Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 160
dicembre 1988 - gennaio 1989


Rivista Anarchica Online

Cinema e rock
di Pino Bertelli

Nato nero nei campi di cotone, il rock ha mantenuto, in alcuni suoi filoni, una forte carica trasgressiva. Pino Bertelli ne analizza qui l'intreccio ed i rapporti con il cinema, dall'epoca del "muto" ad oggi.

Nascita dell'eresia

Il rock'n'roll non è solo un fenomeno musicale, ma anche un fatto di costume, l'esplosione di una ribellione generazionale che alla metà degli anni '50 ha superato i confini dell'America per radicare ovunque i semi della trasgressione, della rivolta senza bandiere di milioni di ragazzi, stanchi ormai di tutte le ipocrisie familiari e più ancora, delle regole di comportamento della società convenzionale.
Il rock nasce nero, nei campi di cotone, ad Harlem; i prestiti dal blues e dal country sono copiosi; il blues è una "musica incredibilmente affascinante... si tratta del simbolo dell'oppressione di una minoranza razziale"(1). Nella memoria della storia americana è insomma la musica degli schiavi.
Negli anni '20, le canzoni di un vagabondo cieco, "Blind" Lemon Jefferson e di un ergastolano, Huddie Leadbetter detto "Leadbelly" (omicidio e rapina a mano armata), interpretano le grida dell'emarginazione del popolo nero e scaricano nel quotidiano dei bianchi la forza eversiva di una cultura di sopravvivenza. Così un passo di "Tin cup blues" di Jefferson: "Me ne stavo ritto nell'angolo e la testa quasi mi scoppiava/ non riuscivo a guadagnare abbastanza per comprarmi una fetta di pane/ la sfortuna mi ha colpito e i topi dormono nel mio cappello"(2).
Negli anni '30, i testi sulla condizione sociale dei neri vengono smussati, le voci di Ma Rainey, Bessie Smith, Ida Cox ecc., addolcivano l'ossessività del ritmo, la durezza dell'armonia, la ripetitività della frase, seminavano nel mondo la musica inquietante, delle piantagioni di cotone del delta del Mississipi.
La fusione tra musica nera e attualità si chiamava rhythm'n'blues.
Le radici del rock trovano nel country l'altra anima, quella nomade, sradicata o contadina, tutta spostata verso il contenuto di testi, il rifiuto della chitarra elettrica e degli untori della "modernità". Il country è il canto della terra che lega l'ultima frontiera americana con la quotidianità degli oppressi, dei fuori gioco di tutte le razze.
Ogni esibizione era un originale, ogni concerto un avvenimento. Negli accampamenti dei mezzadri, nei postriboli, nei ghetti neri, sotto i manganelli della polizia, ovunque qualcuno avesse bisogno di speranza o di libertà, lì arrivava un blues singer.
La musica di Brownie McGhee, Sonny Terry o Bukka While (3), riesce ad esprimere gli odori, il mistero della cultura afroamericana e insieme i significati profondi di liberazione dell'intero popolo nero.
Più tardi, anche i sostenitori del Black Power sembrano non capire la forza eversiva che sta al fondo dei country blues, "ma quando la guardia nazionale si sarà ritirata e i poliziotti avranno messo via i loro manganelli una volta per tutte, quando i ghetti saranno puliti, e delle case decenti avranno preso il loro posto, quando le opportunità di lavorare saranno veramente uguali, e non vi sarà più segregazione, i negri americani potranno ricordare con orgoglio la creazione di una delle arti popolari più ricche e gratificanti, e forse l'ultima grande musica folk che il mondo occidentale abbia prodotto" (4). Il rock è al tempo stesso, un prodotto della società dello spettacolo e il rifiuto delle sue mitologie.

Ribelli senza causa

Il rock è uno stile di vita, o meglio, è una vita senza stili. La provocazione, la sessualità, la radicalità audiovisuale di questa musica hanno influenzato tutti i linguaggi della comunicazione di massa.
Il rock'n'roll non è una scuola ma un'officina senza regole dove fondere diverse tonalità; un intreccio di tecniche, di forme, di itinerari musicali che vanno oltre le tensioni e i mutamenti generazionali.
Il rock'n'roll esplode nel cinema e nel mondo nel 1955, quando Richard Brooks inserisce nella colonna sonora del suo film, "IL SEME DELLA VIOLENZA" (THE BLACKBOARD JUNGLE, 1955), la canzone di Bill Haley and his Comets, "Rock around the clock"'.
Il film di Brooks è solido, diretto e fotografato secondo gli stilemi sperimentati del film nero americano. C'è tutto. La riforma della scuola, la ragazza profanata, la feccia suburbana newyorkese sconfitta, la conversione razziale; Glenn Ford è l'insegnante che con i nuovi metodi pedagogici e l'aiuto dei suoi allievi, estirpa dalla scuola il seme della violenza, cioè il capo dei teppisti.
Il successo del film di Brooks fu grande ma quello di "Rock around the clock" fu enorme. "IL SEME DELLA VIOLENZA", selezionato per la Mostra di Venezia, dietro le insistenze dell'ambasciatore americano, venne ritirato perché in molti stati del "grande paese" era ritenuto osceno e immorale. I buoni americani avvertivano nella canzone di Haley qualcosa che stava cambiando e che non volevano accettare.

