rivista anarchica
anno 30 n.266
ottobre 2000


 

Percorsi-Poesia: due parole sul Festival di Pavia

Tra maggio e giugno, anno domini 2mila, si è svolta a Pavia la 4a rassegna di performance poetica "Percorsi-Poesia". Essendo stato invitato, per la 3a volta, a parteciparvi, mi sento di esprimere un parere su quello che è ormai uno dei festival più riusciti riguardanti la "Parola": semplicemente lo spazio più interessante e meglio gestito rispetto all'uso della Vocalità che si possa trovare in Italia; quindi suggerirei, a chiunque si occupi della cosa, di segnarsi gli indirizzi sparsi per questo articolo.
Utilizzando anche quest'anno una sala del Castello Visconteo, con le finestre direttamente sul magnifico cortile medievale, le serate sono state sempre molto seguite, da un pubblico magari piccolo (100/120 persone) rispetto ad altri raduni "popolari", ma molto attento e interessato. Mauro Bianchi, che è uno degli ispiratori del Festival, io l'ho conosciuto girovagando per Centri Sociali e affini con Franti e Kina. Anche lui interno all'area dei "punx anarchici", si è poi dedicato da una parte all'Università, risiedendo per un periodo in Svizzera, e dall'altra alla Poesia. A questa ultima rassegna io ho partecipato, ancora con Claudio Villiot, con "Piccola Meccanica Vocale", un lavoro appena iniziato, in parte simile allo "storico" (per noi, ovvio) "Corpi Sparsi" di qualche tempo fa. Ma non di questo si parla qui. Sax, voce, piano, nastri nel nostro caso ma anche danza, video, pittura e altro ancora da parte di gruppi e "solisti" passati alla Rassegna in questi quattro anni. A Mauro ho fatto un paio di domande telematiche. Ecco le risposte:
(Un po' di storia....) "Diciamo la rivista di Pavia Macondo. Attraverso l'inserto dedicato alle poesie come spesso avviene nelle fanze giovanili e...romantiche incontriamo il gruppo di SuperNova Venezia. È un gruppo che ha seguito e pubblicato, in tempi non sospetti, il post-beat, ovvero Tom Rawhorth, Robert Creely, Kathy Acker, Jim Koller e poi Franco Beltrametti, John Gian, Rita degli Esposti. Alla morte di Beltrametti (http://www.beltrametti.com) si decide, nel 1996, di fare una antologia che diviene, alla sua presentazione, ben presto una rassegna di più giorni. Percorsii Poesia Pavia-Verso il Duemila. Al numero uno, quindi ci sono Steve Lacy, Irene Aebi, Rawhorth, Julien Blaine, Stefano Giaccone, Claudio Villiot, Vanni Picciuolo ex-Franti - Chicco Giusti, Jean Monod, John Gian, Rita degli Esposti e Aldo Vianello un poeta veneziano di grandissima forza comunicativa, fuori da ogni legame "colto" e molto classico, aulico, alla Eliot. Il rapporto con le istituzioni è una storia di battaglie e compromessi ma l'iniziativa ci permette di consolidare l'asse Ticinese Riva San Vitale-Locarno, attraverso i rapporti con l'editore L'Affranchi (Beltrametti, il pittore PAM), come la "discussa" comunità del Monte Verità. Tenendo conto che a Locarno Michele Bakunin ha soggiornato non poco, la cosa incominciava a piacerci! Altre collaborazioni fondanti sono quindi seguite: La Rada di Locarno e Porto dei Santi (http://www.portodeisanti.org). Dallo specifico "poesia", ci siamo mossi verso altre forme, la poesia-visiva, la performance, spesso più importante del testo e la danza contemporanea. Gilles Jobin, ad esempio, con lo spettacolo "Braindance", il corpo come retorica del potere, attraverso le immagini dei guerriglieri colombiani allineati e fucilati. O ancora la spagnola La Ribot con "El Gran game". Altri partecipanti: l'enfant terrible dell'underground "socialista" ungherese, Endre Szkarosi; Nanni Balestrini; Jorg Burkhard, il Tetsuo della poesia sonora; Riccardo Held, premio Montale; Dadi Mariotti, voce misconosciuta ma per noi importante; Teresa Cannavò, performer torinese, Elio Pagliarani, Gianni Toti con la sua video-poesia; Francesco Biamonti, John Giorno, Anne Waldman, Pierre Thoma, Bernard Heidseck.
(musicalmente?) "Sicuramente Steve Lacy col suo lavoro da Naked Lunch di Burroughs e Train Goes By di Creely. Lacy, considerato il più grande sax soprano di sempre, è una figura storica del jazz, da quello di Monk all'avanguardia improvvisativa. Suona tuttora con Mal Waldron, ultimo pianista accompagnatore di Billie Holiday. Ma anche Umberto Petrin, pianista jazz e i DMS3 di Losanna (HYPERLINK mail to: frusciantej@hotmail.com) . Abbiamo avuto il country rock di Karl Bruder, Jim Koller e Joelle Leandre, doublebass pazzesca, collaboratrice di Cage e Fred Frith (la conoscerete sicuramente se siete attenti lettori di Marco Pandin, qui su A).
Bene. Spero di avervi messo una pulce poetica nell'orecchio. Mauro Bianchi fa capo all'associazione Lemming (lemming999@email.com) oppure direttamente: maurofb@hotmail.com.
Per il prossimo Percorsi e altre iniziative. A risentirci e rivederci.

