Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 3 nr. 23
estate 1973


Rivista Anarchica Online

La marcia antimilitarista
di L. Levis

Trieste, 25 luglio. Parte la settima marcia antimilitarista. Promossa dal Partito Radicale e organizzata da War Resisters' International, Movimento non violento, Lega obiettori di coscienza, Movimento Antimilitarista Internazionale, Partito Radicale delle tre Venezie, la marcia arriverà ad Aviano il 7 agosto. Aderiscono molte organizzazioni, di diversa estrazione ideologica, da Lotta Continua a federazioni e sezioni friulane del PSI, dal PDUP a Re Nudo, a nuclei di Proletari in divisa di numerose caserme, ecc.
Aderiscono inoltre molti gruppi anarchici (ricordiamo fra gli altri: gruppo Germinal di Trieste, Gruppo Nestor Machno di Marghera, gruppo M. Bakunin di Folina, gruppo Anarchico di Padova, Gruppo Anarco-comunista di Gorizia, Gruppo Pinelli di Pisa); ed inoltre numerosi altri compagni, a titolo personale, di diverse città.
Una presenza notevole soprattutto se consideriamo che una partecipazione così massiccia non era stata organizzata prima, e ciò sta a significare che il movimento si sta riappropriando dell'antimilitarismo quale momento fondamentale della lotta antiautoritaria, riproponendo così una continuità storica propria dell'anarchismo. La presenza attiva e numerosa dei compagni alla marcia va vista soprattutto come punto da cui partire per un dibattito da portare all'interno del movimento, che coinvolga il maggior numero possibile di gruppi e compagni, un dibattito che serva a dare corpo ad una sostanziale presenza dell'antimilitarismo anarchico nella società degli anni '70.
È in questa prospettiva che abbiamo visto positivamente (e orgogliosamente) le bandiere nere accompagnare costantemente la marcia; nella prospettiva dello sviluppo della tematica antimilitarista che il movimento dovrà esprimere nei prossimi anni con le analisi e gli strumenti adeguati ai tempi per quelli che rimangono i fini di sempre.
Nata alla fine degli anni '60 come esigenza di rompere il muro di silenzio gravitante attorno alla istituzione-esercito, coraggiosamente portata avanti da pochi radicali nonviolenti, obiettori e libertari, la marcia è cresciuta di anno in anno acquistando sempre di più una caratterizzazione libertaria e maturando nel suo interno contenuti politici rivoluzionari. La tematica e i contenuti della marcia hanno seguito negli anni lo sviluppo delle obiezioni di coscienza. Così è cresciuta una sempre più incisiva caratterizzazione rivoluzionaria mano a mano che alle obiezioni di tipo etico-religioso si sono aggiunte quelle di tipo politico espresse collettivamente.
Lo sviluppo delle lotte sociali del '68-'69, la crescita della coscienza antiautoritaria negli sfruttati e il crescente stato di tensione all'interno delle caserme hanno portato nella marcia quei contenuti politici che l'hanno fatta crescere qualitativamente.
Certo, non possiamo condividere pienamente gli obiettivi "ufficiali" della marcia, dalle proposte di riduzione della ferma a sei mesi e dell'abolizione delle servitù militari, alle richieste di libertà costituzionali per i soldati, alla proposta di un referendum abrogativo dei codici militari... ecc., in quanto tematiche sostanzialmente rivendicative-riformiste tendenti ad una razionalizzazione delle strutture militari e delle loro funzioni. Ma questo non ha impedito a noi anarchici di sviluppare il nostro antimilitarismo con interventi diretti nei comizi, nelle discussioni e con una diffusione massiccia di materiale di propaganda.

