rivista anarchica
anno 31 n. 274
estate 2001


Argentina

La porta aperta
colloquio di Leslie Ray con Osvaldo Escribano e Antonio López

La storia dell'anarchismo, la repressione degli anni '70, Buenos Aires e le province, la Biblioteca José Ingenieros, ecc. L'opinione di due anarchici.

Osvaldo Escribano: Il mio nome è Osvaldo Escribano, e sono impegnato nella biblioteca José Ingenieros, alla quale mi sono avvicinato negli anni 1958-59; ero attivo come anarchico per 10 anni – tra il '64 e il '74 – nella "Comunidad del Sur" di Montevideo, Uruguay. Durante quegli anni, che erano molto difficili e turbolenti in Uruguay, e in tutto il Cono Sud dell'America Latina, partecipammo ai vari movimenti e alle attività che coinvolgevano cooperative e sindacati, cercando di organizzare le basi per un cambiamento sociale profondo. Al mio ritorno in Argentina, mi rimisi con i compagni della Biblioteca José Ingenieros – dove ci troviamo adesso; qui partecipiamo alla produzione del periodico A Desalambrar che esce già da alcuni anni, e allo stesso tempo siamo responsabili di varie pubblicazioni e libri. Per quanto riguarda altri aspetti, facciamo anche parte delle varie cooperative; al mio ritorno, formammo una cooperativa con gli altri compagni del settore della legatura di libri, dopo di che misi su la cooperativa "El Faro" ... più tardi, quando "El Faro" dovette chiudere, molti compagni che appartennero alla cooperativa vennero sequestrati e scomparvero.

Questo in quale anno?

Osvaldo Escribano: La cooperativa "El Faro" funzionò dal '74 al '78. Nel '78 c'era una repressione estrema; detennero 18 compagni, e 12 di loro sparirono. Alcuni di loro appartenevano alla nostra cooperativa, El Faro.

Di che si occupava la cooperativa?

Osvaldo Escribano: Di legatura di libri. Inizialmente avevamo l'appoggio della casa editrice "Proyección", una casa editrice anarchica; il gruppo non era specificamente anarchico, ma, diciamo, la maggior parte di noi erano attivi nel movimento. Poi, nell'84 fondammo un'altra cooperativa con un gruppo di persone che erano state nel movimento per i diritti umani; era di stampa autonoma, e funzionava fino al 1990. Successivamente, nel periodo di mezzo, con un altro compagno ci guadagnammo da vivere con pubblicazioni, stampando edizioni, e allo stesso tempo collaborammo con le riviste Tupac, A Desalambrar e Desalambrando. Abbiamo anche una casa editrice che pubblica poesia, che si chiama "Ediciones El Toque".

Antonio, puoi raccontarci un po' della tua storia?

Antonio López: Sono Antonio "Cacho" López. Nacqui il 8 agosto del 1926, qui nella capitale. Figlio di galiziani.

Proprio di Galicia?

Antonio López: Di Galicia. Mio padre era un anarchico, della FORA [Federazione dei Lavoratori Argentini]; lo deportarono tre volte in Spagna, nel '34, '36 e '42. Nel '42, l'ultima volta, Franco era al potere. Gli ci vollero 18 anni e mezzo per ritornare; gli permisero di tornare finalmente nel 1960. Quando lui tornò, io ero già attivo come militante, più o meno conosciuto, nel movimento di protesta; facevo parte della Biblioteca e della FORA. Per 6 mesi ero membro del consiglio federale della FORA, nel '68-'69 ero segretario; successivamente entrai a far parte della Biblioteca. Lasciai la FORA, continuai alla Biblioteca, ero attivista alla Biblioteca.

E durante gli anni di cui Osvaldo stava parlando prima, nel '76-'77-'78, quando molte persone scomparvero ... eri rimasto qua?

