Rivista Anarchica Online
La marcia antimilitarista
di L. Levis
Trieste, 25 luglio. Parte la settima marcia antimilitarista. Promossa dal
Partito Radicale e organizzata
da War Resisters' International, Movimento non violento, Lega obiettori di coscienza, Movimento
Antimilitarista Internazionale, Partito Radicale delle tre Venezie, la marcia arriverà ad Aviano
il 7 agosto.
Aderiscono molte organizzazioni, di diversa estrazione ideologica, da Lotta Continua a federazioni e
sezioni friulane del PSI, dal PDUP a Re Nudo, a nuclei di Proletari in divisa di numerose caserme,
ecc. Aderiscono inoltre molti gruppi anarchici (ricordiamo fra gli altri: gruppo Germinal di Trieste,
Gruppo
Nestor Machno di Marghera, gruppo M. Bakunin di Folina, gruppo Anarchico di Padova, Gruppo
Anarco-comunista di Gorizia, Gruppo Pinelli di Pisa); ed inoltre numerosi altri compagni, a titolo
personale, di diverse città. Una presenza notevole soprattutto se consideriamo che una
partecipazione così massiccia non era stata
organizzata prima, e ciò sta a significare che il movimento si sta riappropriando
dell'antimilitarismo quale
momento fondamentale della lotta antiautoritaria, riproponendo così una continuità
storica propria
dell'anarchismo. La presenza attiva e numerosa dei compagni alla marcia va vista soprattutto come
punto
da cui partire per un dibattito da portare all'interno del movimento, che coinvolga il maggior numero
possibile di gruppi e compagni, un dibattito che serva a dare corpo ad una sostanziale presenza
dell'antimilitarismo anarchico nella società degli anni '70. È in questa prospettiva
che abbiamo visto positivamente (e orgogliosamente) le bandiere nere
accompagnare costantemente la marcia; nella prospettiva dello sviluppo della tematica antimilitarista
che
il movimento dovrà esprimere nei prossimi anni con le analisi e gli strumenti adeguati ai tempi
per quelli
che rimangono i fini di sempre. Nata alla fine degli anni '60 come esigenza di rompere il muro di
silenzio gravitante attorno alla
istituzione-esercito, coraggiosamente portata avanti da pochi radicali nonviolenti, obiettori e libertari,
la marcia è cresciuta di anno in anno acquistando sempre di più una caratterizzazione
libertaria e
maturando nel suo interno contenuti politici rivoluzionari. La tematica e i contenuti della marcia hanno
seguito negli anni lo sviluppo delle obiezioni di coscienza. Così è cresciuta una sempre
più incisiva
caratterizzazione rivoluzionaria mano a mano che alle obiezioni di tipo etico-religioso si sono aggiunte
quelle di tipo politico espresse collettivamente. Lo sviluppo delle lotte sociali del '68-'69, la crescita
della coscienza antiautoritaria negli sfruttati e il
crescente stato di tensione all'interno delle caserme hanno portato nella marcia quei contenuti politici
che l'hanno fatta crescere qualitativamente. Certo, non possiamo condividere pienamente gli
obiettivi "ufficiali" della marcia, dalle proposte di
riduzione della ferma a sei mesi e dell'abolizione delle servitù militari, alle richieste di
libertà
costituzionali per i soldati, alla proposta di un referendum abrogativo dei codici militari... ecc., in quanto
tematiche sostanzialmente rivendicative-riformiste tendenti ad una razionalizzazione delle strutture
militari e delle loro funzioni. Ma questo non ha impedito a noi anarchici di sviluppare il nostro
antimilitarismo con interventi diretti nei comizi, nelle discussioni e con una diffusione massiccia di
materiale di propaganda.
La componente anarchica
Come detto prima, la partecipazione degli anarchici alla settima marcia antimilitarista è stata
numerosa.