La componente anarchica

Come detto prima, la partecipazione degli anarchici alla settima marcia antimilitarista è stata numerosa. 50-60 compagni su una media di 250-350 "marciatori" per tappa, una componente "quantitativamente" notevole. Diverso è il discorso se prendiamo in esame la "qualità" dell'intervento anarchico, perché le carenze esistenti al nostro interno hanno impedito quella caratterizzazione che una presenza coordinata e preparata avrebbe potuto dare. È invece emerso l'intervento organizzato da alcuni gruppi delle Venezie, intervento che è servito a colmare le carenze esistenti e a dare una definizione e una caratterizzazione all'intera componente.
La preparazione di questo intervento organizzato ha permesso ai compagni la diffusione di decine di migliaia di copie di un volantino sul tema "tutti gli eserciti sono nemici degli sfruttati e della libertà"; la diffusione di centinaia di copie di un documento sui rapporti tra militarismo, potere e autoritarismo; la fissione di un manifesto anarchico contro gli eserciti.
Tutti i compagni hanno contribuito alla diffusione di questo materiale così come è stato concordato nelle "assemblee anarchiche" che si sono tenute lungo il percorso. È proprio nel corso di queste assemblee che si è venuta a manifestare la carenza di un discorso omogeneo da portare all'esterno, per via dell'esistenza di tendenze diversificate (diversificate, ma non antitetiche e contraddittorie), soprattutto per quanto riguarda i temi della obiezione di coscienza e la lotta all'interno delle strutture militari.

I nostri contenuti

L'antimilitarismo deve essere inquadrato in una visione generale di lotta antiautoritaria: su questo discorso si è imperniato il nostro intervento e attorno vi abbiamo sviluppato l'articolazione degli interventi: dall'obiezione di coscienza politica come rifiuto dell'istituzione, alla lotta e all'insubordinazione di massa e individuale nelle caserme, individuando questi due momenti come aspetti complementari di una stessa lotta contro il braccio armato del potere statale, quindi contro lo stato.
Una antimilitarismo non tattico e strumentale come quello di chi distingue su "certi tipi" di militarismo, ma l'antimilitarismo completo così come il movimento anarchico ha saputo esprimere storicamente: combattere il militarismo per combattere il sistema dell'autorità dell'uomo sull'uomo; dall'antimilitarismo all'antiautoritarismo all'anarchia, in cui la presa di coscienza e la volontà rivoluzionaria sono le condizioni fondamentali che permettono questo passaggio. La nostra azione quindi deve necessariamente tendere a sviluppare nei militari di leva e più in generale negli sfruttati la coscienza rivoluzionaria, partendo dalla situazione di sfruttamento e da quelle che ne sono le cause, cioè lo stato e l'organizzazione autoritaria della società. L'antimilitarismo anarchico ha per unico fine la distruzione degli eserciti e in questa prospettiva vanno indirizzati la pratica dell'obiezione di coscienza, la lotta all'interno delle strutture militari, e il lavoro di denuncia e di controinformazione.
Per quanto riguarda l'obiezione di coscienza motivata politicamente, pur riconoscendo che tale forma di ribellione il sistema cerca di annacquarla (vedi legge truffa sul servizio sostitutivo), l'abbiamo valutata positivamente per il suo carattere di rifiuto, per il suo significato politico e ideale, per l'uso propagandistico che né possiamo fare e soprattutto in previsione delle proporzioni che questa pratica può assumere in determinati periodi storici pre-rivoluzionari, rivoluzionari o in imminenza di guerre. L'esperienza storica ci insegna come la "settimana rossa" sia stata determinata in gran parte dal lavoro di propaganda sui contenuti dell'antimilitarismo anarchico svolto dal movimento negli anni precedenti e come questa propaganda sia riuscita a coinvolgere sugli stessi temi anche le forze sindacali e politiche allora rivoluzionarie. Per l'altro aspetto della stessa lotta, cioè la lotta all'interno delle strutture militari o lotta di caserma, si è voluto puntualizzare costantemente la necessità di scindere il nostro intervento politico rivolto ai soldati e alle popolazioni del Friuli da quello di organizzazioni politiche (PCI e soci a livello istituzionale) che si propongono di "democratizzare l'esercito", sia da quello di organismi e strutture "rivoluzionarie" (Lotta Continua ed extra parlamentari in genere) che intendono far uso dell'antimilitarismo in funzione della loro logica autoritaria. Nei nostri interventi si è espresso come la nostra teoria e la nostra prassi debbano mirare a intaccare l'essenza stessa dell'esercito (gerarchia, obbedienza, autorità), debbano servire a rendere insicuro e inefficiente questo strumento di oppressione antipopolare e a mantenere vivo lo spirito di ribellione contro l'autorità. Bisogna inoltre porsi obiettivi per migliorare le condizioni di vita dei soldati, facendo leva sui loro bisogni materiali e morali in chiave rivoluzionaria (come ci compete), cioè coscienti che non sono gli obiettivi che sono rivoluzionari, ma il modo con cui si lotta, che li rende rivoluzionari. In definitiva tramite la marcia sono venute fuori una serie di proposte per sviluppare un lavoro di collegamento con i militari e le situazioni di caserma, di coordinamento tra i gruppi e i compagni per appoggiare da fuori queste lotte e per svolgere una costante azione di denuncia contro le strutture militari; tutto un lavoro per favorire e determinare la crescita di quello che è la pratica fondamentale della lotta antimilitarista stessa: l'azione diretta degli sfruttati contro tutti gli eserciti, un'azione diretta che deve necessariamente collegarsi con le situazioni di lotta esistenti nelle fabbriche, nei quartieri e ovunque ci si batta per l'emancipazione.

