Rivista Anarchica Online
Sono solo canzonette?
di Stefano Giaccone
Una forte e diffusa volontà di uscire dalla secche in
cui sembrano essersi arenate, per tanti aspetti, le realtà
dell'autoproduzione in Italia. È questo il dato più
significativo che Stefano Giaccone (ex. Franti, oggi tra i promotori
dell'etichetta Inisheer) ha rilevato a Torino lo scorso settembre,
nell'ambito dell'incontro nazionale degli autoproduttori. Ruolo e problemi dei Centri Sociali
"La Lega dei Furiosi": questo il nome dato
all'incontro tra le realtà dell'Autoproduzione svoltosi a
Torino dal 21 al 23 settembre. Questa non è proprio una
cronaca né un commento, ma solo alcune annotazioni sparse.
Negli ultimi due anni, con l'estendersi del fenomeno dei centri
sociali (occupati e no) la questione del circuito alternativo di
produzione/diffusione è tornata in primo piano, unitamente
alle problematiche relative all'organizzazione degli "spettacoli".
Si sono succeduti incontri, sfociati , tra l'altro, nella
realizzazione di un catalogo collettivo del circuito non
commerciale. Catalogo e meeting torinese coordinati da Nautilus,
collettivo politico-editoriale (c/o Cas. post. 1311, 10100 Torino).
Per situare "filosoficamente" le due iniziative, dal
documento di presentazione di Nautilus: Minimo contatto con le
strutture di elaborazione, produzione e distribuzione della cultura
ufficiale; massima propensione ad una creatività che non si
consideri attività economica; tentativo costante di produrre
e distribuire materiali che superino la logica del mercato della
cultura, delle sue regole ed imposizioni; quindi un'attività
tendenzialmente "altra" e istintivamente contro (...)
e dal documento di convocazione della Lega: alla base
dell'iniziativa c'è la convinzione che in una situazione in
cui tutto è passabile di diventare "prodotto" e
ogni attività rischia di avere valore solo se monetizzabile,
l'indisponibilità a trasformare la propria creatività,
i propri impulsi e se stessi in merce trova spesso difficoltà
ad esprimersi, farsi conoscere, diffondersi.
Organizzazione libertaria
Per evitare casini, dirò che non ho visto nessuno dei tre
concerti (MGZ, Officine Schwartz, Kina), ho assistito per mezz'ora
al dibattito di venerdì 21, ho tenuto per tre giorni il
banchetto dell'etichetta Inisheer, ho molto parlato, guardato,
bevuto, acquistato, scambiato. Nonostante questa partecipazione non
proprio "militante", alcune cose le vorrei dire.
Da parte mia e dei compagni con i quali ho parlato c'è
soddisfazione. Si è trattato probabilmente dell'incontro più
"illuminante" da molti anni a questa parte: molti
"espositori", molta gente da tutta Italia, organizzazione
libertaria assai buona cioè utile al realizzarsi del
progetto. E visto che sono testé tornato da una "tournée"
con i Kina per mezza Europa del Nord dove il problema spesso si
pone, alla tre giorni torinese s'è notato come
la presenza "politica" (scopo preciso e chiaramente
recepibile, discussione, responsabilità e non "ognuno fa
il cazzo che vuole") ha tenuto lontano spettatori non
interessati (vivisettori sociali, yuppies, pennivendoli) e anche
interessati (sbirri, spacciatori, Edoardo Agnelli, ecc.).
Soprattutto, molto "scambio" umano tra la gente. Ed il
ritorno di contenuti che agitano il movimento, che parevano
dimenticati. Ovvero ridare una direzione di rottura nei confronti
dei meccanismi ed alla logica che sottendono la cultura
commercializzata (ufficiale e "d'opposizione"), cosa che
dai tempi di Punkaminazione (bollettino-catalogo della metà
'80), si era persa in favore della solita, marcia, strada
dell'affermazione (si fa per dire) personale, del protagonismo, dei
soldi, ricreando nel cuore stesso dell'auto-produzione parametri di
competizione, pulizia sonora, look, pubblicità che
appartengono al commercio e non alla libertà.