I dannati del rockmovie

Il rockmovie diviene subito un genere di largo consumo. Fino agli anni '60 il rock attanaglia l'immaginario giovanile che trova sullo schermo mitologie a buon mercato e momenti di reale contestazione (solo musicale) del "sogno americano".
"I FRENETICI" (DON'T KNOCK THE ROCK, 1956) di Fred F. Sears, "GANGSTER CERCA MOGLIE" (THE GIRL CAN'T HELP IT, 1956) di Frank Tashlin. "SENZA TREGUA IL ROCK'N'ROLL" (ROCK AROUND THE CLOCK, 1956) di Fred F. Sears, "GLI ANNI PERICOLOSI" (THESE DANGEROUS YEARS, 1957) di Herbert Wilcox, "MISTER ROCK'N'ROLL" (1957) di Charles Dublin, "IL RE DEL ROCK'N'ROLL' (ROCK, ROCK, ROCK, 1957) di Will Price sono confezioni mirate alla restaurazione di ogni autorità nel "cimitero delle buone intenzioni" (Guy Debord).
"I FRENETICI" promette all'America che il rock non è pericoloso e questa musica è un affare come un altro; da ricordare Bill Haley and his Comets e la sua "Don't knock the rock", più ancora lo scatenato Little Richard che canta "Tutti i frutti" e "Long tall Sally". "Tutti i frutti" è un pezzo dirompente, ossessivo, che esprime il massimo della banalità. Venderà sette milioni di copie. Ed è proprio la riscoperta del ludico, della bestemmia, dell'iconoclastia musicale del rock che fanno di questo cinema-pattumiera un contenitore di sapori devianti.
I film non c'entrano. Quello che conta è quanto deborda il rock fuori dallo schermo. E non ci sono santi né produttori che possono ingabbiare la gioia che Bill Haley trasmette alle platee con "Rock around the clock" o "See you later Alligator" in "SENZA TREGUA IL ROCK'N'ROLL". Certo, tutto quanto viene filtrato dai media e trasformato in moda; intanto sono stati seminati i veleni sotterranei della disobbedienza. Al rancore di classe si sostituisce l'universalità del rock che cementa l'immediato e il presente nell'utopia scandalosa di un'umanità senza frontiere.
Nello splendore finto del cinemascope, in un technicolor risciacquato nelle tinte della pubblicità stradale e attraversato dal suono stereo (fruibile solo in poche sale di prima visione delle grandi città), "GANGSTER CERCA MOGLIE" si lascia vedere solo per l'inserimento dei primi rockers all'interno dell'affabulazione filmica.
Il rock di Gene Vincet ("Be bop a Lula"), Little Richard ("The girl can't help it"), Fats Domino ("Blue monday"), Eddie Cochran ("Twenty flight rock") fa tabula rasa del basso scopo commerciale del film e va a scatenare inquietudini vere e false coscienze.
"GLI ANNI PERICOLOSI", "IL RE DEL ROCK'N'ROLL" sono pellicole inondate di musica rock ma quello che più emerge dallo schermo, è il recupero dell'insoddisfazione adolescenziale che dopo qualche sbandamento (non solo musicale), ritrova la via maestra dell'integrazione nella società costituita.
"MISTER ROCK'N'ROLL" è una specie di compilation che gira intorno al solito Alan Freed, abile conduttore di programmi radiofonici destinati ad infiammare larghi strati della laboriosa America.
Ci sono canzoni memorabili, come "Lucille" di Little Richard, "Oh Baby Doll" di Chuck Berry ma tra una battuta stanca di Fred e incredibili sonni del tessuto filmico, il rock domenicale di Teddy Randazzo, "I was the last to know" e "I'll stop anything I'm doing" pacifica figli e genitori intorno a una torta di mele. Una curiosità, c'è anche l'ex campione dei pesi medi Rocky Graziano che canta "Rocky's love song". Modo d'uso: un brutto sogno.

