rivista anarchica
anno 31 n. 275
ottobre 2001


G8

Qui stadio a voi strada
di Filippo Benfante e Piero Brunello

Quali rapporti tra ultras e politica? Ne scrivono qui due studiosi, che stanno per pubblicare un libro sul tema per le edizioni Odradek. E che insieme vanno in curva e alle manifestazioni.

Al funerale di Carlo Giuliani, i cronisti notano la bandiera della Roma sulla bara. In quei giorni, tra alcuni settori dei manifestanti girano voci su ultras fatti arrivare a Genova da tutta Italia per devastare la città. Esponenti dei sindacati di polizia dicono di avere individuato ultras violenti in azione. Il comandante dei carabinieri spiega che la maggior parte dei suoi soldati aveva solo l'esperienza di servizio allo stadio. Durante le partite d'agosto, i tifosi gridano "assassini" ai poliziotti. I tifosi fascisti della Lazio espongono uno striscione "Ideali diversi: onore a Carlo Giuliani". Le dichiarazioni dei questori sui giornali annunciano l'inizio del campionato di calcio ammonendo gli ultras che d'ora in poi, sulla base del nuovo decreto contro la violenza negli stadi, sarà "tolleranza zero", e concludono dicendo di temere "infiltrazioni del Black Bloc" nelle curve.
A Genova si sono viste usare le tecniche di controllo delle partite di campionato: celerini alla stazione di partenza per sorvegliare il concentramento, celerini alla stazione di arrivo per scortare il gruppo "in trasferta". Chi parla di "ordine pubblico" ha interesse ad applicare ai cittadini che partecipano a una manifestazione lo stereotipo del tifoso violento e scalmanato: la piazza diventa la curva di uno stadio, e chi manifesta in piazza un ultras pericoloso per "i tranquilli cittadini".
Anche secondo noi esistono analogie tra tifosi e manifestanti, perché si tratta di cittadini che si incontrano in uno spazio pubblico (una curva, una piazza). Inoltre, c'è in comune il fatto di sentirsi in qualche modo alternativi o antagonisti: le fanzine distribuite nelle curve, per esempio, si presentano come mezzi di controinformazione. Poi, c'è chi fa parte di un gruppo ultras e allo stesso tempo frequenta i centri sociali; per non rischiare conflitti di lealtà con i compagni di curva, un ultras tende a separare i due ambiti, che però inevitabilmente si mescolano.
I rapporti tra ultras e politica sono emersi con il decreto del febbraio 2000 sulla presenza di scritte nazifasciste negli stadi. Questo provvedimento riduceva il problema politico della legalità delle organizzazioni neonaziste in Italia a una questione di ordine pubblico: maggior presenza e più poteri della polizia negli stadi; perquisizioni all'ingresso più rigide, malgrado a molti sembrassero già abbastanza minuziose. Una parte degli ultras si era già schierato sulla questione, facendo un tifo antirazzista, esercitando l'ironia e lo spirito parodistico che sono tra le caratteristiche migliori che si possono trovare in una curva. La polizia applicava il decreto sequestrando stelle rosse, Che Guevara, disegni di foglie di marijuana, slogan ironici che non capiva. Il risultato era mettere d'accordo ultras razzisti e antirazzisti contro il nemico comune: le forze dell'ordine.
Da qualche tempo, i rapporti tra gruppi ultras si ridefiniscono in base al contrasto tra razzismo e antirazzismo: si modificano amicizie e accordi, si inaspriscono le rivalità e se ne creano di nuove. Le fanzine di tutta Europa prendono posizione sulla presenza negli stadi di croci celtiche, di striscioni antisemiti e di cori razzisti.
Si tratta di un nuovo elemento della discussione sui codici di comportamento che il mondo degli ultras ha iniziato dopo l'omicidio di un giovane, anche quella volta a Genova. Nel gennaio 1995, prima della partita Genoa-Milan, un gruppo di milanisti provoca uno scontro davanti alla sede di un club di tifosi del Genoa. Vincenzo Spagnolo, che i compagni del centro sociale Zapata chiamavano Claudio Spagna, viene ucciso da una coltellata.
Nelle settimane seguenti, alcuni ultras di varie città si incontrano e danno vita a un movimento, i cui principi sono riassunti nello slogan "basta lame, basta infami". Viene elaborato una sorta di codice cavalleresco: lo scontro fisico è previsto se c'è un buon motivo (difendere la curva, la sede del club, le bandiere, o respingere l'attacco di altri tifosi o di poliziotti), e deve svolgersi a mani nude, in numero pari e senza coinvolgere estranei. Questi stessi ultras oggi aggiungono l'antirazzismo al codice d'onore e alla "mentalità" del "vero" ultras.
Nella primavera del 2001, ci è capitato di parlare con alcuni ultras in un convegno tenutosi a Mestre. Pensavamo che, come già si usa "Bella ciao", si potrebbe un giorno sentir cantare nelle curve il canto anarchico "Nostra patria è il mondo intero / nostra legge la libertà / e un pensiero" con finali tipo "l'Unione in serie A", o "la Lazio in Champions League". Ma questo cambierebbe poco, se il modello di comportamento dovesse rimanere lo stesso. Come ogni codice d'onore, quello degli stadi risponde a una concezione autoritaria e virile. Ciò che soprattutto importa nei cori da stadio è cantare a comando, così come è decisivo il fatto che a lanciare il coro sia sempre un maschio, che le donne accettate nella gerarchia debbano avere modi di fare maschili, che gli altri tifosi siano "merda", e così via. Agli uomini, insomma, il compito di proteggere la curva e le bandiere.
Quando sono cominciate le discussioni sulla manifestazione contro il G8, a noi è sembrato di ascoltare gli stessi argomenti. In primo piano c'erano – malgrado tentativi diversi – la forma della protesta e il modo di contrapporsi alla militarizzazione decisa dalle autorità. Le alternative erano se accettare il linguaggio militare, oppure no; se adottare forme militari, dall'abbigliamento alla disposizione del corteo, oppure no; se marcare l'aspetto parodistico di questa scelta, oppure equipaggiarsi per rispondere sul serio alle armi della polizia, e per difendere spazi e striscioni.
In conclusione, ultras e manifestanti hanno problemi simili: in quali forme fare il tifo o manifestare.
Dopo Genova si è ripresentata un'urgenza che sembrava scomparsa da molti anni nelle manifestazioni, e cioè come difendersi dalla polizia, e in generale quale atteggiamento tenere nei confronti delle "forze dell'ordine". Finora, gli stadi sono stati il luogo dove è più frequente il confronto tra cittadini e poliziotti in assetto antisommossa. Gli ultras adottano l'insulto ("le merde col casco blu") e il disprezzo per il celerino ("nella vita che uomo è / di merda"). Su questo punto ogni tipo di rivalità cessa, come dimostra "l'onore" reso dai tifosi fascisti a Carlo Giuliani: tutti, a prescindere dall'orientamento politico, si ritrovano contro lo stesso nemico.
Qualcuno a Genova, di fronte a poliziotti armati e con il casco, ha preteso invece di avere di fronte altri cittadini, scandendo il coro "via i caschi / via i caschi". Questa diventa una richiesta di smilitarizzazione delle "forze dell'ordine" ed esige di ripensare il ruolo della polizia nei confronti dei cittadini.

