Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 177
novembre 1990


Rivista Anarchica Online

Sono solo canzonette?
di Stefano Giaccone

Una forte e diffusa volontà di uscire dalla secche in cui sembrano essersi arenate, per tanti aspetti, le realtà dell'autoproduzione in Italia. È questo il dato più significativo che Stefano Giaccone (ex. Franti, oggi tra i promotori dell'etichetta Inisheer) ha rilevato a Torino lo scorso settembre, nell'ambito dell'incontro nazionale degli autoproduttori. Ruolo e problemi dei Centri Sociali

"La Lega dei Furiosi": questo il nome dato all'incontro tra le realtà dell'Autoproduzione svoltosi a Torino dal 21 al 23 settembre. Questa non è proprio una cronaca né un commento, ma solo alcune annotazioni sparse.
Negli ultimi due anni, con l'estendersi del fenomeno dei centri sociali (occupati e no) la questione del circuito alternativo di produzione/diffusione è tornata in primo piano, unitamente alle problematiche relative all'organizzazione degli "spettacoli". Si sono succeduti incontri, sfociati , tra l'altro, nella realizzazione di un catalogo collettivo del circuito non commerciale. Catalogo e meeting torinese coordinati da Nautilus, collettivo politico-editoriale (c/o Cas. post. 1311, 10100 Torino).
Per situare "filosoficamente" le due iniziative, dal documento di presentazione di Nautilus: Minimo contatto con le strutture di elaborazione, produzione e distribuzione della cultura ufficiale; massima propensione ad una creatività che non si consideri attività economica; tentativo costante di produrre e distribuire materiali che superino la logica del mercato della cultura, delle sue regole ed imposizioni; quindi un'attività tendenzialmente "altra" e istintivamente contro (...) e dal documento di convocazione della Lega: alla base dell'iniziativa c'è la convinzione che in una situazione in cui tutto è passabile di diventare "prodotto" e ogni attività rischia di avere valore solo se monetizzabile, l'indisponibilità a trasformare la propria creatività, i propri impulsi e se stessi in merce trova spesso difficoltà ad esprimersi, farsi conoscere, diffondersi.