Elvis Presley, l'idolo del rock

Il rock di Elvis Presley scuote l'America puritana degli anni '50. Insieme a Little Richard, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis, Presley contribuisce a cambiare i percorsi musicali e il costume di intere generazioni.
I loro concerti erano una festa collettiva dove l'irriverenza della musica sfondava le porte dello spettacolo e inondava le smagliature dell'acerbità.
Fino agli anni '60, Presley incarnava l'oltraggio e la provocazione. Il suo modo di interpretare il rock era sensuale, arrogante e narcisista; il New York Times scrisse che "la maniera in cui muoveva la lingua e il suo abbandonarsi a un mugolio senza parole erano particolarmente disgustosi" (6). La carica trasgressiva del rock primitivo di Presley, rimane un terribile rovesciamento delle regole sociali.
"Hound dog", "Heartbreak hotel", "Love me tender", "All shook up", "Jailhouse rock", "Heard headed woman" segnano momenti di scollatura del popolo giovanile e vanno a sommuovere il sottobosco dei compromessi esistenziali. Il diavolo era apparso sulla terra con la musica del rock'n'roll.
Quando il mito di Elvis diventerà la sua gabbia, tutta la portata ribellistica della sua musica sarà confezionata secondo schemi manageriali più vicini al gusto del mercato. Il rock di Presley ha comunque segnato un'etica della spaccatura, dove la libertà è dappertutto e la predica culturale/politica in nessun luogo.
Sullo schermo l'idolo del rock ha interpretato 31 film. Tutti da dimenticare. Il sentiero della gloria di celluloide di Presley passa per "FRATELLI RIVALI" (LOVE ME TENDER, 1956) di Roberta D. Web, "AMAMI TENERAMENTE" (LOVING YOU , 1957) di Al Antera, "IL DELINQUENTE DEL ROCK',N'ROLL" (JAILHOUSE ROCK, 1957) di Richard Torpore, "LA VIA DEL MALE" (KING CREOLE, 1958) di Michael Curiazi, "CAFFÈ EUROPA" (G.I. BLUES, 1960) di Norman Tauro, "BLUE HAWAII" (1961) di Norman Tauro, "L'IDOLO DI ACAPULCO" (FUN IN ACAPULCO, 1963) di Richard Torpedo e fino a "UN UOMO CHIAMATO CHARRO" (CHARRO, 1963) di Charles Marquis Warren (7), la mediocrità è di rigore.
Il melodramma western, il musical truccato e l'high-school movie sono i generi imbarazzanti attraversati dall'immobilità facciale di Presley. Pilota di auto da corsa, pugile, bagnino, pistolero, galeotto, scrittore di provincia ecc., Presley rifà sempre se stesso.
Le avventure sono imbastite sullo stile dei fumetti. L'eroe è ingenuo, selvaggio, forte; le donne sono sedotte dai suoi sguardi, dal suo coraggio, dalle sue canzoni ma il suo amore è sovente appoggiato alle grazie materne di figure femminili che pesano sul futuro della sua vita. Lizabeth Scott, Carolyn Jones, Dolores Del Rio, Hope Lange, Barbara Stanwyck o Johan Blondell sono infatti i punti di aggancio e di ritorno ai valori prestabiliti dell'ordinario. L'incontenibile insolenza del rock abbatteva frontiere e tabù, lasciava emergere scenari collettivi, sradicava antiche violenze sessuali e razziali.
Paradosso: l'elogio più profondo all'avvento di questa musica eversiva l'ha fatto Asa Carter, segretario del North Alabama White Citizens Council (Consiglio dei cittadini bianchi dell'Alabama e del Nord): "L'effetto del rock'n'roll trasforma i giovani in altrettanti adoratori di Satana, li incita, con la leva del sesso, a liberare i propri istinti... Il rock'n'roll degrada l'uomo bianco al livello inferiore del negro. Esso è parte di una cospirazione tendente a minare la morale dei giovani del nostro paese. È sessuale, immorale e il miglior mezzo per mescolare le due razze" (8). Il rock'n'roll si situava oltre la fascia dello spettacolo, diveniva anche uno strumento di crescita e superamento di tutte le barriere etniche.