Stefano Giaccone

 

Ricordando Goliardo Fiaschi

Il 29 luglio scorso è morto a Carrara Goliardo Fiaschi, una delle figure più caratteristiche dell'anarchismo carrarese. Era nato nella città del marmo, settantadue anni fa.
Dopo aver partecipato come giovane staffetta alla Resistenza contro i nazifascisti, che in quelle terre fu particolarmente dura - e ne sono testimonianza le sanguinose rappresaglie nazi-fasciste, a partire da quelle di Sant'Anna di Stazzema e di Vinca - Goliardo fu tra i molti giovani attivi, nell'immediato dopoguerra, nella ripresa delle attività sociali e sindacali del movimento libertario, che aveva in Alberto Meschi (segretario della Camera del Lavoro) la sua figura di maggiore notorietà.
Nei primi anni '50 si unì allo spagnolo José Facerias ed ad altri anarchici iberici ed italiani, con l'intento di portare avanti direttamente in Spagna la lotta anti-franchista, con azioni anche armate. L'esperienza fu di breve durata, Facerias ed altri furono uccisi dalla polizia catalana, mentre Goliardo - sfuggito alla morte ed arrestato - iniziò un periplo di una quarantina di penitenziari, prima spagnoli poi italiani (in seguito all'estradizione in Italia, dove era stato condannato in contumacia per rapina ed altre azioni illegali compiute prima di trasferirsi in Spagna). Per quasi vent'anni fu detenuto, per essere poi scarcerato nel '73 dal penitenziario di Lecce.
Rientrato nella natia Carrara, riprese subito il suo impegno pubblico in campo anarchico, con particolare attenzione all'opera di propaganda della cultura, dei libri e della stampa del movimento anarchico. Il compimento di questo suo impegno fu l'apertura del Circolo culturale anarchico di via Ulivi 8, in pieno centro: una libreria del tutto anomala, a partire dai grandi cartelloni manoscritti che puntualmente Goliardo metteva sul marciapiede antistante, per commentare i fatti politici e sociali, perlopiù cittadini, con una prosa ampollosa ma diretta, che proveniva dritta dritta dall'anarchismo di fine '800, in particolare da Luigi Galleani.
Il suo Circolo è stato un punto di riferimento politico ed organizzativo per tante iniziative sociali, non solo anarchiche. Ma soprattutto era la più fornita libreria anarchica in Italia, curata con precisione maniacale e scrupolosa correttezza: Goliardo era fiero che da lui, che aveva a stento fatto le elementari ed era sostanzialmente un autodidatta, passavano anche fior fiore di professoroni, giornalisti, uomini di cultura. E a tutti era assicurata un'accoglienza calorosa, seria.
Per lui che non era riuscito a crearsi una famiglia come avrebbe voluto (quanto pesavano quei vent'anni passati dietro le sbarre!) e che nella sua famiglia originaria si era impegnato - una volta uscito poco più che quarantenne di prigione - prima per la anziana madre e poi per la sorella invalida, la vera famiglia era il movimento anarchico internazionale. Ed i funerali che in una calda domenica di fine luglio hanno attraversato le vie di Carrara, con le bandiere anarchiche, con la banda che intonava "Addio Lugano bella" e altri motivi libertari, antifascisti e proletari, con i compagni e le compagne venuti anche da fuori (e in quanti non abbiamo potuto esserci, in piena stagione di vacanze!), sono stati proprio come lui li avrebbe voluti.
Personalmente lo conobbi per corrispondenza subito dopo l'uscita di "A", quasi trent'anni fa. Iniziammo una corrispondenza, che si trasformò da parte nostra in solidarietà attiva quando sul n. 20 di questa rivista - un numero speciale dedicato all'antifascismo anarchico, nel 30° anniversario dell'inizio della Resistenza armata (1943) - sollevammo il caso di questo compagno detenuto (allora) da quasi vent'anni, di cui poco o nulla si sapeva in giro. Goliardo non se n'è mai dimenticato.
Vennero poi la sua scarcerazione, l'incontro a Carrara, un sodalizio umano profondo che non fu mai concordanza nel concepire l'anarchismo. Con il passare degli anni, anzi, la distanza tra le nostre concezioni politiche si era fatta sempre maggiore ed il suo mondo per così dire "ottocentesco", dove il nemico, lo stato, gli sbirri avevano sempre almeno una maiuscola, e non cessavano di tramare contro l'avanzare delle nostre meravigliose Idee, da tempo lo sentivo distante. Non gliene parlai mai apertamente, non ce n'era bisogno. Quel che ci univa era qualcosa di più importante che una concordanza politica.
L'uomo - Goliardo - era proprio una bella persona, onesto, sinceramente devoto ad una Causa per la quale comunque aveva sofferto quel che aveva sofferto. Non aveva "la puzza al naso", non ti schiacciava con il suo passato né ti faceva sentire in colpa per le fortune che a lui non erano capitate. Era semplice, di quella semplicità che segnala una grande forza morale, una rettitudine che spesso mancava nei suoi interlocutori: e ciò lo faceva soffrire, ancor più quando proveniva dall'interno del movimento, della "sua" famiglia. Ha fatto più lui per la cultura anarchica, per tener desto lo spirito critico anche in tempi di cloroformizzazione, di tanti intellettualoni.
In campo anarchico, ha sempre operato per l'unità dei compagni. Ha mandato giù tanti rospi, e - sensibile com'era - ha sofferto più di quel che lasciava trasparire per le cattiverie che ebbe a subire. In città era molto noto ed ha saputo tenere alta la bandiera dell'anarchia innanzitutto con il suo comportamento quotidiano, con la sua umanità, con la disponibilità ad ascoltare e la capacità di dare per dare. Tipica la sua visita ogni fine anno nell'ospizio, per consegnare panettoni ai vecchietti ricoverati: nel nome dell'Anarchia, naturalmente.
L'ultima volta che l'ho rivisto - prima del suo ultimo, definitivo ricovero ospedaliero - è stato qualche mese fa al Circolo. Andai con Aurora ed i miei figli, perché conoscessero bene quest'uomo che stava tanto male (dimagrito, con il respiratore) eppure sedeva come al solito dietro al suo tavolino, tra la corrispondenza da evadere e le migliaia di libri anarchici che in buon ordine lo circondavano. Sembrava quasi che anche loro lo volessero abbracciare.

