e tuttavia quella piccola ribellione si rivelò positiva e creatrice. L’eresia è sempre attiva e costruttiva, apre nuove prospettive. L’ortodossia invecchia e fa marcire idee e uomini.
La lunga e dura esperienza mi ha insegnato, con il passare degli anni, l’importanza di pensare con la propria testa. Per pensare e agire di testa mia, pago un prezzo molto alto, bersaglio quale sono delle pattuglie di ronda di tutte le ideologie, di tutti i radicalismi ortodossi. Un prezzo molto alto, e nonostante tutto modico. [...]”

“[...] Non saranno per caso le ideologie la disgrazia del nostro tempo? Il pensiero creativo sommerso, soffocato dalle teorie, dai concetti dogmatici, il progresso dell’uomo intralciato da regole immutabili?
Sogno una rivoluzione senza ideologie, dove il destino dell’essere umano, il suo diritto a mangiare, a lavorare, ad amare, a vivere la vita pienamente non sia condizionato al concetto espresso ed imposto da un’ideologia, non importa quale.
Un sogno assurdo? Non abbiamo un diritto più grande e inalienabile del diritto al sogno. L’unico che nessun dittatore può ridurre o annientare. [...]”

Giovanni Alioti

 

Da Ferradas a Salvador

Jorge Amado nasce il 10 agosto del 1912 a Ferradas, distretto del municipio di Itabuna, nella regione del cacao nel sud dello Stato di Bahia, dove il padre di professione commerciante aveva acquistato una fazenda.

Alla fine degli anni ‘20 nella città di Salvador capitale dello Stato di Bahia, dove completa gli studi secondari, Jorge Amado comincia ad interessarsi di politica, finendo per integrarsi ad un gruppo di intellettuali rivoluzionari legati al movimento modernista dell’Accademia dei Ribelli. Passa a collaborare con giornali e riviste di sinistra, che esprimono il suo “anticonformismo” rispetto alla situazione brasiliana di quel periodo. Lavora, quindi, come giornalista nel Diário da Bahia, nelle riviste A Luva, Dom Casmurro e Para Todos e nel giornale O Imparcial di Salvador.

Negli anni ‘30 si trasferisce a Rio de Janeiro per frequentare l’Università, dove si laurea in Scienze Giuridiche e Sociali, ma senza abbandonare la passione per il giornalismo e la letteratura, che lo hanno ormai conquistato. È, infatti, in quest’epoca che Jorge Amado, influenzato dagli amici Santiago Dantas e Augusto Frederico Schmidt, pubblica il suo primo libro O país do carnaval (1931). Ma è nel 1932 che, dopo aver diretto vari giornali e riviste, Jorge Amado convinto da Rachel de Queiroz diventa militante político del Partido Comunista Brasileiro (PCB), il cui leader è ancora il comandante rivoluzionario Luiz Carlos Prestes.

A partire da allora scrive vari romanzi impegnati, come Cacau (1933), censurato e proibito durante l’Estado Novo del dittatore Getúlio Vargas, la serie di romanzi urbani ambientati nella città Salvador: Suor (1934), Jubiabá (1935), Mar Morto (1936) e Capitães de areia (1937) ) e A estrada do mar (1938). È in questa epoca che i libri di Jorge Amado cominciano ad essere tradotti in varie lingue, mentre in Brasile subiscono la censura del regime.

Nei primi anni ‘40 Jorge Amado per fuggire alla polizia politica di Vargas va in esilio a Buenos Aires e a Montevideo (1941/42). È in quel periodo che pubblica il libro ABC de Castro Alves, una biografia del grande poeta baiano Antônio Castro Alves (1941) e la biografia del leggendario comunista brasiliano Luiz Carlos Prestes Cavalheiro da Esperança (1942). Rientrato in Brasile nel 1942 è arrestato e incarcerato. Tornato in libertà l’anno dopo, pubblica i romanzi Terras do Sem fim (1943), São Jorge dos Ilhéus (1944) e il libro sulla città di Salvador Bahia de Todos os Santos (1945).

Nel 1945 è eletto deputato federale per il PCB, come rappresentante dello Stato di São Paulo, ma il suo mandato dura solo due anni in quanto il maresciallo Eurico Gaspar Dutra, allora presidente (1946/51), mette fuorilegge i partiti di sinistra. In quegli anni pubblica il romanzo Seara Vermelha (1946) e un pezzo teatrale intitolato Amor do Soldado (1947).