Il tempio delle meraviglie

Gli anni '60 segnarono il tempo dello stupore e delle meraviglie. Bruciati gli oracoli Dio, Patria e Famiglia, le masse giovanili si scelsero altri miti, nuove tentazioni da trasgredire. Le pagine ribelli di Jack Kerouac, "Sulla strada" (On the road), William Burroughs, "Il pasto nudo" (Naked lunch) o Alan Ginsberg, "Howl"' (Urlo) accompagnarono la marea montante della contestazione che nel 1968 esploderà ovunque per andare a mutare il tessuto sociale dell'intera umanità.
Il linguaggio universale del rock radicalizzava umori e devianze, accompagnava le giovani generazioni di tutto il mondo a superare la propria infanzia.
Al cinema l'irrazionalità liberatoria del rock viene decapitata e il desiderio di un quotidiano inedito affogato nella "bottega dei sogni" hollywoodiana.
"THE BEAT GENERATION" (1959) di Charles Haas, "I CAVALLONI" (GIDGET, 1959) di Paul Wendkos, "DAI, JOHNNY, DAI!" (GO, JOHNNY, GO!, 1959) di Paul Landres, "LA SPIAGGIA DEL DESIDERIO" (WHERE THE BOYS ARE, 1960) di Henry Levin, "TORNA A SETTEMBRE" (COME SEPTEMBER, 1961) di Robert Mulligan sono sbiadite operazioni mercantili dove Louis Armstrong, i Four Preps, Connie Francis recitano il compitino musicale, mentre Eddie Cochran ("Teenage heaven", "Come on everybody"), Ritchie Valens ("La bamba", "Donna") o Chuck Berry ("Maybellene") agitano sulla tela nuove favole per i "Franti" della marginalità.
In Italia l'insurrezione culturale del rock viene filtrata in una catenaria di film mediocri, destinati alle sale provinciali. Adriano Celentano, Mina, Little Tony, Bobby Solo, Caterina Caselli, Rita Pavone, Gianni Morandi, Peppino Di Capri furono smerciati sotto i più bassi profili estetico/musicali. Anche Federico Fellini, "LA DOLCE VITA" (1960), Michelangelo Antonioni, "L'ECLISSE" (1962) o Valerio Zurlini, "LA RAGAZZA CON LA VALIGIA" (1961) sistemano la ventata dissacratoria del rock tra i cadaveri del mondano.
Intanto negli USA il rock'n'roll si stemperava nei divertissement seriali come "VACANZE SULLA SPIAGGIA" (BEACH PARTY, 1963) di William Asher, "SURF PARTY" (1964) di Maury Dexter, "BIKINI BEACH" (1964) di William Asher e affini; con la fine dell'estate trionfava l'amore e i "cattivi pensieri" svanivano nello spazio di un 45 giri.
Pat Boone, Neil Sedaka, Johnny Restivo, Bobby Vinton o Frankie Avalon "tolgono al rock le sue connotazioni più irriverenti. Una volta addomesticato il rock, anche la televisione si può permettere di mostrarlo alle famiglie" (9). Su altre coste, Joan Baez e Bob Dylan interpretavano la richiesta di libertà che fuoriusciva dalla rabbia giovanile; la speranza di un mondo nuovo ribolliva ovunque e l'avventura di scoprirlo in molti era l'utopia possibile. Al cinema, l'ondata eversiva di questa musica si configura in qualcos'altro e l'industria fa della cultura rock un'agenzia di viaggi immaginari destinati a soffocare l'allargarsi della protesta, della contestazione generalizzata che esploderà nel maggio '68 a Parigi e poi in tutto il mondo.
Con "TUTTI PER UNO" (A HARD DAY'S NIGHT, 1964) e "AIUTO!" (HELP! 1966) di Richard Tester, i Beatles mostrano di non avere l'ironia citata dei Marx Brothers e più ancora, molte delle loro canzoni, sono notevoli segnali di morigerato qualunquismo. Se ne accorge anche la regina e conferisce ai quattro scarafaggi di Liverpool, l'MBE, l'Ordine dell'impero britannico.
