Rivista Anarchica Online
L'autogestione del territorio
di Riccardo Pozzi e Francesco Naselli
La ricerca di un modello organizzativo territoriale antiautoritario e autogestito attraverso l'analisi
delle proposte di Proudhon e di Kropotkin. L'organizzazione mutualistica, la cooperazione, il
decentramento, l'integrazione città-campagna e lavoro manuale-intellettuale sono le basi su cui
si dovrebbe fondare la nuova società.
Il problema della casa è nato con l'inizio dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Lo sfruttamento ha
fatto sì che la divisione sociale del lavoro significasse aumento di privilegi e di benessere da parte di
pochi rispetto ai molti, loro sottomessi. I pochi privilegiati, godendo di fatto del lavoro altrui, hanno
manifestato questa loro posizione anche nel campo dell'abitazione. Questo serviva a sottolineare la
differenza di classe sociale emersa dalla nuova organizzazione del lavoro: chi godeva del lavoro altrui
poteva permettersi un'abitazione comoda e spaziosa, chi era sottomesso era costretto ad accontentarsi
di un riparo. La città è sempre stato il luogo nel quale si manifestano visivamente i rapporti di
produzione vigenti. La città come contenitore sociale, come fabbrica di riproduzione della forza-lavoro è sempre stata
oggetto di studi accurati e la quantità del materiale su questo problema aumenta ogni giorno che
passa. Questo perché la città è strettamente connessa allo stato: un attacco portato all'organizzazione
della città è anche un attacco contro lo stato, così come quest'ultimo per darsi un volto più efficiente
e più razionale cerca di migliorare e allargare la fruizione della città stessa. Dice a questo proposito
R. Mariani, in La città come ideologia: "Dunque, per sintetizzare, dopo la rivoluzione industriale, la
restaurazione dello stato passa attraverso la città: nella prima fase la città è l'oggetto del recupero del
potere di stato, nella seconda la città stessa diventa stato e modello della sua rigenerazione continua". Quello che noi ci proponiamo, non è soltanto una critica all'organizzazione capitalistica e statale in
generale e quindi anche sul territorio, ma di conoscere e far conoscere proposte e modelli di
Autogestione del territorio. Analisi quindi dei massimi teorici del movimento anarchico, come
Proudhon e Kropotkin, che hanno fornito spunti molto lucidi e precisi per un'organizzazione
antiautoritaria e autogestita della città e della campagna integrate tra di loro: un'organizzazione per
poli autonomi e collegati federativamente con una maglia di comuni che parte dal villaggio, passa per
la città e la regione per finire al livello più generale. Non è che parlando di Kropotkin vogliamo
idealizzare e cantare le lodi del villaggio medievale e tornare così indietro nel tempo, ma Proudhon
e Kropotkin sono solo l'inizio di un'analisi più ampia dell'autogestione del territorio che attraverso
altri personaggi culminerà nell'esperienza più matura e attuale di autogestione di un'intera nazione:
la Spagna negli anni della Rivoluzione dal 1936 al 1939.
F.N.-R.P.
Federalismo e mutuo appoggio
di Riccardo Pozzi
Il primo grande teorico della prassi autogestionale in senso libertario è senz'altro P.J. Proudhon. La sua
importanza è legata al fatto che è il primo a parlare diffusamente di autogestione, di mutualismo, di
cooperazione, temi che verranno definiti utopistici dallo stesso Marx, mentre in futuro saranno destinati,
almeno la cooperazione, ad una larga diffusione tra i marxisti stessi.
La teoria federativa dei centri di produzione, in cui gruppi autonomi possono cominciare a creare le basi
per la piena realizzazione dell'autonomia collettiva, può essere considerata un'elaborazione sulle
possibilità di instaurare un sistema sociale fondato sui principi dell'autogestione. "L'abolizione dello
sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo e abolizione del governo dell'uomo da parte dell'uomo sono
una sola identica proposizione (...) è essa che costituisce il punto di passaggio tra il periodo capitalistico
e statuale che finisce e il periodo della libertà e dell'uguaglianza che comincia". (1). Da questo
presupposto fondamentale Proudhon individua nella comunità la prima determinazione della società, il
momento positivo, la tesi; mentre la proprietà e la sua negazione, l'antitesi. La terza forma di società,
sintesi della comunità e della proprietà, è la "libertà". "La libertà è pertanto l'adeguamento della socialità
al reale livello di sviluppo della struttura socioeconomica. In questo senso, dirà Proudhon, essa è
uguaglianza, è anarchia, è varietà infinita, è proporzionalità, ma soprattutto è principio di
organizzazione". (2)
La critica della proprietà, dello stato e dell'autorità confluiscono nella teoria societaria di P. e si
concretizzano nella proposta di un'organizzazione mutualistica per tutte le attività economiche.