Paolo Finzi


Goliardo Fiaschi (foto di Reinhold Kohl)

 

Un convegno Su Francesco S. Merlino

La figura e il pensiero di Francesco Saverio Merlino sono una presenza sicuramente scomoda non solo per l'anarchismo nel quale egli si riconobbe per molti anni e che anche formalmente abbandonò in seguito alla famosa polemica che lo contrappose all'amico di sempre Malatesta-, ma anche per il socialismo come tale, che soprattutto oggi, miseramente crollata l'Unione Sovietica e tramontato il marxismo che l'aveva determinata e animata, si trova a dover fare i conti con un mondo percorso da radicali trasformazioni senza un pensiero veramente in grado di fungere da griglia analitica e da riferimento propositivo.
La "scomodità" di Merlino per anarchismo e socialismo è poi resa ancor più marcata da due questioni, fra loro diverse ma di fatto convergenti. La prima è che egli, dopo l'abbandono dell'anarchismo e a parte una breve adesione al Partito Socialista, rimase sempre un "senza partito" e fino ai suoi ultimi anni si definì "socialista libertario", una definizione che, vista la sua indubbia consapevolezza linguistico-teorica, lascia pochi dubbi sul senso che attribuiva alle sue elaborazioni e proposte e alle critiche che svolgeva all'anarchismo, al marxismo e alle democrazie liberali.
La seconda è che la relativa "riscoperta" di Merlino, cui da qualche anno si assiste, si è intrecciata spesso a motivazioni e preoccupazioni di carattere politico contingente, la qual cosa ha reso ancor più problematica una valutazione veramente distaccata del suo pensiero, indubbiamente variegato e percorso da molteplici influenze e preoccupazioni. Fra gli studi storico-analitici più seri ed obbiettivi, a Merlino dedicati, il più importante è sicuramente Francesco Saverio Merlino. Dall'anarchismo socialista al socialismo liberale di Giampietro Berti (edito da Franco Angeli nel 1993), che proprio nelle speculazioni del Merlino post-anarchico vede il vero inizio e la teorizzazione più approfondita del socialismo liberale, ma non sono mancati né studiosi che hanno inteso fare del pensatore napoletano il teorizzatore di una forma radicale della democrazia, né quelli che, come Gianpiero Landi e Massimo La Torre, vedono nelle riflessioni merliniane ben più dell'abbozzo di un "anarchismo possibile" che, senza rinunciare alla volontà trasformatrice dell'anarchismo "classico", abbandoni tuttavia le fumisterie teoriche, i tremendismi linguistici e soprattutto l'"incapacità" teorico-politica che lo hanno sempre contraddistinto e sempre più lo determinano.
Queste le coordinate che hanno orientato, come ha sottolineato Gianpiero Landi nel discorso di apertura, il convegno La fine del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l'anarchia possibile, organizzato dall'associazione Arti e pensieri e tenutosi a Imola il 1° luglio con la partecipazione di un nutrito nucleo di studiosi di diversissimo orientamento e di un pubblico sempre attento.
Lo scopo che il convegno si prefiggeva, come sempre Landi ha chiarito, stava soprattutto nel tentativo di capire cosa oggi significhi proprio quel "socialismo libertario" che Merlino poneva come suo riferimento e dove esso possa collocarsi oggi, in una "geografia" politica ed ideale in cui alla fine del marxismo ha corrisposto solo il trionfo planetario del capitalismo, non certo una rinascita dei socialismi non marxisti o dell'anarchismo "classico", il quale, anzi, ancora una volta ha messo in luce come sia oggi incapace di proporre pratiche e teorie in grado di essere alternativa realmente praticabile alle trasformazioni in atto.