Filippo Benfante e Piero Brunello


Alto
avrei gridato


di Luigi Veronelli

"Le masse delle materie inerti e inanimate, come la sabbia o il granito, sono spoglie d'ogni vitalità o sono semi, o sono semi in potenza, o molecole che attendono il giorno della vegetazione o della vita? Ci è impossibile di rispondere, l'apparenza è muta".
Giuseppe Ferrari, politologo (Milano 1811 - Roma 1876).

I semi e le sementi, vitali da che l'uomo s'è fatto contadino, producono e hanno avuto dai loro gesti – dei contadini, dico – continue migliorie sia sul piano della maggior produttività, sia della migliore qualità.
Se le multinazionali avessero avuto come oggetto la ricerca sulla sabbia vista come molecole che attendono il giorno della vegetazione o della vita; e alla sabbia vita e vegetazione avessero dato, non v'è dubbio che avrebbero diritto a concordare brevetti e compensi.
Chiedono invece brevetti e compensi per le ricerche su semi e sementi che hanno anima dalla fatica e dalla ricerca di generazioni e generazioni contadine.
Anche avessero ottenuto, attraverso le loro ricerche, migliorie – è legittimo averne dubbi – dovrebbero prima compensare, pagare in misura molte volte maggiore il materiale su cui hanno operato. Materiale la cui proprietà è dei contadini del passato e di oggi.
Avessi potuto essere in Genova; più ancora, avessi potuto far sentire la mia voce, alto avrei gridato: l'esazione di brevetti e di denaro per ipotizzati miglioramenti ottenuti su tutto ciò che è stato nei secoli seme e semente è vera e propria sovversione. Le multinazionali paghino ai detentori millenari del loro uso i diritti maturati – appunto nei millenni – per la loro produzione, reimpianto e mantenimento.
I diritti contadini, calcolati sulle loro millenarie fatiche, superano qualsiasi brevetto di miglioria.

Luigi Veronelli