"CHAPPAQUA" (1967) di Conrad Rooks, "I SELVAGGI" (THE WILD ANGELS, 1966) di Roger Corman, "LA SCUOLA DELLA VIOLENZA" (TO SIR WITH LOVE, 1966) di James Clavell, "IL SERPENTE DI FUOCO" (THE TRIP, 1967) di Roger Corman, "PSYCH-OUT IL VELO SUL VENTRE" (PSYCH-OUT, 1968) di Richard Rush, "VIOLENCE STORY" (THE SAVAGE SEVEN, 1968) di Richard Rush, "EASY RIDER - LIBERTÀ E PAURA" (EASY RIDER, 1969) di Dennis Hopper, "ZABRISKIE POINT" (1970) di Michelangelo Antonioni sono un campionario dove il rock viene utilizzato come supporto a inquietudini irrisolte di una parte rilevante della comunità.
Le notazioni sono sempre le stesse. Droga, violenza, paura e libertà a buon mercato. Il ribaltamento di prospettiva di una società ingiusta resta nelle speranze di una generazione inedita. La realtà si impadroniva dell'immaginazione, il rock perdeva l'amarezza della lucidità eversiva, acquistava il consenso dell'ovvio e della liquidazione delle idee.
Da "WEST SIDE STORY" (1961) di Robert Wise, passando per "BALLIAMO INSIEME IL TWIST" (HEY, LET'S TWIST, 1961) di Greg Garrison, "GIRANDO INTORNO AL CESPUGLIO DI MORE" (HERE WE GO ROUND THE MULBERRY BUSH, 1968) di Clive Donner, "SULLE ALI DELL'ARCOBALENO" (FINIAN's RAINBOW, 1968) di Francis Ford Coppola, la dissimulazione di un'umanità senza ferocia viene contrapposta agli squilibri di un quotidiano affondato nella miseria, nella separazione razziale, nella discriminazione economica ecc.; qui si invita a sognare un'America che non c'è.
A cogliere alle radici la realtà di un quotidiano terrorizzato dalle burocrazie/ideologie della società opulenta, sono un pugno di film coraggiosi che disvelano ciò che passa per annunciare quanto ritorna sugli scenari dell'osceno. "Così il sollevarsi dal velo può considerarsi come l'espressione ultima dell'osceno. Il voler violare" (Henry Miller) i movimenti segreti dell'universo mercantile.
"UNA STORIA AMERICANA" (MADE IN U.S.A., 1966) di Jean-Luc Godard, "POOR COW" (1967) di Kenneth Loach, "ALICE'S RESTAURANT" (1969) di Arthur Penn, "UN UOMO DA MARCIAPIEDE" (MIDNIGTH COWBOY, 1969) di John Schlesinger, "DIARIO DI UNA CASALINGA INQUIETA" (DIARY OF A MAD HOUSEWIFE, 1970) di Frank Perry, "SACCO E VANZETTI" (1970) di Giuliano Montaldo, "FRAGOLE E SANGUE" (THE STRAWBERRY STATEMENT, 1970) di Stuart Hagman si staccano dalla mediocrità generale e riescono a descrivere i conflitti tra libertà e potere.
Qui cinema e musica rock affrontano il risveglio incontenibile della realtà e il tempo delle riflessioni viene abolito per far posto al tempo delle impazienze.
Ma sono due documentari rock ad aprire gli anni '70 a mitologie facili e nuove primavere di protesta.
"MONTEREY POP", (1969) di D.A. Pennebaker e "WOODSTOCK" (1970) di Michael Wadleigh rappresentano l'oltraggio della musica rock che diviene spettacolo. Affermazione dell'effimero e glorificazione della banalità.
"MONTEREY POP" è molto di più della fotografia di un festival rock. La vena documentarista di Pennebaker si accosta agli artisti senza forzature spettacolari né inutili virtuosismi tecnici e i pezzi di Janis Joplin, "Ball and chain" e "Combination of the who", Jimi Hendrix, "Wild thing", gli Who con la profetica "My generation" ecc., resteranno pagine cinematografiche indimenticabili.
"WOODSTOCK" segna invece la cementazione della cultura rock con i mass-media. Il punto più alto di aggregazione sociale della musica rock coincide con il declino della sua portata eversiva. Il film di Wadleigh è un melodramma patetico che mescola una realtà artificiata a tre giorni di pace, amore e musica; non bastano le canzoni di Richie Havens, "Freedom", Arlo Guthrie, "Coming into Los Angeles", Joan Baez, "Joe Hill", Joe Cocker, "With a Little help from my friends", Jimi Hendrix, "Star spangled banner" ecc., per giustificare tanta presunzione tecnologica e incredibili sciocchezze moralistiche.