Su questo terreno, però, almeno per chi scrive, il convegno ha dato qualche motivo di insoddisfazione, soprattutto perché sono stati pochi i momenti in cui i nodi problematici forti, che legano le riflessioni merliniane alle questioni del presente, sono stati riconosciuti come tali e posti al centro della riflessione. A determinare tale riuscita non pienamente soddisfacente hanno sicuramente concorso sia il fatto che il convegno è stato concentrato in un solo giorno -non per volontà degli organizzatori, ma per necessità economiche e di disponibilità di molti dei relatori, fra i quali sono tuttavia mancati Luciano Pellicani e Nicola Tranfaglia- sia la diversissima impostazione "disciplinare" delle molte, forse troppe, relazioni presentate (quasi tutte, comunque, rivelatisi interessanti), che non hanno portato, né probabilmente avrebbero potuto, ad una tematizzazione convergente. A rafforzare tale impressione ha poi sicuramente contribuito anche il fatto che relazioni e comunicazioni dal taglio soprattutto storico siano state inframmezzate a relazioni e comunicazioni più dichiaratamente teoriche, così spezzando il "filo" della riflessione che si poteva/voleva costruire.
Le relazioni eminentemente incentrate sulla ricostruzione storico-culturale sono state quelle di Emilio Papa -che ha parlato di Merlino avvocato dei "malfattori", come la stampa borghese di fine Ottocento chiamava spesso anarchici e rivoluzionari-, di Enrico Voccia -che ha messo in luce l'importanza dell'ambiente culturale dell'illuminismo napoletano, pieno dei fermenti suscitati dalla fallita rivoluzione repubblicana del 1799, in cui Merlino maturò-, di Natale Musarra -che ha illustrato la particolare attenzione sempre riservata da Merlino alla "questione meridionale"-, e di Gianpiero Landi, che con la sua relazione ha soprattutto reso un omaggio ad Aldo Venturini, curatore-divulgatore dell'opera merliniana, senza il quale Merlino sarebbe forse caduto nel dimenticatoio, alla cui memoria il convegno era dedicato. Queste relazioni, che certo hanno chiarito aspetti del pensiero e della figura di Merlino, ben pochi elementi hanno però portato, almeno dal giudizio che si è potuto trarre dall'ascolto, alle questioni "calde" annunciate da Landi nella sua introduzione. Cosa che non è accaduta neanche con le relazioni di Paolo Favilli, che, uscendo un po' dal "tema", ha soprattutto dissertato sull'uso storiografico-politico di concetti quali "ortodossia" e "revisionismo" riferiti al marxismo, e di Bruno Bongiovanni , che, sostanzialmente, ha messo in discussione l'idea stessa che potesse esistere, almeno a fine Ottocento, un "marxismo" strutturato come tale di cui celebrare la "crisi", come Merlino fece.
A toccare temi più direttamente politico-teorici sono invece state sia le relazioni di Giampietro "Nico" Berti, di Massimo La Torre, di Raimondo Cubeddu, che le comunicazioni di Pietro Adamo e di Nadia Urbinati. L'interesse dell'intervento di Adamo, che ha parlato della polemica che contrappose Merlino all'anarchico statunitense Benjamin Tucker, risiede nell'aver reso evidenti le differenze, per non dire le inconciliabilità, esistenti fra l'anarchismo di matrice anglosassone e quello di matrice europeo-continentale. La polemica fra Tucker e Merlino, infatti, mette tutt'ora in luce come l'anarchismo statunitense abbia in realtà ben poco in comune, al di là di una serie di avversari contingenti, con la tradizione anarchica "continentale". Infatti, mentre il primo è del tutto derivato dall'ethos determinato dalle infinite derive della riforma protestante e politicamente si incentra su una concezione individualistico-atomistica della libertà, sull'accettazione tout-court della logica del mercato e sulla convinzione che una società libera ed egualitaria possa reggersi e costruirsi soprattutto attorno all'interesse individuale, il secondo da sempre mette in luce come l'"individuo" non sia pensabile se non come contraltare della "società", la quale, a sua volta, abbisogna, per potersi reggere con modalità il più possibile egualitarie e libertarie, di un senso "forte" che ne costituisca contemporaneamente presupposto e compito.
Diverso l'interesse della comunicazione di Urbinati, per la quale non pochi sarebbero i punti di contatto fra il pensiero di un campione del liberalismo come John Stuart Mill e quello di un socialista come Merlino. Urbinati è partita dalla definizione di Merlino e di Mill come "pensatori che scardinano le frontiere" per giungere a mostrare come tanto in Mill come in Merlino il motivo fondamentale sia quello della democrazia, intesa non solo come sistema politico rappresentativo, ma soprattutto come "senso" generale, un "senso" che permetterebbe la libertà e la crescita del singolo individuo e contemporaneamente, combattendo i monopoli economici e di potere, la cooperazione sociale.