Antonio López: Ero segretario della Biblioteca. Come segretario, per molti anni ero la persona responsabile; come responsabile, devo dire che mi cacavo sotto dalla paura. Facevamo riunioni segrete, facevamo conferenze. Io andavo in questura, per informare la polizia delle nostre attività – in teoria – in pratica, era per chiedere permesso. Non mi sentivo mai a mio agio, finché non uscivo non mi sentivo mai tranquillo, perché qualche volta loro inventavano qualche stratagemma, tipo chiedere un numero telefonico – qui non c'è mai stato un telefono. All'inizio c'era un comitato che abbiamo formato con gli altri gruppi, per aiutare i prigionieri e i perseguitati. E alla fine erano rimaste solo le persone della Biblioteca, e, grazie all'aiuto economico di alcuni compagni, potevamo fare uscire alcuni prigionieri – generalmente loro se ne andarono in Svezia – ed aiutare altri, che venivano perseguitati, a lasciare il paese. Quelle erano le nostre attività qui.
Osvaldo Escribano: Qui alla Biblioteca, nello stesso periodo, due o tre volte trovammo tutto frugato, erano entrati ...
Antonio López: Sì, non solo, una volta ...
Osvaldo Escribano: ... portarono via il custode.
Antonio López: Quel giorno dovevamo avere una riunione, ma ci avevano avvertito che avevano arrestato dei compagni, così ci disperdemmo. Quella notte portarono via il custode, che era solo un ragazzo. Per fortuna, lui uscì vivo. Dopo un mese e mezzo, più o meno; io non lo vidi mai più, perché se ne andò.
Osvaldo Escribano: Abbiamo ricevuto la notizia che lui sta a Córdoba.

Quando la dittatura finì, migliorò la situazione della Biblioteca?

Osvaldo Escribano: Sì. Certamente migliorò, non era lo stesso. Mai una dittatura come quella. C'erano state già altre dittature; la Biblioteca rimase chiusa durante molti anni, durante il primo periodo di Perón.

Se loro avevano il potere di chiuderla, perché permisero di tenere la Biblioteca aperta?

Antonio López: Praticamente non chiusero nessun locale nostro. Era un modo di controllarci. Ricordo che una volta c'era una conferenza qui, e c'erano solo poche persone; e vennero dalla questura e un ragazzo in divisa stava parlando con me, parlando male del governo, del governo militare; non potevo, difesi il governo. Sapevo come erano. Volevano farti cadere in una trappola.
Osvaldo Escribano: D'altra parte, in qualche modo riuscivamo a fare delle altre attività, la gente si riuniva; un gruppo di noi produceva un periodico, tra il letterario e il politico, El Riachuelo (Il Torrente), e ci riunivamo qui. Ad esempio, qualche volta venti persone si incontravano per preparare quella pubblicazione. In principio era un periodico letterario, ma mettevamo anche del materiale politico. E più tardi, aiutando con le azioni delle organizzazioni per i diritti umani, si facevano delle riunioni qui; aiutammo con tutte le azioni possibili. Già cominciando dall'81, diciamo, cominciarono le attività. L'atmosfera era già cambiata.
Antonio López: Specialmente dopo la Guerra delle Malvine, c'era anche una specie di rottura generazionale, perché molti giovani compagni scomparvero in quel periodo, ma poi altri nuovi si sono avvicinati. Gradualmente con il tempo tutto questo ha avuto il suo effetto. Prima la biblioteca si trovava nella Calle Santa Fé 408, era in affitto. Aveva un tipo di persiana che si poteva abbassare; si alzava quando ci riunivamo ed eravamo in piena vista. Quando venimmo qui, quando comprammo questa casa, un compagno suggerì di fare la stessa cosa, cioè di tenere la porta aperta per le riunioni, ed io stavo discutendo di questo e dissi di no, meglio avere la porta aperta sempre. Almeno con la porta sempre aperta potevamo riunirci senza che chiunque che camminasse per la strada potesse rendersi conto di ciò che stava succedendo; ecco perché abbiamo un ingresso così. Era del tutto clandestino durante il periodo di Perón.

In Inghilterra ci sono delle persone – di solito i 'thatcheristi' – che dicono che è grazie alla Thatcher che la dittatura sia finita. È un punto di vista molto conveniente per loro. Cosa ne pensate?