Essenziale è una completa socializzazione dell'industria, l'abolizione cioè della proprietà privata nel
settore manifatturiero. Questa socializzazione, specialmente nell'ambito dei grandi mezzi di produzione,
viene vista come primo grande passo per poter diffondere l'organizzazione mutualistica al resto della
società.
L'organizzazione mutualistica, è un'organizzazione creata spontaneamente dagli operai a sostegno delle
proprie lotte. Vengono realizzate le Casse di Mutuo Soccorso, che come strumenti di lotta si
generalizzano in breve in tutta la Francia. Vale la pena citare a questo riguardo gli intenti che si
proponevano gli aderenti (alcuni sarti di Parigi) di una di queste associazioni: "salario sufficiente, un
orario di lavoro che... permetta (loro) di istruirsi, di conservare la salute e di trattenere relazioni di
indipendenza e di eguaglianza con padroni e operai. (Si) propone la costituzione di una commissione
permanente destinata ad ascoltare lamentele, prendere le iniziative necessarie ed i collegamenti con le
altre associazioni: da tale commissione sarà costituito il Comitato centrale delle associazioni operaie,
autorizzato ad agire in nome di tutti gli operai". (3)
Lo spirito egualitario e autogestionale si può cogliere meglio nell'organizzazione e nelle finalità delle
Casse di mutuo Soccorso: "Ciascuna società di mutuo soccorso ha i suoi statuti, i suoi modi di
comportamento, le sue regole. L'adesione volontaria invita gli aderenti a concepire questa disciplina
come direttamente propria, a scoprire il senso non più in un'autorità posta al di fuori, estranea e
coercitiva, bensì proprio in un'effettiva partecipazione al gruppo, nel quale essi possono vivere perciò
un'esperienza intensa di autoregolazione e autoorganizzazione". (4)
Per quanto riguarda l'organizzazione dell'agricoltura: "Le comuni agricole di P. sono in pratica delle
organizzazioni rurali che, dopo aver proceduto alla liquidazione del grande latifondo provvedono alla
ridistribuzione in parti uguali della terra, al controllo della qualità delle culture, alla riscossione di un
canone di assicurazione e al collegamento tra le proprietà individuali cooperativizzate e la federazione
nazionale delle organizzazioni rurali". (5)
Organizzazione mutualistica, cooperazione, soprattutto la consapevolezza che questi obiettivi non si
raggiungono naturalmente o per concessione di sovrani illuminati, ma mediante la "forza collettiva" dei
lavoratori e della associazione dei produttori con i consumatori, sono le fondamenta del pensiero
proudhoniano. P. infatti, sottolinea il fatto della potenzialità del lavoro collettivo, e ne rivendica lo spirito
creativo produttivistico e la possibilità di farne strumento formativo solo se il lavoro viene organizzato
dagli operai; "teorizzerà (a questo riguardo)... le "compagnie industriali" vedendovi - con entusiasmo -
il momento di realizzazione più alto dell'associazione da lui delineata". (6)
"Ciò che mettiamo al posto del governo l'abbiamo già detto: è l'organizzazione industriale. Ciò che
mettiamo al posto delle leggi sono i contratti (...) Ciò che mettiamo al posto dei poteri politici sono le
organizzazioni economiche (...) Ciò che mettiamo al posto della centralizzazione politica è la
centralizzazione economica". (7)
La struttura federalista garantisce l'autonomia dei centri di produzione e la possibilità di una loro
gestione diretta da parte dei lavoratori. L'autonomia dei centri di produzione si completa e si realizza
nell'ambito di una struttura decentrata dalle amministrazioni locali e municipali. Le comuni - così P.
chiama le amministrazioni comunali - svolgono praticamente tutte le funzioni sociali, politiche ed
economiche necessarie al funzionamento del sistema federale. L'attività economica viene determinata
e controllata autonomamente dalle comuni, così pure le attività educative e culturali; essa stabilisce le
norme e la distribuzione delle funzioni necessarie per la sua conduzione.
Le proposte proudhoniane interessano l'intera organizzazione della società, la sua struttura complessiva.
Il problema della distribuzione del territorio, della città e della campagna, viene inserito in un contesto
più generale di organizzazione sociale. Più specificamente Proudhon propone la socializzazione delle
industrie, la cooperazione nell'agricoltura e la redistribuzione territoriale di "comuni" autonome e
federalmente collegate tra di loro. Tutti temi che verranno riproposti in seguito e che in alcune occasioni
saranno anche attuati.