Con un intervento brioso e intrigante, ricchissimo di riferimenti storico-filosofici e di spunti polemici, Berti ha invece difeso la sua convinzione che Merlino, dopo l'abbandono dell'anarchismo, sia approdato al socialismo liberale, che secondo Berti è caratterizzato proprio da alcuni degli elementi che fondano la concezione del Merlino post-anarchico: il venir meno della visione del socialismo come di un totalmente altro che nulla ha da spartire con la società esistente, sostituita da una visione del socialismo come "essenza", basata sulla libertà e sull'eguaglianza, da cui derivano infinite "forme", parte delle quali già praticabili, o ottenibili, nella società capitalistica; il riconoscimento che la diversità umana non solo non è in alcun modo conciliabile/riducibile, se non a costo del totalitarismo, ma non è neppure leggibile come equivalenza, come accade in Bakunin, cosicché essa può solo essere governata e armonizzata attraverso i criteri etico-giuridici della giustizia distributiva ("ad ognuno secondo i suoi bisogni") e retributiva ("ad ognuno secondo il suo lavoro"); il ritenere il socialismo una questione sostanzialmente etica che deve fare contemporaneamente i conti, conciliandole, con l'ineludibile limitatezza delle risorse e con l'illimitatezza dei bisogni/desideri.
Berti, in modo volutamente provocatorio, ha posto questi problemi all'attenzione dei presenti sottolineando come essi siano, una volta abbandonate le visioni rivoluzionario-palingenetiche, i problemi con cui ogni prospettiva socialista deve confrontarsi e da cui non può che essere determinata.
Quel che Massimo La Torre ha proposto, con una relazione pienissima di riferimenti culturali e filosofici e oltremodo stimolante, è stata una "storia alternativa" dell' anarchia, di cui Merlino sarebbe stato punto terminale profondamente autoconsapevole. La Torre, con non poca vis polemica, ha cercato infatti di mostrare come, a fianco dell'anarchismo di matrice bakuniniana e kropotkiniana -articolato attorno a motivi, fra loro spesso contradditori, di tipo millenaristico, romantico, aristocratico ma anche populistico, positivistico, meccanicistico-, ne sia sempre esistito un altro non solo meno confuso e contradditorio, ma soprattutto chiaramente radicato nella tradizione democratico-illuministica, di cui proprio Merlino rappresenterebbe l'esito maturo e in grado di rispondere alle sfide dei nostri tempi.
Sempre secondo il parere di La Torre, fra i tanti meriti di tale anarchismo ci sarebbe quello di non aver evitato, come invece ha fatto l'anarchismo "classico" bakunin-kropotkiniano, il problema della politica, quindi anche il problema della rappresentanza e del diritto. Anzi, proprio alla politica, intesa come ambito della discussione e della decisione razionale attorno all'infinito porsi e provvisoriamente strutturarsi del problema del come gli esseri umani stanno insieme, tale anarchismo attribuirebbe il ruolo centrale nella ricerca della maggior uguaglianza e libertà possibile in ogni concreta situazione, così articolando quella che La Torre, citando Merlino, ha chiamato l'"anarchia possibile".
Di ampio respiro teorico, come detto, anche la relazione di Raimondo Cubeddu, il cui sfondo ricostruttivo-speculativo è stato quello delle teorie economico-politiche. Cubeddu ha infatti sottolineato come uno degli aspetti più interessanti di Merlino sia stato il suo tentativo di fondare il socialismo su basi economico-politiche altre da quelle determinate dal pensiero economico "classico", fondato sul valore-lavoro inteso come fatto oggettivo, da cui derivano tanto il marxismo che il liberismo del laissez-faire (che a loro volta portano o al totalitarismo comunista o alla dittatura di fatto del capitalismo). Fu proprio partendo dal rifiuto delle teorie economiche "classiche" che Merlino riprese alcune delle teorie della scuola marginalista austriaca, ed in particolare la convinzione che il valore di un bene sia determinato da una molteplicità di fattori -di cui il valore-lavoro è, in sé, parte significativa ma non determinante- mutevoli e imprevedibili. Secondo Cubeddu, a questo insieme di considerazioni sarebbe dovuto sia l'abbandono merliniano della "soluzione collettivistica", intesa come unica prospettiva veramente socialista, che la sua accettazione del mercato come sistema di regolamentazione dei rapporti economici.