Fragole, sangue e...

Negli anni '70 droga, pasticche e alcool uccidono i semidei della rivolta permessa e la scomparsa dal firmamento musicale di Brian Jones, Jimi Hendrix, Janis Joplin o Jim Morrison consolida la cattività del rock nell'immaginario collettivo.
Con i morti sul campo, l'industria del rock diviene sempre più smaliziata, domestica; il mito è sorretto dall'ingerenza televisiva e la sua funzione assume l'importanza che viene ad avere uno shampoo o una qualsiasi pubblicità, all'interno del sistema universale dei media. "Il divo è in cielo, in terra e in ogni luogo'' (10). I gerarchi della pubblica opinione sanno bene che il culto iconografico è fondato sulla capacità di sedurre e organizzare i sogni verso la genuflessione all'oggetto desiderato.
La domesticazione del rock si coglie in alcuni film destinati al grosso pubblico e "PINK FLOYD A POMPEI" (LES PINKFLOYD A POMPEI, 1971) di Michele Arnaud, "LA SIGNORA DEL BLUES" (LADY SINGS THE BLUES, 1972) di Sidney J. Furie, "AMERICAN GRAFFITI" (1973) di George Lucas, "JESUS CHRIST SUPERSTAR" (1973) di Norman Jewison, "NASHVILLE" (1975) di Robert Altman, "IL FANTASMA DEL PALCOSCENICO" (PHANTOM OF THE PARADISE ,1974) di Brian De Palma, "TOMMY" (1975) di Ken Russell, "UN MERCOLEDI DA LEONI" (BIG WEDNESDAY, 1978) di John Milius, "GREASE", (1978) di Randal-Kleiser, "LA FEBBRE DEL SABATO SERA" (SATURDAY NIGTH FEVER, 1977) di John Badhan, "LA CITTA DELLE DONNE" (1980) di Federico Fellini, "CRUISING" (1980) di William Friedkin sono uno spaccato dove il rock climatizza l'insoddisfazione conviviale nella spettacolarità del marketing.
L'industria organizza l'immagine e i canali audiovisuali di massa (cinema, televisione, fotografia, radio, carta stampata) riciclano mitologie e simulacri, il vero si nasconde nelle truccherie dei padroni dell'informazione.
Ciò che viene rappresentato come la vita reale è soltanto la vita apparente spettacolarizzata. L'epifania dell'icona tradizionale viene accolta come magia della civiltà telematica e i mangiatori di audience trasmettono un mondo fittizio dove anche la trasgressione (non solo) musicale è una merce.
I filamenti aggressivi della musica rock attraversano il grande schermo con alcune opere singolari.
"PUNTO ZERO" (VANISHING POINT, 1971) di Richard C. Sarafian, "LA RAGAZZA DEL BAGNO PUBBLICO" (DEEP END , 1970) di Jerzy Skolimowski, "O LUCKY MAN!" (1973) di Lindsay Anderson , "ALICE NELLE CITTA" (ALICE IN DEN STADTEN, 1974) di Wim Wenders, "THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW" (1975) di Jim Sharman, "CAR WASH" (1976) di Michael Schultz, "FUGA DI MEZZANOTTE" (MIDNIGTH EXPRESS, 1978) di Alan Parker, "QUADROPHENIA" (1979) di Franc Roddam, "SARANNO FAMOSI" (FAME, 1980) di Alan Parker, "KOYAANISQATSI" (1984) di Godfrey Reggio descrivono con efficacia, anomalie e smagliature della gabbia sociale.
"You gotta believe" di Delaney and Bonnie, "O Lucky man!" di Price, "Menphis Tennessee" di Chuck Berry, "Slow train" di James Brown o l'insieme dei pezzi di "THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW", non sono il sottofondo di una maladolescenza spettacolarizzata ma costituiscono una spaccatura all'interno della macchina/cinema. Anche quando si tratta di B-musical accattivanti come "CAR WASH" o "SARANNO FAMOSI", il rock travalica la dimensione ludica e accomuna il popolo giovanile oltre il colore della pelle.
Sotto molti tagli, il rock sfugge alle regole e ai percorsi obbligati costruiti dall'industria. Ritmi urbani scatenati, atteggiamenti delinquenziali, abusi e contaminazioni espressive di ogni specie, proiettano il rock in paesaggi della sopravvivenza o sul boccascena del successo.
La radicalità musicale del rock invita a rompere con le banalità dell'ordinario e a bruciare pericolosamente tutti gli schemi precostituiti della società dell'apparenza.
Il rock è un linguaggio senza frontiere. Qualcosa che fa sudare, amare, piangere milioni di persone; lo scandalo è il segno che lascia nella cultura di un'epoca (11). Più di trent'anni di rock nel mondo hanno scatenato fanatismi e vessazioni, nessuno è riuscito a fermare l'ondata di libertà che questa musica ha disseminato in ogni angolo della terra.

Rock-drugstore

Ovunque il rock "rimane una terribile arma battagliera e un giustiziere nervoso, continuando a giocare il ruolo di rivoluzionario impenitente, ancora oggi, nonostante sia definitivamente caduto tra le braccia della discografia internazionale, di manager, discografici, legali e banchieri" (12). E non rappresenta soltanto un pezzo di vita reale, più semplicemente, rivela il lato nascosto, censurato o scellerato della realtà accomodata.
Le sciropperie del rock traboccano sugli schermi degli anni '80. "STRADE VIOLENTE" (THIEF, 1981) di Michael Mann, "STRADE DI FUOCO" (STREETS OF FIRE, 1984) di Walter Hill, "UN SOGNO LUNGO UN GIORNO" (ONE FROM THE HEART, 1982) di Francis Ford Coppola, "ALL'ULTIMO RESPIRO" (BREATHLESS, 1983) di Jim McBride, "FLASHDANCE" (1983) di Adrian Lyne, "FOOTLOOSE" (1984) di Herbert Ross, "STAYING ALIVE" (1983) di Sylvester Stallone, "BREAKDANCE" (1984) di Joel Silberg sono prodotti che vanno a coprire nuovi mercati, a riempire altre tendenze musicali.
Il punk, l'heavy-metal, il reggae, la new-wave, il funky sono mescolati alla disco-music, al rhythm'n'blues, al rock-spettacolo, al rock impegnato in battaglie per i diritti umani; tutto questo ribollire di idee musicali viene stemperato in un cinema domestico, mirato ad un'educazione dell'immagine sempre più vicina agli spot pubblicitari. I segni della civiltà televisiva sono profondi. Dentro gli entusiasmi collettivi la conoscibilità reale del quotidiano è sempre più lontana. I bagni di celebrità, come quelli di sangue, idealizzano un mondo inesistente.
Anche film più ambiziosi, scodellati nella loro apparente goliardia metropolitana, come "THE BLUES BROTHERS" (1980) di John Landis, "AMERICAN GIGOLO" (1980) di Paul Schrader, "RUSTY IL SELVAGGIO" (RUMBLE FISH, 1983) di Francis Ford Coppola, "ABSOLUTE BEGINNERS" (1986) di Julien Temple fino a "BIRD" (1988) di Clint Eastwood, non restituiscono appieno la carica dissacratoria del rock. Si passa dalle biografie intimiste allo shool-musical, dal recupero della cattività suburbana a uno stile di vita dissipata firmato Armani.