50-60 compagni su una media di 250-350 "marciatori" per tappa, una componente "quantitativamente"
notevole. Diverso è il discorso se prendiamo in esame la "qualità" dell'intervento
anarchico, perché le
carenze esistenti al nostro interno hanno impedito quella caratterizzazione che una presenza coordinata
e preparata avrebbe potuto dare. È invece emerso l'intervento organizzato da alcuni gruppi delle
Venezie, intervento che è servito a colmare le carenze esistenti e a dare una definizione e una
caratterizzazione all'intera componente. La preparazione di questo intervento organizzato ha
permesso ai compagni la diffusione di decine di
migliaia di copie di un volantino sul tema "tutti gli eserciti sono nemici degli sfruttati e della
libertà"; la
diffusione di centinaia di copie di un documento sui rapporti tra militarismo, potere e autoritarismo; la
fissione di un manifesto anarchico contro gli eserciti. Tutti i compagni hanno contribuito alla
diffusione di questo materiale così come è stato concordato nelle
"assemblee anarchiche" che si sono tenute lungo il percorso. È proprio nel corso di queste
assemblee
che si è venuta a manifestare la carenza di un discorso omogeneo da portare all'esterno, per via
dell'esistenza di tendenze diversificate (diversificate, ma non antitetiche e contraddittorie), soprattutto
per quanto riguarda i temi della obiezione di coscienza e la lotta all'interno delle strutture militari.
I nostri contenuti
L'antimilitarismo deve essere inquadrato in una visione generale di lotta antiautoritaria: su questo
discorso si è imperniato il nostro intervento e attorno vi abbiamo sviluppato l'articolazione degli
interventi: dall'obiezione di coscienza politica come rifiuto dell'istituzione, alla lotta e
all'insubordinazione
di massa e individuale nelle caserme, individuando questi due momenti come aspetti complementari di
una stessa lotta contro il braccio armato del potere statale, quindi contro lo stato. Una
antimilitarismo non tattico e strumentale come quello di chi distingue su "certi tipi" di militarismo,
ma l'antimilitarismo completo così come il movimento anarchico ha saputo esprimere
storicamente:
combattere il militarismo per combattere il sistema dell'autorità dell'uomo sull'uomo;
dall'antimilitarismo
all'antiautoritarismo all'anarchia, in cui la presa di coscienza e la volontà rivoluzionaria sono le
condizioni
fondamentali che permettono questo passaggio. La nostra azione quindi deve necessariamente tendere
a sviluppare nei militari di leva e più in generale negli sfruttati la coscienza rivoluzionaria,
partendo dalla
situazione di sfruttamento e da quelle che ne sono le cause, cioè lo stato e l'organizzazione
autoritaria
della società. L'antimilitarismo anarchico ha per unico fine la distruzione degli eserciti e in
questa
prospettiva vanno indirizzati la pratica dell'obiezione di coscienza, la lotta all'interno delle strutture
militari, e il lavoro di denuncia e di controinformazione. Per quanto riguarda l'obiezione di coscienza
motivata politicamente, pur riconoscendo che tale forma
di ribellione il sistema cerca di annacquarla (vedi legge truffa sul servizio sostitutivo), l'abbiamo valutata
positivamente per il suo carattere di rifiuto, per il suo significato politico e ideale, per l'uso
propagandistico che né possiamo fare e soprattutto in previsione delle proporzioni che questa
pratica
può assumere in determinati periodi storici pre-rivoluzionari, rivoluzionari o in imminenza di
guerre.