Antonio López: Guarda, la guerra delle Malvine fu provocata da un generale ubriaco, Galtieri; ha ideato quell'impresa rischiosa, spedendo tutti quei ragazzi alla morte, soldati disarmati, con le temperature sotto zero che ci sono là alle Malvine, ed i ragazzi senza cappotti; ma a Galtieri gli costò il posto.
Osvaldo Escribano: Ciò che è importante tenere presente è che successe esattamente due giorni dopo una grande manifestazione dei lavoratori, durante la quale uccisero un operaio. Il 30 marzo ci fu la prima manifestazione contro la dittatura; venne repressa severamente, e due giorni dopo le Malvine vennero occupate. La cosa deplorevole è che alcune delle stesse persone che stavano in piazza contro la dittatura andarono di nuovo a Plaza de Mayo per applaudire Galtieri perché aveva occupato le Malvine. Facevamo grandi litigi su questo con dei compagni, perché Galtieri finì per convincere molta gente che era un liberatore, e dei compagni – del MAS (Movimiento al Socialismo) – finirono per dire che Galtieri poteva diventare il leader della rivoluzione latinoamericana. Noi avevamo delle dispute in riguardo nel periodico El Riachuelo – che ho citato prima – dove c'erano dei compagni filotrotzkisti, e c'erano delle liti serie in questo edificio sulla questione, persino durante le feste che abbiamo organizzato. Ma siamo sopravvissuti.

Bene, gli anni sono passati. Venne Alfonsín, poi Menem, e ora De La Rúa; Menem è durato 10 anni. Come descrivereste quei 10 anni?

Antonio López: Cambiarono la storia e cambiarono il paese. Il governo peronista di Perón aveva nazionalizzato la maggior parte dei servizi pubblici, la ferrovia, tutto, e questo lo ha privatizzato; lui ha venduto pressoché tutto, praticamente niente è rimasto.

Come poteva lui privatizzare nel nome del Peronismo?

Antonio López: Sono le necessità del momento, e sia Perón che Menem risposero ad interessi internazionali, non a quelli di questo paese; vale a dire, quando Perón comprò le ferrovie dagli inglesi, già a loro non servivano più; stavano perdendo soldi e gli inglesi avevano un debito molto grande con l'Argentina, così pagarono con le ferrovie, che già erano rottami. Quindi c'erano grandi trattative con membri del governo di Perón. Poi si disse che Perón aveva avuto un successo notevole, perché comprò le ferrovie dagli inglesi per nazionalizzarli. Più tardi, quando era necessario, per ragioni internazionali, a causa del cambiamento neoliberale in atto a livello mondiale, con tutta la privatizzazione, le stesse politiche vennero seguite anche qui. L'unica cosa che facevano era seguire un comportamento internazionale.

Quello che mi interessa scoprire è come mai molte persone e molti lavoratori continuano a considerarsi peronisti, e non vedono questa grande contraddizione, in quanto Perón era nazionalista e nazionalizzò tutto, mentre Menem, essendo peronista, ha privatizzato tutto.

Osvaldo Escribano: Io credo che il Peronismo ha la stessa capacità della chiesa, che si è mantenuta viva durante 2000 anni, e ha avuto la sua grande gerarchia del Vaticano, con tanti multimiliardari e i preti poveri che lavorano nei 'barrios'. Il Peronismo è uguale, nel Peronismo c'è di tutto. Nella decade degli anni '70 c'era il Peronismo di sinistra che stava lottando per un paese socialista ed il Peronismo dell'estrema destra, che parlò di "Dio, Patria e Casa" e tutti loro erano peronisti. E durante il governo di Menem accadeva esattamente la stessa cosa; erano peronisti sia i menemisti che i "descamisados" [destra peronista] che stavano contro Perón e contro il modello. Tutti stanno dentro il "sacco" del Peronismo.

Il termine è così ampio da diventare insignificante.