Certo, ha sottolineato Cubeddu, l'idea di socialismo che Merlino sempre nutrì rimane profondamente etica, quindi lontana dai teorici dell'individualismo economico-metodologico (come De Molinari o Spencer), ma è proprio qui che, sempre secondo Cubeddu, sta anche la contradditorietà di Merlino. Per Cubeddu, infatti, quel che Merlino non ha capito è che proprio perché ciò che ha "valore" è diverso per ogni individuo, e ogni individuo muta tale attribuzione di valore nel tempo, il socialismo come tale (anche nella versione liberal-socialista) o è impossibile o non può che sfociare in forme dittatoriali. Da qui Cubeddu è partito per sostenere come solo le prospettive cosiddette "anarco-capitaliste" di stampo giusnaturalistico, ben rappresentate da un teorico come Murray Rothbard, siano le più adeguate per cercare di avvicinarsi, se non ad una società giusta, almeno ad una società il più possibile priva di coercizione.
Il dibattito, purtroppo necessariamente concentrato in tempi molto ristretti, si è incentrato soprattutto sui temi agitati da La Torre, Berti e Cubeddu. Fra i vari interventi va ricordato soprattutto quello di Luciano Lanza il quale, riferendosi soprattutto alle relazioni di Berti e La Torre, ma anche anticipando parte di quanto sarebbe poi stato detto da Cubeddu e Urbinati, ha contestato che Merlino possa essere visto come un superamento, ocome un problema, della teoria anarchica. Secondo Lanza, infatti, l'utilizzo merliniano del marginalismo economico e la sua accettazione del mercato in funzione antimonopolistica, così come il suo rifarsi alle teorie democratiche in chiave anti-totalitaria, non riescono a superare le intuizioni, le critiche, le proposte presenti, anche se spesso non chiaramente, nelle teorie anarchiche. Tutto questo, ha concluso Lanza, non significa che l'anarchismo non debba essere ripensato, visto che il mondo attuale è sempre più diverso da quello in cui l'anarchismo si è definito, semplicemente significa che in questa opera Merlino è di scarsissima utilità.
Detto tutto questo, quale bilancio si può sommariamente trarre da questo convegno? Indubbiamente esso, così come il recente convegno veneziano su anarchismo ed ebraismo, ha avuto il merito - non così frequente di questi tempi, soprattutto in ambito libertario - di tentare una riflessione profonda e "senza rete" attorno a nodi problematici decisivi sia per l'anarchismo propriamente detto, sia per un socialismo che voglia essere veramente tale, che per un libertarismo che (sia esso "anarchia possibile" o altro) non accetti di essere ricondotto né ad un liberismo più o meno selvaggio, né alla pura difesa/allargamento delle libertà civili e politiche esistenti.
Proprio i nodi tematici emersi hanno infatti messo in luce, direttamente o "in negativo", come sia ancora in grandissima parte da pensare un pensiero libertario che riesca a fuoriuscire dal rivoluzionarismo di matrice ottocentesca (da tempo morto anche nella sua versione anarchica, anche se non sono pochi coloro che ancora sembrano non essersene accorti), facendo contemporaneamente e positivamente fronte, senza tuttavia diventarne succube o strumento, alle questioni politiche, istituzionali, sociali e culturali su cui la tarda modernità in cui viviamo è incentrata o attorno a cui "gira". Quel che questo convegno su Merlino ha ancora una volta posto come ineludibile, insomma, è la necessità di un pensiero libertario che sappia essere pienamente "politica" senza per questo cessare di essere "utopia".