L'esperienza storica ci insegna come la "settimana rossa" sia stata determinata in gran parte dal lavoro
di propaganda sui contenuti dell'antimilitarismo anarchico svolto dal movimento negli anni precedenti
e come questa propaganda sia riuscita a coinvolgere sugli stessi temi anche le forze sindacali e politiche
allora rivoluzionarie. Per l'altro aspetto della stessa lotta, cioè la lotta all'interno delle strutture
militari
o lotta di caserma, si è voluto puntualizzare costantemente la necessità di scindere il
nostro intervento
politico rivolto ai soldati e alle popolazioni del Friuli da quello di organizzazioni politiche (PCI e soci
a livello istituzionale) che si propongono di "democratizzare l'esercito", sia da quello di organismi e
strutture "rivoluzionarie" (Lotta Continua ed extra parlamentari in genere) che intendono far uso
dell'antimilitarismo in funzione della loro logica autoritaria. Nei nostri interventi si è espresso
come la
nostra teoria e la nostra prassi debbano mirare a intaccare l'essenza stessa dell'esercito (gerarchia,
obbedienza, autorità), debbano servire a rendere insicuro e inefficiente questo strumento di
oppressione
antipopolare e a mantenere vivo lo spirito di ribellione contro l'autorità. Bisogna inoltre porsi
obiettivi
per migliorare le condizioni di vita dei soldati, facendo leva sui loro bisogni materiali e morali in chiave
rivoluzionaria (come ci compete), cioè coscienti che non sono gli obiettivi che sono
rivoluzionari, ma
il modo con cui si lotta, che li rende rivoluzionari. In definitiva tramite la
marcia sono venute fuori una
serie di proposte per sviluppare un lavoro di collegamento con i militari e le situazioni di caserma, di
coordinamento tra i gruppi e i compagni per appoggiare da fuori queste lotte e per svolgere una costante
azione di denuncia contro le strutture militari; tutto un lavoro per favorire e determinare la crescita di
quello che è la pratica fondamentale della lotta antimilitarista stessa: l'azione diretta degli
sfruttati contro
tutti gli eserciti, un'azione diretta che deve necessariamente collegarsi con le situazioni di lotta esistenti
nelle fabbriche, nei quartieri e ovunque ci si batta per l'emancipazione.
Le polemiche
L'adesione alla marcia di organizzazioni e componenti marxiste, da Lotta Continua al Manifesto,
agli
stalinisti del PCI (m-l), ha portato inevitabilmente motivi di attrito e di polemica fra gli antimilitaristi
perché a proporre tematiche di lotta antimilitarista (e quindi necessariamente antiautoritaria) in
funzione
di una ideologia autoritaria (quale appunto il marxismo) si arriva al punto di combattere l'esercito
"borghese"... per proporre poi... "l'armata rossa e popolare"! Si arriva al punto di strumentalizzare le
lotte dei soldati identificandole con il proprio credo politico; si arriva a definire provocatorio l'intervento
di un compagno che afferma: "tutti gli eserciti sono autoritari: noi siamo contro gli eserciti di tutti gli
stati"! È sufficiente questo per capire l'ambiguo antimilitarismo di queste componenti. Per
degli antimilitaristi
sinceri, cioè antiautoritari, non si pone il problema di distinguere fra "eserciti borghesi" ed
"eserciti
rossi", e questo non vuole assolutamente dire rimanere indifferenti di fronte alla lotta armata
popolare. Se lottiamo per la libertà con
e attraverso la libertà, è evidente che anche la lotta armata
va inquadrata
in questa logica, e non si contrabbanda certo una armata "rossa e popolare" in un discorso
antimilitarista,
perché così facendo si prospetta la riproduzione in altri termini della stessa logica in cui
operano le forze
armate borghesi. Ogni esercito è sempre e comunque una struttura autoritaria e gerarchica e
quindi va
detto chiaramente ai marxisti, sia quelli in buona fede sia quelli in mala fede, che "dove c'è
esercito non
c'è socialismo". Un altro tipo di polemica è venuto invece dal PCI. Questo partito
ha fatto una propaganda anti-marcia
sia con volantini delle federazioni locali sia dalle colonne del suo quotidiano; una propaganda che mirava
a isolare la carica di una iniziativa che rompe con gli schemi tradizionali, che disturba tutto il suo lavoro
di "democratizzazione dell'esercito", che incita alla lotta e all'insubordinazione contro l'autorità.