Il principe viola

Il rock oltraggioso, iconoclasta, perverso di Prince esplode nel cinema con "PURPLE RAIN" (1984) di Albert Magnoli. Alla fallocrazia del rock da garage, Prince oppone una mescolanza di bisessualità, androginia, misticismo; arriva perfino a recitare il "Padre Nostro" e dal più sfacciato dei cieli al neon, sottolinea devianze, incesti, ecc., in un sound che gronda sensualità e ricchezza innovativa.
Alcune venature autobiografiche sconfinano nel patetico e solo la genialità dei pezzi musicali impediscono di guadagnare l'uscita del cinema.
"PURPLE RAIN" incassa comunque "settanta milioni di dollari (sette milioni di dollari la cifra investita per realizzarlo). L'album estratto vende nove milioni di copie solamente negli Stati Uniti e oltre due milioni di copie nel resto del mondo"(13).
"Purple Rain", "The Beautiful Ones", "Let's Go Crazy" o "Computer Blue" restano musica che va oltre ogni tempo e ogni scuola. Seminano ovunque l'irriverenza maledetta del pop nero.
Nel 1986 Prince ci riprova con "UNDER THE CHERRY MOON". Fa tutto da solo e sforna una commedia musicale anni '40. Il film, girato in uno stucchevole bianco e nero, non trova mai una vera affabulazione creativa. La camera da presa è una vetrina promozionale sulla grandezza musicale di Prince.
"Cristopher Tracy's Parade", "I Wonder You", "Girls and Boys", "Kiss", o "Under the Cherry Moon" sbordano dalla cornice cinematografica e rappresentano il sale dell'inedito e della simbologia sessuale del pop (già tracciata da Little Richard, James Brown, Jimi Hendrix, Sly Stone). Prince, dopo avere saccheggiato i bassifondi del rock ed essersi spinto oltre l'orlo del dicibile, è divenuto star/interprete di una musica che è mistero, tentazione e pericolo. Proprio come dice lui: "Bisogna vivere una vita per capire la vita. I turisti ci passano solo attraverso" (14). Solo ciò che è impossibile cogliere nell'immediato attenta a tutto quanto è già marchiato sulle sponde della storia.

Rock e cinema-spazzatura

I sentieri accidentati del rock, sono catalizzati nel cinema-spazzatura (trash-movie) che chiude gli anni '80. Buttando nel mucchio generi diversi, vilipesi dalla critica cortigiana (Ciak, Cinema Nuovo, Cinemasessanta...) o celebrati da quella musicofila (Mucchio Selvaggio, Rockerilla, Rockstar...), possiamo vedere che "CRAZY MAMA" (1975) e "CITIZEN'S BANDS" (1977) di Jonathan Demme, "BORDER RADIO" (1988) di Allison Anders, Kurt Voss e Dean Lent, "ATHENS, GEORGIA" (1988) di Tony Gayton, "OUT OF THE BLUE" (1980) di Dennis Hopper, "HAIRSPRAY" (1988) di John Waters; "RAISING ARIZONA" (1987) di Joel e Ethan Coen, "DOGS IN SPACE"' (1987) di Richard Lowenstein, "SID E NANCY" (1986) di Alex Cox, "TRUE STORIES" (1987) di David Byrne ecc., rispondono ad una estetica della ribellione dove la "diversità" si stempera nell'apologia dell'effimero e scivola sullo schermo come "business" (affare) mirato al pubblico underground.
Qui tutti i rituali su una "buona umanità" sono popolati di spettri dell'anomalia e nel rovesciamento edonistico di tutta la segnaletica hollywoodiana, si vengono a ristabilire i parametri di "legge e ordine" rigettati prima. L'evidenza è qualcosa che sommuove in superficie, ciò che va distrutto alla radice.
Il tempo dell'enfasi è anche il tempo dell'innocuo.
Si tratta di insorgere contro i forsennati della civiltà di sopravvivenza. Agire per l'appuntamento più grande: rovesciare la società.
Negli USA il rock è ormai entrato all'università (15) e il fuoco eretico di questa musica popolare rischia il definitivo seppellimento. Il rock ha assunto dappertutto un ruolo crescente di "normalizzatore" delle turbolenze generazionali e da "strumento di sovversione è diventato anche un singolare mezzo di addomesticamento" (16) dell'immaginario giovanile.
Il rock è contenitore di "derive" eversive o non è niente. Il petrolio della critica radicale induce a riflettere su un'urgenza: la riappropriazione di una musica che risponda all'inumanità del profitto con le passioni creative della quotidianità liberata.