Antonio López: Quello che accade è che gli operai ricordano – o hanno letto o i loro genitori hanno detto – che con il primo Peronismo molte leggi sociali furono create dal governo di Perón; erano generalmente leggi socialiste che costituivano conquiste per i lavoratori, e decretarono cose che tutti avevano a cuore, come le ferie dei lavoratori, gli alberghi amministrati dai vari sindacati, i servizi sanitari dei sindacati...

Le case popolari.

Antonio López: Sì, le case popolari e tutto questo, che ha pressocché cessato di esistere con Menem, perché il suo governo ha portato via praticamente tutti i guadagni fatti prima; li ha portati via con la complicità dei leader della CGT (Confederazione Generale del Lavoro). Eppure ci sono molti lavoratori che si dicono peronisti.

E la CGT, perché sostiene questo modo di comportarsi? È perché si trova più debole?

Osvaldo Escribano: Perché ci sono interessi economici all'interno delle privatizzazioni stesse; per esempio, le ferrovie. C'erano delle linee ferroviarie che erano – diciamo – state "acquistate" dai sindacati ferroviari, ma in realtà dai dirigenti dei sindacati; in questo momento sono loro i proprietari. E la stessa cosa sta accadendo con "Luz y Fuerza" (il sindacato dei lavoratori dell'energia elettrica). Solo l'altro giorno, noi eravamo ad una riunione a Mar del Plata con membri del sindacato. C'è un grande problema lì, perché il sindacato dell'energia elettrica è contro la gente di Luz y Fuerza, perché si sono trasformati in impresari. E adesso sono loro quelli che stanno sfruttando i lavoratori che erano i loro compagni.
Antonio López: Il sindacato compra imprese privatizzate e poi sfrutta i propri affiliati.
Osvaldo Escribano: E c'erano state esperienze simili già al tempo di Perón, non so in che anno; era stata creata la "SEGBA autogestionaria", il servizio di energia elettrica di Buenos Aires. Fu considerata una impresa autogestita dai lavoratori. In realtà il presidente dell' "organismo autogestito", come venne chiamato, era il segretario del sindacato. Infatti, aveva molto poco a che vedere con l'autogestione dei lavoratori, perché i lavoratori si trovavano ancora in esattamente la stessa situazione di quando l'impresa era capitalista. Mi ricordo che abbiamo fatto una discussione con dei compagni peruviani, consulenti del governo di Velasco Albarado, quando vennero a visitarci. Una legge di proprietà sociale fu emessa dal governo di Velasco Albarado in Perù; era molto interessante dal punto di vista libertario, e i compagni vennero qui e consegnarono un progetto di legge di proprietà sociale all'organizzazione SEGBA. E poi consegnarono un altro alla cooperativa El Faro. Abbiamo fatto un dibattito con i compagni sul tema dell'organizzazione autogestita. Io credo che il sindacalismo qui era molto avanzato all'interno del sistema capitalista in America Latina. Quello che voglio dire con questo è che venne compreso più facilmente dal sistema, e il sistema era capace di controllarlo molto più facilmente. Questo processo già cominciò con Perón, il quale ha dato il via all'idea di far diventare i sindacati – i quali già appartennero direttamente al partito di governo – un'appendice del governo e del partito di governo. Da allora in poi i sindacati smisero di fare la minima rivendicazione; loro non avevano più motivo di lottare, perché il governo dava loro tutto. Quindi si dedicarono ad organizzare i servizi sociali.

E ora, avendo venduto praticamente tutto ad imprese straniere, i governi continuano a sventolare la bandiera argentina ad ogni occasione. Che responsabilità ha lo stato adesso? La salute? Le scuole? La sicurezza? Ho notato durante questa mia visita, che sono proprio queste le cose che funzionano peggio in questo momento, e sono le uniche cose rimaste gestite dallo stato.