Il PCI
si è dissociato apertamente, schierandosi dalla parte delle "sacre istituzioni" ma è stato
chiaramente
battuto dalla partecipazione dei militari che assistevano in massa ai comizi e agli spettacoli, che
formavano innumerevoli capannelli dove si discuteva di politica, che prendevano con interesse i volantini
e la stampa; è stato battuto dall'interesse che la marcia ha suscitato in vasti strati delle
popolazioni
friulane. Si calcola che almeno 8-9000 soldati siano stati presenti complessivamente ai comizi e agli
spettacoli. La loro presenza è stata una chiara risposta che la marcia ha dato al PCI.
Fascisti e polizia
Diversamente da quanto accadde l'anno scorso, quest'anno i fascisti non si sono fatti
vedere. Ricordiamo che l'anno scorso provocarono continuamente e apertamente a scopo
intimidatorio, ben
coadiuvati dalla polizia che non perse occasione per dimostrare la sua natura repressiva. Ricordiamo
anche che tutta quella manovra culminò con un tentativo di organizzare una contro-marcia
in appoggio alle FF.AA., che finì però... a calci nel culo che i proletari friulani
distribuirono
generosamente a questi squallidi figuri costretti a una grottesca e assai poco dignitosa fuga. Quest'anno,
dicevamo, non si sono fatti vedere ma in compenso si sono fatti sentire facendo esplodere alcune
molotov davanti a due caserme di Trieste nei giorni precedenti la marcia, con il chiaro intento di aizzare
i militari e la popolazione contro i marciatori. La polizia, ben orchestrata nella provocazione, ha subito
approfittato per perquisire le abitazioni di compagni e non, cercando materiali esplosivi, e spiccando
denunce per intimidire gli antimilitaristi convenuti a Trieste. Ma tutto questo non ha fatto che aumentare
la volontà di lotta dei marciatori che durante tutto il percorso hanno dato prova di
maturità politica
basando l'autodifesa della marcia sull'autodisciplina di tutti senza nessun bisogno di più o meno
agguerriti
"servizi d'ordine". La polizia (denunce e perquisizioni a parte) ha mantenuto fino ad Aviano un
atteggiamento "permissivo":
in pratica poliziotti e carabinieri hanno seguito a distanza evitando di infastidire e questo atteggiamento
ha permesso alla marcia di "profanare" Redipuglia e il cimitero austro-ungarico, per commemorare,
accomunandole, le centinaia di migliaia di proletari mandati al macello nell'infame guerra del '15-'18,
mandati dalle borghesie nazionali a massacrarsi gli uni contro gli altri. Hanno permesso che la marcia
esprimesse la propria solidarietà ai detenuti manifestando davanti alle carceri di Udine e
Pordenone, e
che si passasse sotto le sedi del MSI: hanno addirittura permesso soste davanti alle caserme. Quello
che non hanno permesso invece, e in modo ridicolo, sproporzionato, assurdo, provocatorio, è
che i marciatori "profanassero" anche il piazzale antistante il carcere militare di Peschiera, dove sono
rinchiusi gli obiettori, i disertori, i ribelli e tutti quelli che in un modo o nell'altro hanno detto
signornò!
Portare la propria solidarietà e il proprio impegno di lotta ai detenuti era l'ultimo obiettivo da
realizzare,
ma quel giorno Peschiera era letteralmente presidiata da reparti dei carabinieri e dal famigerato secondo
celere di Padova che non hanno esitato a caricare violentemente un sit-in di compagni nei pressi del
carcere, fermandone una decina, cercando in questo modo di creare un clima che giustificasse ogni
divieto a manifestare. L'intento repressivo e provocatorio era chiaro ma i compagni non hanno
abboccato
e come risposta si è deciso in assemblea di prolungare la permanenza a Peschiera di tre giorni
volendo
con ciò protestare contro il divieto e ribadire gli obiettivi della marcia. Il braccio di ferro
con le forze dell'ordine si è protratto così per tre giorni fino ad un'ultima
manifestazione, al termine della quale polizia e carabinieri hanno dovuto arretrare lasciando che la
marcia
arrivasse oltre i limiti presidiati. Una vittoria parziale e discutibile certo, ma sempre e comunque un
passo avanti nella direzione giusta.
L. Levis
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