Organizzazione libertaria

Per evitare casini, dirò che non ho visto nessuno dei tre concerti (MGZ, Officine Schwartz, Kina), ho assistito per mezz'ora al dibattito di venerdì 21, ho tenuto per tre giorni il banchetto dell'etichetta Inisheer, ho molto parlato, guardato, bevuto, acquistato, scambiato. Nonostante questa partecipazione non proprio "militante", alcune cose le vorrei dire.
Da parte mia e dei compagni con i quali ho parlato c'è soddisfazione. Si è trattato probabilmente dell'incontro più "illuminante" da molti anni a questa parte: molti "espositori", molta gente da tutta Italia, organizzazione libertaria assai buona cioè utile al realizzarsi del progetto. E visto che sono testé tornato da una "tournée" con i Kina per mezza Europa del Nord dove il problema spesso si pone, alla tre giorni torinese s'è notato come la presenza "politica" (scopo preciso e chiaramente recepibile, discussione, responsabilità e non "ognuno fa il cazzo che vuole") ha tenuto lontano spettatori non interessati (vivisettori sociali, yuppies, pennivendoli) e anche interessati (sbirri, spacciatori, Edoardo Agnelli, ecc.).
Soprattutto, molto "scambio" umano tra la gente. Ed il ritorno di contenuti che agitano il movimento, che parevano dimenticati. Ovvero ridare una direzione di rottura nei confronti dei meccanismi ed alla logica che sottendono la cultura commercializzata (ufficiale e "d'opposizione"), cosa che dai tempi di Punkaminazione (bollettino-catalogo della metà '80), si era persa in favore della solita, marcia, strada dell'affermazione (si fa per dire) personale, del protagonismo, dei soldi, ricreando nel cuore stesso dell'auto-produzione parametri di competizione, pulizia sonora, look, pubblicità che appartengono al commercio e non alla libertà.
Dalle cose dette e sentite in giro, una parte del movimento s'è rotta le palle d'organizzare concerti e distribuire dischi di chi poi non con-divide nulla con il circuito, cioè lo sfrutta. Bene, una presa di coscienza più avanzata su questo terreno sta nascendo nonostante lo stabilizzarsi di gruppi e "ditte" nate dentro la scena. Ma si sa: quando si fa una torta si sporca sempre un po' la tavola. Ripuliamola!
Benché ciò che il sottoscritto (e molti altri) dicevano tempo fa sia oggi sotto i nostri occhi, la battaglia per affermare una concezione ed una pratica della comunicazione sociale radicalmente opposta a quella vigente ed alla sua variante (?) ARCI (e connessi), e quindi una concezione libertaria, si è persa.
Ora dai centri sociali occupati e da tutta l'area interessata si leva la richiesta di una "piattaforma" etica sulla quale basare il proprio comportamento nei confronti di concerti, serate, soldi, ecc... Prendo spunto dallo sfogo di un compagno del Forte Prenestino di Roma: Ma chi me lo fa fare di sbattermi per dei concerti di gruppi di cui non mi fotte nulla? Perché il percorso è questo: se non organizzi concerti non viene nessuno, se non viene nessuno niente soldi per il Centro. Quindi gruppi amerikani a tutto spiano che si fa il pienone. Mi chiedo: perché si occupano questi posti? Per bere a meno soldi? Per darsi un centro di gravità permanente?
Tagliando corto: o si ha la capacita di dirigersi verso un mutamento, in senso libertario, della comunicazione sociale (quindi anche della musica ma molto altro c'è: se mi dai una mela biologica mi comunichi quanto un libro di Bookchin; beh... insomma), mescolando questo mutamento con un altro mutare della concezione del sé, sono veramente solo canzonette (e spesso brutte, ahinoi).
Parole? Certo, ma si pensava che i Centri occupati fossero "laboratori del rischio" (vedi copertina interna dell'ultimo lp dei Kina) dove cercare nuove strade. Starà a noi (nel senso di possibili fruitori, musicisti, teatranti, militanti) decidere se organizzare il concerto dei Pinko Punko serve o non serve, se entra in osmosi con tutta la vita del Centro.

La coscienza del Nuovo

Se la gente (?) vuole solo stonarsi con dei gruppi amerikani e poi tornarsene ai libri, alle famiglie, al Lavoro, alla noia, o si costruisce una "area della coscienza" ove costoro possono maturare esperienze diverse, o chiudi il Centro perché evidentemente non serve, nessuno lo vuole.
Tutto ciò si cala dentro il mondo delle merci e del denaro e non se ne sfugge con gesti o proclami. A questo proposito ha ragione il compagno Gianfranco Bertoli sulla questione dei dischi regalati in giro, a suo tempo, dai Franti. L'ultimo e "tangibile" senso della cosa era che i dischi divenivano danaro (c'è qualcuno che ha riempito biblioteche su questa curiosa trasformazione). Ciò che forse quel gesto spostava era il senso che il denaro (e quindi il modo e il tempo per produrlo) può avere in "aree materiali" e "aree della coscienza" non-conformi. Non che sia molto, però...
Queste aree non sono innate nelle teste degli anarchici e nemmeno vivono nel mondo del Mai, ma si cibano della vitalità del collettivo occupante, ovvero del coinvolgimento esistenziale di chi ci vive. Chiediamoci: abbiamo bisogno di questo posto, abbiamo bisogno di questa musica, abbiamo bisogno di questi soldi?
Che ogni collettivo, autonomamente, decida di che cosa ha bisogno e che ogni compagno (a quel punto non più spettatore o musicista, ma essere pensante) giudichi dove si sta veramente allargando l'area della coscienza del Nuovo e dove invece, rivestiti e imbellettati, ci si gratta i brufoli davanti alla millesima, minuscola, dimesticabilissima star dei poveri.