Osvaldo Escribano: Be', lo stato ha venduto tutto, ma il debito estero è aumentato, e ancora stiamo pagando gli interessi su quel debito estero. Si pensava che ciò che interessasse meno al capitale era che si ripagasse il debito. Il debito estero era, diciamo, un problema degli anni '83, '84, quando si cominciava a parlarne tanto - credo che fosse di circa 20.000 milioni di dollari. Poi un compagno ha detto che la cosa peggiore che si potesse fare per i capitalisti sarebbe svendere una parte del paese e rimborsare loro tutti i soldi: li rovinerebbe, sarebbe la rovina del capitalismo. Invece, in questo momento tutto è stato venduto e noi non abbiamo finito di pagare il debito, anzi, è aumentato.

Quindi, qual è il futuro di questo stato?

Osvaldo Escribano: Controllare le persone che si ribellano contro questo sistema, perché c'è sempre più gente esclusa ed il sistema sta promuovendo sempre di più l'emarginazione e non trova soluzioni. Quindi la funzione del governo sarà continuare a creare una macchina repressiva efficace.

E dove conduce?

Osvaldo Escribano: Non sappiamo. Conosco solo l'ipotesi che non si sa mai dove stanno andando i popoli; possono sollevarsi in qualsiasi momento, nelle situazioni peggiori. È difficile prevedere.

Siete ottimisti? In questo momento è difficile essere ottimisti, con tutta la disoccupazione e la miseria che c'è –- ma vedete la possibilità di un cambio in meglio?

Antonio López: Se uno non pensasse di poter cambiare le cose, non tirerebbe avanti, dopo così tanti anni, ma nel prossimo futuro io non vedo nessuna possibilità. Ora che abbiamo avuto il cambio di governo, è tutto uguale, anzi peggio.

Perché la classe politica è sempre la stessa gente, vero?

Antonio López: Loro cambiano le marionette, ma l'essenza della cosa non cambia. L'unico che avrebbe potuto cambiare qualcosa era Alfonsin, e loro lo hanno fregato.
Osvaldo Escribano: Che Alfonsinista! Vedi quanto lo ama! Bene, io credo che è difficile essere ottimisti al momento, dal nostro punto di vista, perché non c'è realmente una grande consapevolezza da parte della gente.

Neanche nei giovani?

Osvaldo Escribano: No, io credo che il sistema sia riuscito moltissimo a inglobare i valori della gente, e questo è molto difficile da controbattere. Però, diciamo che è un compito al quale possiamo lavorare, alzando la nostra voce nei vari luoghi; tentiamo di farlo. Un paio di anni fa il giornale Página 12 fece un servizio su alcuni di noi; ricevemmo molte lettere, alle quali rispondemmo, e come conseguenza vennero formati dei gruppi. Era un fenomeno interessante, soprattutto perché la gente ha scoperto che ci sono anarchici in giro; stavo commentando questo con dei compagni durante un seminario che abbiamo dato all'università di Mar del Plata, parlando dell'anarchismo, e la gente lo vede come qualcosa di attuale e non semplicemente come un fatto storico, come l'anarchismo viene visto in molti casi. Qui in Argentina l'anarchismo ha una storia ricca e lunga, e questo non si può negare; vale a dire, nessuno storico può negare gli anarchici. Invece, loro non negano, ma dicono che gli anarchici "erano" brave persone, persone eccellenti, "erano" questo o quell'altro ... Ma quando gli studenti e i membri del sindacato scoprirono che c'erano anarchici – e nemmeno tanto vecchi! – rimasero veramente sorpresi.

Mi stavi dicendo prima che c'è molto interesse verso l'anarchismo in questo momento nelle province dell'Argentina, e che credi che il punto di partenza per un cambiamento potesse venire dalle province e non dalla capitale.

