Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Rivista Anarchica Online

Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)

Franti

"… In Giappone, nel periodo medievale, un imperatore volle far progettare e costruire un giardino nella sua residenza dall'architetto più famoso del paese.
Dopo innumerevoli anni di lavoro, l'architetto fece chiamare l'imperatore comunicandogli che il giardino era stato ultimato. L'imperatore rimase sconcertato: chiuso in un perimetro rettangolare in muratura, un piccolo giardino verdissimo era tutto il risultato di anni d'attesa.
Sparsi però per il giardino vi erano dei massi enormi conficcati nel terreno. L'architetto propose all'imperatore di contare le pietre: "sono quattordici" egli rispose. Si spostarono poi in altri punti del giardino, ed ogni volta l'architetto chiedeva al signore di contare le pietre: "Sono quattordici, ne sono sicuro". L'architetto prese allora un gesso ed iniziò a numerare i massi. Alla fine se ne contarono quindici.
L'architetto spiegò al re che aveva posizionato i massi in modo tale che da qualunque parte li si osservasse se ne scorgevano sempre e solo quattordici, uno in meno di quelli realmente presenti...
Certo, volendo (e potendo) salire in alto si sarebbero visti tutti i massi ma, per gioire di un giardino, bisogna camminarci in mezzo. Ora si pone un problema: questo giardino è la somma delle sue quindici pietre e del suo terreno rettangolare oppure c'è qualcosa al di là, dentro o fuori, sopra o sotto di questo?
Questo è un disco rock (termine riassuntivo): rispondere a questa domanda ci porterebbe su terreni sui quali solitamente non ci si avventura. Ma un musicista creativo acquista forse il suo senso proprio nello sbattere in faccia, anche a se stesso, che ci sono salti, non connessioni nelle tessere del mosaico.
Che c'è una pietra, anzi, quindici a turno, che sfugge. E qui ci stanno le nostre storie, il nostro lavoro, la nostra cultura, la nostra fantasia, tecnica, scienza. Nostre, perché impegnano la nostra vita in un giardino di pietre...".
"Un disco rock" : una definizione frettolosa e francamente limitante, insufficiente a contenere quella che è, nel valore e nella complessità artistica raggiunta, la più bella opera dei Franti.
Un'opera d'arte popolare, di questo si tratta. "Il giardino delle quindici pietre" è il loro terzo album, un lavoro assolutamente semplice eppure misterioso, proprio come il giardino giapponese che viene usato come parallelo emozionante e ricco di significati scintillanti. Il messaggio dei Franti va ben oltre i solchi del disco, ben oltre le pagine del libretto che costituisce la copertina.
Ascoltare queste canzoni significa intraprendere un viaggio importante attraverso l'anima di una generazione delusa, sfruttata e schiacciata ogni giorno, ma non per questo disperata, o peggio battuta. Dietro alla superficie ruvida delle quindici pietre c'è una sensibilità viva che arroventa l'intero giardino, c'è la passione per una rivoluzione sconosciuta, sognata ed attesa tutte le notti come una stella cometa. In questo "disco rock" c'è posto per l'intimismo tiepido e tremante della periferia delle città industriali dove la misura dell'uomo è dimenticata, il malessere ed il nervosismo artificiale per una vita che qualcuno vorrebbe fatta di spettacoli televisivi inutili, di giornali letti in fretta, di canzoni tutte uguali trasmesse per radio. In questo "disco rock" c'è spazio per far volare, libera, la fantasia.
"...Un giardino e quindici pietre. Un'idea, un respiro, folgoranti dentro un piccolo recinto di sassi. Non credo che i sassi sulle spiagge o sulle rive dei fiumi siano in formazione, posizionati da qualche mano, gigantesca. È la testa, anzi gli occhi che danno un senso, una direzione e quindi un segno delle pietre sparse. Man mano che lo sguardo passa di sasso in sasso si tesse nella testa un disegno che, avanzando nello spazio, scompare per poi risalire alla memoria diverso, mai ripetuto. Come disegnare nell'aria, che è comunque disegnare. Molti bambini praticano quest'arte, ad ogni latitudine: non chiedono che gli adulti scoprano il senso che sta dietro i gesti, semplicemente tracciano. Azione e pensiero sono indissolubili in quest'arte.
Arte povera, si può provare a disegnare nell'aria (quattro case, un cane, una sedia a dondolo che cade) e dopo qualche ora tornare a vedere cosa ne rimane. Vere opere d'arte sono i pensieri che colorano le dita in movimenti. Si dipinge l'aria come si suona uno strumento a corde. Perché non provare a disegnare le figure con le pietre ed i sassi delle spiagge lungo i fiumi? Le quindici pietre costringono a viaggi d'esplorazione che lasciano indietro, introvata, una pietra diversa...".
I Franti si fanno beffe della cultura borghese e pure ridono la più feroce delle risate in faccia al bigottismo pseudo-antagonista: "No dreams, no future" a velocità accelerata così da far sorridere (ecco i sogni, ecco il futuro), per poi rigirare il coltello nella piaga affermando: "...Le loro voci nelle orecchie mi ricordano chi sono, mi ricordano a cosa servo e a chi servo" . Linton Kwesi Johnson assieme ai ritagli di alcune tra le centinaia di lettere ricevute durante questi anni d'attività, recensioni e necrologi del punk, Peter Handke e Mario Boid, Humphrey Bogart, Franz Kafka e storie "trovate in giro". Addirittura, in "Big black mothers", i Franti fanno rivivere in un ologramma agghiacciante lo spirito di Demetrio Stratos per poi celebrarne il mito nel brano immediatamente successivo "Micrò micrò". Nient'altro da aggiungere, in mezzo a questo brivido che dura da più di mezz'ora.