(1) Paul Oliver: La grande storia del blues, Antrophos 1986, pag. 9.

(2) Vedi La grande storia del rock di AA.VV., vol. 1, Curcio 1975, pag. 63.

(3) Tra le contaminazioni del rock, un'altra profanazione è quella del country bianco che da Jimmie Rodgers, Hank Williams, Jonny Cash si coniuga al rockabilly, cioe "blues con un po' di country beat" (Carl Perkins) ed è appunto l'infanzia del rock che aveva trovato in Buddy Holly il suo profeta. Holly rimase ucciso in un incidente aereo il 3 febbraio 1959, aveva 23 anni; con lui morirono altre due star del rock acerbo, J.P. Richardson (Big Popper) 27 anni e Ritchie Valens, 18 anni. Interprete di un 45 giri indimenticabile, " Donna/La Bamba".

(4) Paul Oliver: pag. 182, op. cit.

(5) Vedi La società detto spettacolo, di Guy Debord, più precisamente il II Capitolo, tesi 53.

(6) Vedi La grande storia del rock, pag. 21, op. cit.

(7)Film di Presley inediti in Italia: "STAY AWAY, JOE" (1968) di Peter Tewksbury, "LIVE A LITTLE, LOVE A LITTLE" (1968) di Norman Taurog, "THE TROUBLE WITH GIRLS" (1969) di Peter Tewksbury, "CHANGE OF HABIT" (1970) di Williams Graham. I documentari: "ELVIS PRESLEY SHOW" (ELVIS-THAT'S THE WAY IT IS, 1970) di Denis Sanders, "ELVIS ON TOUR" (1973) di Pierre Adidge e Robert Abel, "ELVIS IL RE DEL ROCK" (ELVIS!, 1979) di John Carpenter, "THIS IS ELVIS" (1981) di Malcom Leo e Andrew Solt

(8)Vedi Guida alla musica pop, di Rolf-Ulrich Kalser, Mondadori 1978, pag. 17.

(9) Paolo Belluso:Flavio Merkel: Rock-film, Gammalibri 1984, pag.11

(10) Carlo Sartori: La fabbrica delle stelle/divismo mercato e mass media negli anni '80, Mondadori 1983, in modo particolare vedi la parte terza, pagg. 279/315.

(11) Il libro del sovietico Artemy Troitsky, Compagno rock, Vallardi 1988, mostra i cambiamenti del costume che la musica rock ha portato in Unione Sovietica e traccia un profilo veloce dei gruppi che seminano questa cultura delle differenze nel paese del "comunismo reale".
Testi come questi sono universali : "Sono seduto sul water / leggendo rolling Stone / Venya è in cucina / a versareil samogon (liquore distillato in casa) / Vera dorme nell'attico / sebbene il registratore urli / avremmo dovuto svegliarla molto tempo fa / ma sarebbero stati "mauvais temps" (pag.54).

(12) Vedi: La grande storia del rock, vol. l, pag. 25, op. cit.

13) Paolo Pollo: Prince, Gammalibri 1987, pag. 34

(14) ibidem, pag. 64

(15) La prima laurea in rock è nata alla Browling Green State University dell'Ohio. Gli iscritti sono circa 2.000. Le lezioni di cultura e musica popolare sono tenute dai proff. Brown e Cagle. Si studiano il rock, la televisione, i fumetti, il cinema, ecc.; il piano dei lavori prevede quattro anni di college e due livelli di specializzazione, il Master Degree (una specie di dottorato) e il Phd (il massimo grado di laurea). Per queste notizie, vedi l'articolo di Franco Carratori, "Il Tirreno", 28 settembre 1988.

(16) Alberto Campo-Guido Chiesa: Rockin'USA, Arcana 1986, pag. 326