Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 21 nr. 179
febbraio 1991


Rivista Anarchica Online

Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

Intimità e tepore

Rieccomi. Non è la prima volta: per certe cose (nel nostro caso, delle musiche) faccio molta fatica a cercare e soprattutto a trovare delle parole. E' una questione di equilibrio, ho pensato. O mi spingo verso l'emozione dei rapporti di amicizia personale, o cerco di allontanarmi, di essere onesto ed imparziale nel raccontarvi le cose che mi nascono dentro quando ascolto musica come queste.
Il problema è come muoversi, come misurare spazio, parole e pause rendendosi conto che - primo - si scrive perché dall'altra parte c'è qualcuno che ti legge (e già qui c'è da discutere di psicologia del feedback, dell'autogratificazione, etc.) e - secondo - perché evito di dimenticare che questa rubrica è ospitata su un giornale piuttosto particolare. Col rischio, poi, di incidenti di percorso e di disturbi di sintonia che disgraziatamente ti portino ad essere recepito come una specie di "pseudo-giornalista" in palestra su questa testata, e che per giunta "non sempre dà il meglio di se stesso"...
Il riferimento a "Dibattito su A/1" sul n.177 non è casuale. Ci sono rimasto male, ma non trovo giusto fermarsi, né rallentare per così poco: non conosco nessuno che collezioni i sassolini che gli saltano nelle scarpe. Chiusa parentesi, per ora.
Comunque vadano le cose, rieccoci dunque. Quello di oggi è l'album degli Howth Castle "Rust of keys". Il nome "joyciano" è già comparso una volta su queste pagine a proposito del mini-lp "La diserzione degli animali del circo" realizzalo dai Kina assieme a Lalli e Stefano Giaccone.
Lalli e Stefano hanno occupato tanto spazio su queste pagine e, per metterla un pochino sul patetico, nel cuore mio e di molti compagni, sintonizzati sulle onde migliori dei Franti, poi degli Environs. Tanto spazio, dicevo, anche in misura di materiale prodotto: in questi anni di attività sono stati promotori e protagonisti di numerosi episodi musicali di importanza rilevante, sia in senso artistico che emotivo.
Affamati della musica più spontanea e sincera, i due - coinvolti e complici di formazioni diverse - hanno saputo offrire un punto di vista del tutto personale della musica popolare contemporanea, attraversando paesi e pensieri distanti, senza badare a differenze di lingua, stile, latitudine. In ogni loro lavoro hanno dato un senso sempre nuovo all'utopia, al villaggio globale del cuore e della mente, in cui l'America è appena fuori della finestra di casa, l'Oriente nel giardino, il deserto sempre a portata di mano.
Nessuno come loro ha saputo accostare Albert Ayler e Bob Dylan, Nico e persino Ivano Fossati con un così particolare senso d'amore e prospettiva (mi sembra di aver già scritto cose pressappoco simili riguardo a loro in un'altra occasione...). Nessun altro ha incrociato in musica l'elettrico all'acustico in maniera così obliqua e insolita: arrangiamenti casuali, note e numeri soffiati fuori dagli strumenti, percussioni improvvise come certe grosse gocce di pioggia d'estate.
La spontaneità ed il senso di trasparenza come manifesto. La presenza, il batter d'ali dello spirito libero, il senso intimo della realtà vissuto semplicemente come biglietto da visita: Lalli e Stefano si sono ritrovati a percorrere insieme molte strade, e ad intrecciare nella vita esperienze, tensioni e problemi.
Ascoltare il loro "Rust of keys" equivale a trascorrere un pomeriggio in loro compagnia (il senso di comunicazione perdura ben oltre il tempo totale effettivo), a sentirli raccontare sogni e progetti. C'è un senso di intimità e tepore che caratterizza tutto il disco, dichiaratamente "fatto per se stessi" eppure dalle mille porte aperte. Un viaggio a piedi, senza fretta, lasciando i momenti brutti a casa ma portando i ricordi sempre e comunque in una tasca dello zaino. "Rust of keys" è cantare di persone, cose ed animali conosciuti e immaginati e sognati: una versione di "Bob Dylan's dream" intensissima e vibrante che sarà impossibile dimenticare. "Rust of keys" è cantare di assenze: la tenera Muski, che ho conosciuto "di persona" anch'io; la dolce Nico, sacerdotessa di nessuna religione, che conoscete anche voi attraverso l'immagine che di lei e della sua voce danno dischi, filmati e trip nostalgici.
Familiarità e sorpresa si fondono ad ogni passo di questo viaggio. Chi segue Lalli e Stefano nelle loro avventure musicali sa cosa aspettarsi- quali sonorità, quali vibrazioni, quali sfumature -, ma è comunque difficile abituarsi alle svolte improvvise, alle parole inaspettate. "Rust of keys" è un animale che non si lascia accarezzare. Come un gatto selvatico e misterioso che accetta il tuo cibo ma non le brevi distanze, o un uccello di cento colori che vola in alto, dove neanche la fantasia riesce ad arrivare. Mandate soldi (credo 12.000 lire più spese postali) e lettere d'amore a Inisheer, via Pinelli 45, 10144 Torino.