Osvaldo Escribano: La maggior parte delle azioni si fanno nelle province, azioni molto radicalizzate. Ovvero, i blocchi stradali che si sono fatti sia in Jujuy, nel nord, che in Neuquén, nel sud. Esiste un'espressione che noi usiamo; ora i gruppi si stanno chiamando "autoconvocati". Ci sono molti "docenti autoconvocati", "residenti autoconvocati"; è un termine che viene usato moltissimo, e l'organizzazione degli "autoconvocati" è di tipo orizzontale, non gerarchica. È il nostro genere di approccio.
Antonio López: Un paio di anni fa mi hanno chiamato a una radio FM, e televisione, per parlare della "Settimana Tragica" del 1919 [il momento rivoluzionario in Argentina, che fu represso severamente], e qualcuno mi vide in televisione. Era un vicino di casa, della farmacia dietro l'angolo, dove vado abitualmente; così poi il farmacista mi domandò: "cos'è tutto questo sull'anarchismo? Perché io non sapevo che c'erano anarchici". Certo che non vado in giro raccontando alla gente che sono anarchico. Dipende dove mi trovo; vado dal farmacista per le medicine, non per parlare dell'anarchismo. Lui si sorprese che ci sono anarchici, perché pensava che eravamo una cosa del passato.

Ma c'è la comprensione di quello che vuol dire veramente, chiamarsi anarchico? Come ideologia? In Inghilterra, per esempio, la parola non viene capita bene.

Osvaldo Escribano: Qui neanche, ma esiste. I significati comuni dell'anarchia e del disordine vengono confusi; d'altra parte, almeno le persone più politicizzate, quelle che hanno delle idee sulla politica e sulle altre cose, stanno cominciando a domandarsi qualche cosa sull'anarchismo come movimento politico. Per esempio, alcuni anni fa nel mio quartiere, facevamo un'azione contro un impianto di coke che avevano portato qui dall'Olanda ed installato nel Bacino Sud; noi eravamo molto attivi nel quartiere, e alcuni del comitato avevano un'idea del mio punto di vista. Alle riunioni loro non mi definivano mai politicamente: davo le mie opinioni e delineavo come ci dovevamo organizzare; davo la mia opinione senza dire che questo è anarchismo. Diciamo che la gente non lo rifiuta.

Mi interessa sapere come si vedono qui i conflitti in altre parti del mondo. Ad esempio, la guerra della Nato contro la Jugoslavia sul Kosovo. Come venne vissuta in Argentina? Stando lontani dagli avvenimenti.

Osvaldo Escribano: Facemmo manifestazioni, pubblicammo anche dichiarazioni contro la guerra, sia personalmente che da parte della Biblioteca. Organizzammo delle attività contro la guerra.

... perché mi sembra di ricordare che Menem era interessato a partecipare in qualche maniera.

Osvaldo Escribano: Menem avrebbe fatto qualsiasi cosa per leccare il culo agli yankies, agli Stati Uniti. Lui – come De La Rúa – vuole essere nel "primo mondo".

Un'ultima domanda: secondo i media, la lotta nuova in Inghilterra è da parte dei consumatori, contro i prodotti modificati geneticamente, ad esempio. Sembrerebbe che il modo più facile di mobilitare le persone nel nord dell'Europa sia attraverso il consumismo. L'Argentina è anche un paese di consumatori? È questo il suo futuro?

Antonio López: Ci sono consumatori e ci sono altri che non hanno niente per consumare.

Quindi, questo modello del consumatore può funzionare qui, o è destinato a fallire?

Antonio López: Io credo che funziona, da un punto di vista funziona. Quello che verrà fuori, non lo so. Loro ci costringono ad adottare il consumismo, lo diffondono. Ma c'è ancora tanta gente che non ha nulla per mangiare.
Osvaldo Escribano: Il trenta per cento della popolazione si trova sotto la linea della povertà. Tantissime persone. Tredici milioni di persone. Ma l'aspetto serio della questione è che quei tredici milioni di persone ancora credono di poter essere consumatori. Come stavamo dicendo prima, i valori del sistema hanno vinto. Io credo, per lo meno, che la nostra lotta – più che essere in difesa del consumatore, come accade in Europa – dev'essere contro il consumismo. E dimostrando che non possiamo continuare a consumare in questo modo. Perché se continuiamo a consumare, finiremo consumando il pianeta.

E come si fa a dimostrarlo? Andando a parlare con la gente per la strada?

Osvaldo Escribano: Non abbiamo molte altre possibilità; diffondere la comunicazione dove possiamo. Dove la gente ascolta, diffondere la comunicazione, e fare quello che possiamo.

Leslie Ray