Perseguitato abbandona nuovamente il Brasile e viaggia in diverse parti del mondo, svolgendo un’azione sistematica di denuncia della realtà politica del suo paese. Sono gli anni in cui Jorge Amado conosce l’Unione Sovietica e i paesi dell’Europa Occidentale dove vive, esiliato, a Parigi (1948/50) e a Praga (1951/52). Durante l’esilio pubblica solo il libro O mundo da paz (1951), mentre con il suo ritorno in Brasile dà alle stampe (1952-54) la trilogia Subterrâneos da liberdade (composta dai romanzi Tempos difíceis, Agonia da noite e, infine, A luz no fundo do túnel), le sue opere più dichiaratamente politiche al servizio della propaganda di partito.
Alla fine degli anni ‘50 Jorge Amado, ormai uscito dal PCB sin dal 1954, apre una nuova fase della sua opera di scrittore, ampliando le tematiche narrative e incorporando nella sua prosa nuovi elementi come il lirismo e l’ironia. I libri successivi al periodo della militanza politica, pur continuando a ruotare su personaggi socialmente emarginati, rivelano infatti una prosa fantastica che descrive con colori vivi e sensuali i costumi e la dimensione magica e reale di Bahia. A questo proposito si è parlato di regionalismo bahiano, ma l’orizzonte regionalista di Jorge Amado abbraccia temi universali, con uno stile personalissimo aderente alle radici e al sentimento popolare della gente di Bahia, attraversando il realismo critico e tutti gli altri movimenti della moderna letteratura brasiliana.

Questa seconda fase della svolta letteraria di Jorge Amado si apre con il romanzo Gabriela, Cravo e Canela (1958), uno dei suoi maggiori successi internazionali, tradotto in 33 lingue. A questo libro seguono cronologicamente i romanzi A morte e a morte de Quibas Berro d’água (1961), Os velhos marinheiros ou Capitão de longo curso (1961), Os pastores da Noite (1964), Dona Flor e seus dois maridos (1966), Tenda dos Milagres (1969), Tereza Batista Cansada de Guerra (1972), Tieta do agreste (1977), Farda, Fardão e camisola de dormir (1979), Tocaia Grande (1984), O sumiço da Santa (1988), A descoberta da América pelos turcos (1992).
In questo arco di tempo (dagli anni ‘60 agli anni ‘90) vengono, inoltre, pubblicati alcuni libri per bambini
O gato molhado e a andorinha Sinhá (1976) e A bola e o goleiro (1984); un racconto Do recente milagre dos pássaros (1979) e due libri di memorie O menino Grapiúna (1981) e Navegação de Cabotagem (1992).

La quasi totalità dei libri di Jorge Amado sono pubblicati in italiano da diversi editori e molte delle sue opere sono adattate per il cinema, il teatro e, in Brasile principalmente, per le telenovelas. Alcuni dei romanzi più famosi sono conosciuti all’estero, anche grazie al successo cinematografico ottenuto dal film “Gabriela”, interpretato da Marcello Mastroianni e da Sônia Braga, e dai film “Dona Flor e seus dois maridos” e “Tieta do Agreste”, con l’attrice Sônia Braga ancora nella parte della protagonista.

Durante la sua lunga vita Jorge Amado riceve vari premi internazionali come il Premio Internazionale Lenin (Mosca, 1951), il Premio della Latinità (Parigi, 1971), il Premio dell’Istituto Italo-Latinoamericano (Roma, 1976), il Premio Pablo Neruda (Mosca, 1994) e il Premio Luís de Camões (Lisbona, 1995).

Negli ultimi anni, a causa dei suoi problemi cardiaci (nel 1993 ha un primo infarto), Jorge Amado si ritira a Salvador de Bahia con la compagna di tutta la sua vita, la moglie Zélia Gattai, scrittrice e libertaria, figlia di immigrati anarchici italiani arrivati a São Paulo dalla Toscana all’inizio del XX secolo.

Muore a Salvador de Bahia la notte del 6 agosto 2001 a pochi giorni dal suo 89° compleanno. Il suo corpo è cremato e le sue ceneri, secondo la sua volontà, sono disperse alla base di un grande albero di mango, che lui stesso ha piantato tanti anni fa nel giardino di casa.

G.A.