"La libertà è essenzialmente organizzatrice: per assicurare l'eguaglianza tra gli uomini, l'equilibrio tra le
nazioni, occorre che l'agricoltura e l'industria, i centri di istruzione, di commercio e di deposito siano
distribuiti secondo le condizioni geografiche e climatiche di ogni paese, la specie dei prodotti, il carattere
e i talenti naturali degli abitanti". (8)
Il discorso di Proudhon è altresì importante perché per la prima volta il soggetto politico, l'artefice di
questa trasformazione sociale è una classe ben precisa: la classe lavoratrice e proletaria. Dall'unione di
questa classe, dalla consapevolezza della sua forza collettiva può scaturire questa nuova struttura
sociale.
Importante inoltre la struttura federalista, le comuni autonome che l'autore propone. Territorialmente
si arriva così a una prima forma di decentramento, alla formazione di unità sociali autonome ma collegate
tra loro, che sono una prima concreta risposta al superamento del sempre insoluto dualismo città-campagna.
(1) R. MASSARI, Le teorie dell'autogestione, Milano 1974, p. 41.
(2) ibidem, pp. 41-42.
(3) E. CAMPELLI, Classe e coscienza di classe in Proudhon, Ivrea 1974, p. 33.
(4) ibidem, p. 35.
(5) R. MASSARI, op. cit., pp. 52-53.
(6) E. CAMPELLI, op. cit., p. 19.
(7) P. J. PROUDHON, in R. MASSARI, ibidem, pp. 57-58.
(8) P. J. PROUDHON, Che cos'è la proprietà, Roma-Bari, 1974, p. 289.
Il decentramento comunitario
di Francesco Naselli
Il personaggio più singolare e più ricco di proposte per una struttura libertaria sociale e territoriale della
società è senza dubbio Petr Kropotkin. Agronomo, geografo, scienziato il principe anarchico fu il primo
ad occuparsi seriamente e scientificamente di pianificazione.
Kropotkin dimostra che fin dalla fase primitiva nell'uomo era ben presente lo spirito comunitario e la
solidarietà all'interno delle varie tribù: questo stesso spirito permane ancora nel feudalesimo e raggiunge
il suo grado più elevato nel Medioevo.
(...) "La città medievale ripete, ma su scala più vasta, il tentativo delle comunità paesane di organizzare
una stretta unione di aiuto e di appoggio mutuo per il consumo, la produzione e la vita sociale nel suo
complesso". (1)
Causa del decadimento e della morte di queste città fu il non avere esteso questi principi del mutuo
appoggio, delle associazioni, delle federazioni a tutti e questa scarsa circolazione di conoscenze e di
esperienze fece di quei pochi dei privilegiati, dei padroni. Al contrario:
"Noi ci rappresentiamo una società, in cui le relazioni tra i suoi membri sono regolate, non più dalle
leggi, eredità di un passato di oppressione e di barbarie; non più da queste o quelle autorità, siano poi
elette dal popolo o detengano il potere per diritto d'eredità: ma da impegni reciproci, liberamente
conclusi e sempre revocabili, come pure da usi e costumi bene accetti a tutti. Questi costumi però, non
devono essere pietrificcati e cristallizzati dalle leggi o dalla superstizione; ma conviene abbiano uno
sviluppo continuo, adattandosi ai bisogni nuovi, ai progressi del sapere e delle invenzioni, ed al crescere
di un ideale sociale, sempre più razionale e sempre più elevato. Quindi nessuna autorità, che imponga
agli altri la propria volontà. Nessun governo d'uomo per l'uomo". (2)
Partendo da questi presupposti Kropotkin propone una società decentrata, basata su comuni libere,
autonome e federate tra di loro.
"Ricchi dell'esperienza medievale, sapendo cioè che senza decentramento non vi è libertà, senza
federazione non vi è energia sociale, senza armonia di strutture territoriali e di lavoro non c'è vita umana,
eccoci a descrivere l'integrazione del lavoro". (3)
L'integrazione tra il lavoro agricolo e quello industriale diventa una condizione necessaria per la nuova
armonia sociale: sviluppo parallelo delle due attività e decentramento della produzione industriale. Il
decentramento è quindi per Kropotkin inevitabile ed è un bene se questo sia cosciente e sganciato dalle
regole del profitto, se riesce ad armonizzare in ogni luogo le industrie: altrimenti siamo di fronte soltanto
all'anarchia capitalistica della produzione.
"Noi proclamiamo l'integrazione tra lavoro agricolo e industriale; e sosteniamo che la società ideale -
cioè lo stato verso cui la società si trova già in cammino - è una società di lavoro integrato e combinato.
Una società dove ciascun individuo produca sia lavoro manuale sia lavoro intellettuale; dove ciascun
essere umano valido sia un lavoratore, e dove ciascun lavoratore lavori sia nei campi sia nelle officine
industriali; dove ogni agglomerato di individui, abbastanza grande da disporre di una certa varietà di
risorse naturali - sia essa una nazione o piuttosto una regione - produca e consumi in proprio la maggior
parte del suo prodotto agricolo-industriale". (4)
Superamento quindi della divisione nefasta tra lavoro manuale e lavoro intellettuale; decentramento e
integrazione che comportano il superamento del mai risolto rapporto di sudditanza tra la città e la
campagna. Armonia tra le varie industrie e potenziamento del settore agricolo nel quale come in ogni
altro settore è il lavoro associato la soluzione più ragionevole.