Dalle cose dette e sentite in giro, una parte del movimento s'è
rotta le palle d'organizzare concerti e distribuire dischi di chi
poi non con-divide nulla con il circuito, cioè lo sfrutta.
Bene, una presa di coscienza più avanzata su questo terreno
sta nascendo nonostante lo stabilizzarsi di gruppi e "ditte"
nate dentro la scena. Ma si sa: quando si fa una torta si sporca
sempre un po' la tavola. Ripuliamola!
Benché ciò che il sottoscritto (e molti altri)
dicevano tempo fa sia oggi sotto i nostri occhi, la battaglia per
affermare una concezione ed una pratica della comunicazione sociale
radicalmente opposta a quella vigente ed alla sua variante (?) ARCI
(e connessi), e quindi una concezione libertaria, si è
persa.
Ora dai centri sociali occupati e da tutta l'area interessata si
leva la richiesta di una "piattaforma" etica sulla quale
basare il proprio comportamento nei confronti di concerti, serate,
soldi, ecc... Prendo spunto dallo sfogo di un compagno del Forte
Prenestino di Roma: Ma chi me lo fa fare di sbattermi per dei
concerti di gruppi di cui non mi fotte nulla? Perché il
percorso è questo: se non organizzi concerti non viene
nessuno, se non viene nessuno niente soldi per il Centro. Quindi
gruppi amerikani a tutto spiano che si fa il pienone. Mi chiedo:
perché si occupano questi posti? Per bere a meno soldi? Per
darsi un centro di gravità permanente?
Tagliando corto: o si ha la capacita di dirigersi verso un
mutamento, in senso libertario, della comunicazione sociale (quindi
anche della musica ma molto altro c'è: se mi dai una
mela biologica mi comunichi quanto un libro di Bookchin; beh...
insomma), mescolando questo mutamento con un altro mutare della
concezione del sé, sono veramente solo canzonette (e spesso
brutte, ahinoi).
Parole? Certo, ma si pensava che i Centri occupati fossero
"laboratori del rischio" (vedi copertina interna
dell'ultimo lp dei Kina) dove cercare nuove strade. Starà a
noi (nel senso di possibili fruitori, musicisti, teatranti,
militanti) decidere se organizzare il concerto dei Pinko Punko serve
o non serve, se entra in osmosi con tutta la vita del Centro.
La coscienza del Nuovo
Se la gente (?) vuole solo stonarsi con dei gruppi amerikani e
poi tornarsene ai libri, alle famiglie, al Lavoro, alla noia, o si
costruisce una "area della coscienza" ove costoro possono
maturare esperienze diverse, o chiudi il Centro perché
evidentemente non serve, nessuno lo vuole.
Tutto ciò si cala dentro il mondo delle merci e del
denaro e non se ne sfugge con gesti o proclami. A questo proposito
ha ragione il compagno Gianfranco Bertoli sulla questione dei dischi
regalati in giro, a suo tempo, dai Franti. L'ultimo e "tangibile"
senso della cosa era che i dischi divenivano danaro (c'è
qualcuno che ha riempito biblioteche su questa curiosa
trasformazione). Ciò che forse quel gesto spostava era il
senso che il denaro (e quindi il modo e il tempo per produrlo) può
avere in "aree materiali" e "aree della coscienza"
non-conformi. Non che sia molto, però...
Queste aree non sono innate nelle teste degli anarchici e
nemmeno vivono nel mondo del Mai, ma si cibano della vitalità
del collettivo occupante, ovvero del coinvolgimento esistenziale di
chi ci vive. Chiediamoci: abbiamo bisogno di questo posto, abbiamo
bisogno di questa musica, abbiamo bisogno di questi soldi?
Che ogni collettivo, autonomamente, decida di che cosa ha
bisogno e che ogni compagno (a quel punto non più spettatore
o musicista, ma essere pensante) giudichi dove si sta veramente
allargando l'area della coscienza del Nuovo e dove invece, rivestiti
e imbellettati, ci si gratta i brufoli davanti alla millesima,
minuscola, dimesticabilissima star dei poveri.
|