Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
Intimità e tepore
Rieccomi. Non è la prima volta: per certe cose (nel
nostro caso, delle musiche) faccio molta fatica a cercare e
soprattutto a trovare delle parole. E' una questione di equilibrio,
ho pensato. O mi spingo verso l'emozione dei rapporti di amicizia
personale, o cerco di allontanarmi, di essere onesto ed imparziale
nel raccontarvi le cose che mi nascono dentro quando ascolto musica
come queste. Il problema è come muoversi, come misurare
spazio, parole e pause rendendosi conto che - primo - si scrive
perché dall'altra parte c'è qualcuno che ti legge (e
già qui c'è da discutere di psicologia del
feedback, dell'autogratificazione, etc.) e - secondo - perché
evito di dimenticare che questa rubrica è ospitata su un
giornale piuttosto particolare. Col rischio, poi, di incidenti di
percorso e di disturbi di sintonia che disgraziatamente ti portino
ad essere recepito come una specie di "pseudo-giornalista"
in palestra su questa testata, e che per giunta "non sempre dà
il meglio di se stesso"... Il riferimento a "Dibattito
su A/1" sul n.177 non è casuale. Ci sono rimasto male,
ma non trovo giusto fermarsi, né rallentare per così
poco: non conosco nessuno che collezioni i sassolini che gli saltano
nelle scarpe. Chiusa parentesi, per ora. Comunque vadano le cose,
rieccoci dunque. Quello di oggi è l'album degli Howth
Castle "Rust of keys". Il nome "joyciano" è
già comparso una volta su queste pagine a proposito del
mini-lp "La diserzione degli animali del circo" realizzalo
dai Kina assieme a Lalli e Stefano Giaccone. Lalli e Stefano
hanno occupato tanto spazio su queste pagine e, per metterla un
pochino sul patetico, nel cuore mio e di molti compagni,
sintonizzati sulle onde migliori dei Franti, poi degli
Environs. Tanto spazio, dicevo, anche in misura di materiale
prodotto: in questi anni di attività sono stati promotori e
protagonisti di numerosi episodi musicali di importanza rilevante,
sia in senso artistico che emotivo. Affamati della musica più
spontanea e sincera, i due - coinvolti e complici di formazioni
diverse - hanno saputo offrire un punto di vista del tutto personale
della musica popolare contemporanea, attraversando paesi e pensieri
distanti, senza badare a differenze di lingua, stile, latitudine. In
ogni loro lavoro hanno dato un senso sempre nuovo all'utopia, al
villaggio globale del cuore e della mente, in cui l'America è
appena fuori della finestra di casa, l'Oriente nel giardino, il
deserto sempre a portata di mano. Nessuno come loro ha saputo
accostare Albert Ayler e Bob Dylan, Nico e persino Ivano Fossati con
un così particolare senso d'amore e prospettiva (mi sembra di
aver già scritto cose pressappoco simili riguardo a loro in
un'altra occasione...). Nessun altro ha incrociato in musica
l'elettrico all'acustico in maniera così obliqua e insolita:
arrangiamenti casuali, note e numeri soffiati fuori dagli strumenti,
percussioni improvvise come certe grosse gocce di pioggia
d'estate. La spontaneità ed il senso di trasparenza come
manifesto. La presenza, il batter d'ali dello spirito libero, il
senso intimo della realtà vissuto semplicemente come
biglietto da visita: Lalli e Stefano si sono ritrovati a percorrere
insieme molte strade, e ad intrecciare nella vita esperienze,
tensioni e problemi. Ascoltare il loro "Rust of keys"
equivale a trascorrere un pomeriggio in loro compagnia (il senso di
comunicazione perdura ben oltre il tempo totale effettivo), a
sentirli raccontare sogni e progetti. C'è un senso di
intimità e tepore che caratterizza tutto il disco,
dichiaratamente "fatto per se stessi" eppure dalle mille
porte aperte. Un viaggio a piedi, senza fretta, lasciando i momenti
brutti a casa ma portando i ricordi sempre e comunque in una tasca
dello zaino. "Rust of keys" è cantare di persone,
cose ed animali conosciuti e immaginati e sognati: una versione di
"Bob Dylan's dream" intensissima e vibrante che sarà
impossibile dimenticare. "Rust of keys" è cantare
di assenze: la tenera Muski, che ho conosciuto "di persona"
anch'io; la dolce Nico, sacerdotessa di nessuna religione, che
conoscete anche voi attraverso l'immagine che di lei e della sua
voce danno dischi, filmati e trip nostalgici. Familiarità
e sorpresa si fondono ad ogni passo di questo viaggio. Chi segue
Lalli e Stefano nelle loro avventure musicali sa cosa aspettarsi-
quali sonorità, quali vibrazioni, quali sfumature -, ma è
comunque difficile abituarsi alle svolte improvvise, alle parole
inaspettate. "Rust of keys" è un animale che non si
lascia accarezzare. Come un gatto selvatico e misterioso che accetta
il tuo cibo ma non le brevi distanze, o un uccello di cento colori
che vola in alto, dove neanche la fantasia riesce ad arrivare.
Mandate soldi (credo 12.000 lire più spese postali) e lettere
d'amore a Inisheer, via Pinelli 45, 10144 Torino.
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