E la struttura territoriale?
Coerentemente con quanto affermato prima l'Autore propone una maglia di comuni indipendenti tra di
loro e collegati federativamente.
"L'idea di comuni indipendenti per gli aggruppamenti territoriali, e di vaste federazioni di mestiere per
gli accorpamenti di funzioni sociali - gli uni allacciati agli altri per aiutarsi a vicenda nel soddisfare i
bisogni della società - permise agli anarchici di concepire d'una maniera concreta, reale, l'organizzazione
possibile di una società emancipata. Non restava altro da aggiungere che gli aggruppamenti di affinità
personali, aggruppamenti innumerevoli varianti all'infinito, di lunga durata o effimeri, creati a seconda
dei bisogni del momento per tutti gli scopi possibili". (5)
La funzione specifica di ciascuno di questi aggruppamenti viene spiegata con chiarezza:
"Questa terza specie di aggruppamenti formerebbero come una rete tra di loro e giungerebbero a
permettere la soddisfazione di tutti i bisogni sociali: il consumo, la produzione e lo scambio; le
comunicazioni, le misure sanitarie, l'educazione; la protezione reciproca contro le aggressioni, il mutuo
appoggio, la difesa del territorio; la soddisfazione, infine, dei bisogni scientifici, artistici, letterari, di
divertimento. Il tutto - sempre pieno di vita e sempre pronto a rispondere con nuovi adattamenti ai nuovi
bisogni ed alle nuove influenze dell'ambiente sociale ed intellettuale". (6)
Una delle condizioni del successo di questa struttura è che sia il più possibile estesa a tutti, che interessi
vaste superfici spaziali e coinvolga direttamente grandi masse di lavoratori sia agricoli che industriali.
"Se una società di questo genere si sviluppasse su di un territorio abbastanza grande sufficientemente
popolato per permettere la varietà necessaria dei gusti e dei bisogni, ci si accorgerebbe subito
dell'inutilità della coercizione autoritaria, qualunque essa sia. Inutile per provvedere alla vita economica
della società, essa lo sarebbe pure per impedire la maggior parte degli atti antisociali". (7)
Tutto questo potrà essere realizzato e attuato in prima persona dal popolo, nella sua stragrande
maggioranza, costruendo un ordine sociale non basato più sullo stato e la coercizione, ma sulle
collettività e il libero scambio.
"Il popolo - i contadini e gli operai - dovrà cominciare egli stesso l'opera costruttiva, edificatrice, su
principi comunisti più o meno larghi, senza aspettare ordini e disposizioni dall'alto. Dovrà, prima di ogni
altra cosa, fare in modo che tutti abbiano il nutrimento e l'alloggio e poi pensare a produrre precisamente
quanto sarà necessario per nutrire, alloggiare e vestire tutti". (8)
Kropotkin analizzò dettagliatamente e scientificamente i mali della società nella quale viveva e sempre
scientificamente propose come risoluzione di questi l'abbattimento della società del capitale. Questo
comporterà il superamento della divisione tra lavoro manuale e intellettuale, presupposto per non
ricreare stratificazioni sociali e posizioni di privilegio.
Capì l'importanza dell'agricoltura e del suo ampliamento, così come fu favorevole all'uso delle macchine
intese come mezzi per alleviare il lavoro umano e le possibilità che queste offrivano se usate non soltanto
per ricavarne il massimo profitto ma per una funzione sociale.
Fu il primo ad interessarsi scientificamente di pianificazione territoriale e le sue proposte di
decentramento furono riprese ed ampliate e sono tutt'oggi di scottante attualità. I suoi studi di una
gestione non autoritaria del territorio sono stati ripresi ed ampliati all'interno del movimento, fino ad
arrivare ad I. Puente che nel Congresso di Saragozza della C.N.T. nel 1936 propose una struttura
decentrata del territorio su basi kropotkiniane, struttura che fu poi messa in atto (con le collettività
agricole come fulcro) negli anni della Rivoluzione spagnola dal 1936 al 1939.
(1) C. DOGLIO, L'equivoco della città giardino, Napoli 1953, p. 37.
(2) P. KROPOTKIN, La scienza moderna e l'anarchia, Milano 1921-22, p. 65.
(3) ibidem, p. 38.
(4) P. KROPOTKIN, Campi, fabbriche e officine, Milano 1975, pp. 34-35.
(5) P. KROPOTKIN, La scienza moderna..., p. 104.
(6) ibidem
(7) ibidem
(8) P. KROPOTKIN, La scienza moderna..., p. 139.
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