Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 156
giugno 1988


Rivista Anarchica Online

A come arte
di Marina Padovese / Fabio Santin

Nel dibattito intorno alle problematiche che l'arte pone, già affrontato su queste pagine con diversi articoli e interviste, ben si inseriscono, a nostro avviso, i due ultimi titoli pubblicati da Elèuthera: Sotto il Beaubourg (pagg. 179, lire 18.000) di Albert Meister e Cose, fatti e persone (pagg. 226, lire 22.000) di Enrico Baj.
Baj, uno dei più noti pittori italiani contemporanei, costantemente intreccia la sua attività creativa con una profonda riflessione sull'arte. Ed è col linguaggio divertito e ironico di sempre, questa volta in versione scritta, che, quasi fosse cronista dell'arte del nostro tempo, ci fa esplorare momenti artistici di estrema importanza come Surrealismo, dadaismo e Patafisica o ci parla di straordinari personaggi come Duchamp, Munari, Lévi-Strauss, Kantor e altri ancora. Ciò che ne risulta, oltre alle divertenti note di costume, è un insieme ricco di stimoli per una sempre più profonda riflessione sull'arte, che è sì creazione dell'immaginario, "zona" del fantastico, ma, come ogni altra attività umana, si presta a speculazione e a contraffazione.
Può essere depositaria di messaggi, di valori, di ciò che potrebbe corrispondere bene o male a quell'ideale superiore di bellezza a cui noi tutti, anche vagamente, aspiriamo senza pretendere di raggiungerlo, ma può anche essere un ideale che oggi sostituisce altri ideali, miti o religioni (è proprio un caso che oggi, sopra il nostro letto, non ci sia più un crocefisso, ma un poster o una litografia di...?). "La disposizione tendenziale del potere" ci avverte Baj "spazza via significati e significanti; annulla differenze, impulsi e espressioni; cancella il significato delle cose, dei fatti e degli individui".
Assistiamo sempre più alla separazione dell'arte dalla rappresentazione dei fatti della vita, cosicché l'arte finisce per non avere più nessun referente.
Probabilmente Piero Manzoni, denunciando ancora negli anni '60 certa arte che minacciava di essere travolta da nuovo conformismo, compiva l'ultimo grande gesto dada: riempì scatolette di metallo di merda (sarà vero?), pose un'etichetta, le firmò, le numerò e le mise in vendita quale estrema opera d'arte: "merda d'artista", concludendo così la parabola iniziata da Duchamp con il famoso "orinatoio".
Ma, partendo dal principio di negazione, Baj afferma che "l'arte non è un ordinamento vuoto e che non coincide con la glorificazione dell'effimero. L'arte è un sistema di conoscenze e di aspirazioni che tende a migliorare la qualità della vita: per una ecologia del sogno".
Albert Meister, ricercatore all'Istituto di Studi dei Movimenti sociali all'Ecole des Hautes Etudes di Parigi, è per lo più conosciuto come autore di numerosi saggi sui problemi dell'autogestione, dello sviluppo e dei fenomeni associativi o forse qualcuno di noi ricorda la sua partecipazione al convegno di studi sull'Autogestione, a Venezia nel '78. Leggendo "Sotto il Beaubourg", scritto nel '76, si potrà invece conoscere un altro aspetto dell'autore: non il puntuale sociologo ma, con divertita sorpresa, si vedrà emergere un Meister ironico, irriverente, "ribelle". "A me non tocca dire il vero, non ho verità da proclamare, tutto quello che ho cercato di fare è stato di dire: attenzione, non fatevi prendere".
Chi parla è Gustave Affeulpin, cioè Meister con uno dei molti pseudonimi da lui usati a firma dei numerosi articoli di collaborazione alla rivista "Le Fou parle".
Se il Meister ricercatore dedica dapprima il suo impegno alla analisi delle comunità delimitate e delle forme di autogestione, col tempo tende ad occuparsi delle trasformazioni su scala nazionale e continentale, arrivando ad analizzare il sistema del denaro e le trappole del consumismo.
Con pessimismo, non potrà dunque che constatare quanto ridotto sia alla fine, per l'uomo ormai ingabbiato, il margine per una utopica liberazione. Tocca quindi all'altro Meister, a Gustave Affeulpin, o meglio ancora a Gustave Joyeux (così si fa chiamare il protagonista del libro) trovare la via d'uscita all'accerchiamento totale ed è con appassionato ottimismo che afferma: "Ormai la libertà umana si trova unicamente nelle imperfezioni della programmazione, negli interstizi del tessuto sociale non ancora toccato dalla benevola sollecitudine degli apparati di integrazione".
E a testimonianza di quanto affermato ecco la precisa e attenta cronaca dell'esperienza e della nascita di una "cultura alternativa che non sia fatta tanto di forme e contenuti diversi quanto di senso e segno diversi, nella negazione di ogni Accademia, di ogni Autorità, di ogni Gerarchia".
In "Sotto il Beaubourg", Meister-Gustave inventa quindi una gioiosa, ma tutto sommato realistica, utopia giocata sulla critica della Cultura con la Maiuscola, della Cultura Ufficiale, e cosa c'è di più dissacrante che ambientare la nascita di questa "controcultura" addirittura in una vasta serie di piani sotterranei, esattamente sotto al simbolo francese della Cultura Ufficiale, il Centre National d'Art e de Culture George Pompidou, più conosciuto come il Centre Beaubourg?
"Per cambiare la società, bisogna cominciare a liberare dentro di noi tutte quelle forze libertarie che vorremmo veder trionfare nella società futura. (...)
Allontanarsi da tutto quanto è della società borghese: la proprietà, la lotta per il potere e per la politica, la rispettabilità, l'igiene ossessiva, i giochi inutili dell'intellettualismo. Anzi smettere di contestarla, per meglio allontanarsene e costruire al di fuori la nostra. Siamo mutanti che ormai non appartengono più al vostro mondo".