Franco Melandri


Disegno di Francesco Berti

 

Al campeggio Anarchico

Francamente non sapevamo, al momento della proposizione del campeggio sulle pagine della stampa libertaria, se e come la ' cosa' avrebbe potuto funzionare. Alle riunioni preparatorie del comitato costituito ad hoc la partecipazione si dimostrava piuttosto ridotta, e nonostante i ripetuti solleciti, i segnali che pervenivano dal movimento erano alquanto flebili. Si trattava in fin dei conti di una proposta che aveva ben pochi precedenti, e ormai piuttosto lontani nel tempo, almeno qui da noi.
Anche la ricerca del luogo non si dimostrava facile: dalla Campania all'Umbria, dalla Romagna all'arcipelago toscano, le varie ipotesi si erano andate progressivamente sgonfiando. Poi Vico di Querceta si è fatto avanti proponendo l'uso di un suo terreno piantumato a pioppi, altri compagni si sono resi disponibili per gli indispensabili lavori di sistemazione dell'area (dalla falciatura dell'erba all'impianto elettrico, dalla collocazione della cucina all'impianto idraulico, alla sistemazione di un tendone, dei tavoli e delle sedie) e il campeggio ha preso il via. E così grazie ad Aldo abbiamo avuto acqua calda e fredda per lavandini e docce, grazie ad Alfo e Donato luce ed energia per frigo e scaldabagno, grazie ai compagni di Querceta e dintorni la disponibilità dei WC chimici.
E domenica 20 agosto il campeggio ha preso forma e sostanza: i primi compagni arrivavano disponendo le tende e inserendosi nell'autorganizzazione della vita del campo. Accettata la proposta dei promotori si dava subito vita all'assemblea dei partecipanti che, per tutto il periodo di durata del campo, avrebbe scandito l'organizzazione concreta del vivere quotidiano: dalle cene collettive serali (ma chi voleva poteva mantenere la sua specificità culinaria), alla raccolta dei fondi necessari a far fronte alle spese sostenute, dai rapporti con il vicinato all'organizzazione dei dibattiti politici e dei momenti conviviali.
L'autoregolazione dei presenti ( e la loro particolare sensibilità) ha consentito che il terreno del campeggio fosse sempre perfettamente pulito, che le cene collettive fossero gestite da diversi 'cuochi' in un clima di grande disponibilità ed allegria, che le spese sostenute fossero ricoperte con il contributo libero e volontario, superando ogni distinzione tra promotori e fruitori del campeggio stesso.
Insomma una volta di più si dimostrava la possibilità di un vivere collettivo che, accomunando compagne e compagni provenienti da varie parti d'Italia (dalla Sicilia al Friuli) per lo più sconosciuti gli uni agli altri, utilizzava la ricchezza del metodo libertario per la gestione del quotidiano, consentendo parimenti lo stabilirsi di un confronto sociale e politico a più livelli (bambini compresi). Sicuramente ha favorito lo svolgimento del campeggio la sua collocazione stessa, a tre chilometri dal mare e a poca distanza dalle Alpi Apuane, che ha consentito ai presenti bagni notturni, belle escursioni tra gli anfratti di Lerici, le spiagge di Forte dei Marmi, le cave di marmo e le ricche memorie anarchiche di Carrara, predisponendo gli animi ad un clima particolarmente favorevole allo sviluppo dei dibattiti politici che hanno parimenti contrassegnato ogni pomeriggio, così come la chitarra e la voce di Alvise hanno simpaticamente caratterizzato le caldi nottate.
Se qualche nota negativa va trovata essa risiede da una parte (e senza alcun dubbio) nella serale presenza di zanzare e dall'altra nell'incapacità di trovare un giusto punto di equilibrio tra allodole e gufi, cioè tra mattinieri e tiratardi ( ma qui si potrebbe aprire un dibattito di tipo epocale quale quello tra fumatori e non, e non è questa la sede).
Ma veniamo ora agli aspetti più prettamente 'politici' dell'iniziativa (anche se questa definizione mi sta un po' stretta: cosa c'è di più 'politico' dell'autogestione del quotidiano?). Intendimento dei promotori era che l'iniziativa del campeggio servisse da momento di riflessione, libero da ogni preoccupazione organizzativa contingente, su vari aspetti della proposta anarchica, sia sul versante sociale che su quello esistenziale, per approfondire le tematiche, per confrontare le esperienze, per valutare le prospettive di azione. Ed in questo il campeggio ha dimostrato di essere un valido strumento per favorire l'incontro e lo scambio tra compagne e compagni di generazioni ed esperienze diverse, di sensibilità ed interessi variegati , pur nella limitatezza della sua dimensione numerica (sempre intorno ai quaranta i partecipanti ai dibattiti).
Vari gli argomenti affrontati: dalla mobilitazione antirazzista alle campagne di boicottaggio delle multinazionali, dalle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro salariato alle produzioni di morte, dall'iniziativa antimilitarista alla differenza di genere, dal Chiapas ai movimenti di controglobalizzazione, dal presente al futuro dell'anarchismo. Non è mancata la commemorazione di due compagni recentemente scomparsi, Gogliardo Fiaschi e Luce Fabbri , che tanto hanno dato allo sviluppo del pensiero e della pratica libertaria.
Un'ampia gamma di argomenti la cui discussione è stata stimolata dalla presenza di compagni particolarmente attivi nei rispettivi settori e che ha dimostrato l'esigenza di un confronto sempre più serrato in grado di produrre azione e riflessione, all'altezza dei compiti che il momento impone. Non era intenzione dei presenti produrre mozioni o comunicati, così solo nei mesi futuri si potrà cogliere appieno se le intenzioni e gli impegni espressi durante il campeggio (da una lista di discussione su Internet ad un sito sulle campagne di boicottaggio delle multinazionali, dalla partecipazione autonoma alla Marcia mondiale delle donne alle iniziative di solidarietà alle afgane, ad un più generale impegno di collegamento sulle iniziative antirazziste, antimilitariste ed internazionaliste) troveranno uno sbocco operativo.
Quello che è certo è che a Querceta si è concretizzato un nuovo modo di fare 'vacanza' che ci piacerebbe veder generalizzato.

Massimo Varengo

 

Rom a Palermo, "A" e danze

Venerdì 16 giugno presso la libreria "I Fiori Blu" di Palermo si è tenuto un incontro-dibattito che, prendendo come spunto il dossier "Gli zingari della città normale" (pubblicato su "A"264) ha sviluppato una serie di riflessioni sulla condizione dei Rom al campo nomadi della Favorita e più in generale sui problemi che tali popolazioni incontrano in questa città "normalizzata" dalle istituzioni comunali in seguito ad un progetto di vivibilità e di pulizia a tutto svantaggio delle minoranze più povere.
All'incontro hanno partecipato Fulvio Vassallo Paleologo, che si occupa della parte legale per quanto concerne la richiesta dei permessi di soggiorno, e Irene Abbate che da molti anni si occupa dei Rom a Palermo soprattutto per la scolarizzazione dei bambini.
Interessantissimi sono stati gli interventi di alcuni esponenti degli zingari che hanno portato la testimonianza della loro esperienza di profughi kosovari perseguitati in Albania prima e ora in Italia.
L'incontro, durato dalle 19.00 alle 21.00 si è concluso con un piccolo concertino tenuto dal gruppo musicale Bali Rom che ha poi replicato la serata al Malox arricchendo lo spettacolo con danze tradizionali tzigane in costume tipico (come si vede nelle foto di Mario Zerillo).

Vittorio Vizzini "Scintilla"
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