Le polemiche

L'adesione alla marcia di organizzazioni e componenti marxiste, da Lotta Continua al Manifesto, agli stalinisti del PCI (m-l), ha portato inevitabilmente motivi di attrito e di polemica fra gli antimilitaristi perché a proporre tematiche di lotta antimilitarista (e quindi necessariamente antiautoritaria) in funzione di una ideologia autoritaria (quale appunto il marxismo) si arriva al punto di combattere l'esercito "borghese"... per proporre poi... "l'armata rossa e popolare"! Si arriva al punto di strumentalizzare le lotte dei soldati identificandole con il proprio credo politico; si arriva a definire provocatorio l'intervento di un compagno che afferma: "tutti gli eserciti sono autoritari: noi siamo contro gli eserciti di tutti gli stati"!
È sufficiente questo per capire l'ambiguo antimilitarismo di queste componenti. Per degli antimilitaristi sinceri, cioè antiautoritari, non si pone il problema di distinguere fra "eserciti borghesi" ed "eserciti rossi", e questo non vuole assolutamente dire rimanere indifferenti di fronte alla lotta armata popolare.
Se lottiamo per la libertà con e attraverso la libertà, è evidente che anche la lotta armata va inquadrata in questa logica, e non si contrabbanda certo una armata "rossa e popolare" in un discorso antimilitarista, perché così facendo si prospetta la riproduzione in altri termini della stessa logica in cui operano le forze armate borghesi. Ogni esercito è sempre e comunque una struttura autoritaria e gerarchica e quindi va detto chiaramente ai marxisti, sia quelli in buona fede sia quelli in mala fede, che "dove c'è esercito non c'è socialismo".
Un altro tipo di polemica è venuto invece dal PCI. Questo partito ha fatto una propaganda anti-marcia sia con volantini delle federazioni locali sia dalle colonne del suo quotidiano; una propaganda che mirava a isolare la carica di una iniziativa che rompe con gli schemi tradizionali, che disturba tutto il suo lavoro di "democratizzazione dell'esercito", che incita alla lotta e all'insubordinazione contro l'autorità. Il PCI si è dissociato apertamente, schierandosi dalla parte delle "sacre istituzioni" ma è stato chiaramente battuto dalla partecipazione dei militari che assistevano in massa ai comizi e agli spettacoli, che formavano innumerevoli capannelli dove si discuteva di politica, che prendevano con interesse i volantini e la stampa; è stato battuto dall'interesse che la marcia ha suscitato in vasti strati delle popolazioni friulane. Si calcola che almeno 8-9000 soldati siano stati presenti complessivamente ai comizi e agli spettacoli.
La loro presenza è stata una chiara risposta che la marcia ha dato al PCI.

Fascisti e polizia

Diversamente da quanto accadde l'anno scorso, quest'anno i fascisti non si sono fatti vedere.
Ricordiamo che l'anno scorso provocarono continuamente e apertamente a scopo intimidatorio, ben coadiuvati dalla polizia che non perse occasione per dimostrare la sua natura repressiva.
Ricordiamo anche che tutta quella manovra culminò con un tentativo di organizzare una contro-marcia in appoggio alle FF.AA., che finì però... a calci nel culo che i proletari friulani distribuirono generosamente a questi squallidi figuri costretti a una grottesca e assai poco dignitosa fuga. Quest'anno, dicevamo, non si sono fatti vedere ma in compenso si sono fatti sentire facendo esplodere alcune molotov davanti a due caserme di Trieste nei giorni precedenti la marcia, con il chiaro intento di aizzare i militari e la popolazione contro i marciatori. La polizia, ben orchestrata nella provocazione, ha subito approfittato per perquisire le abitazioni di compagni e non, cercando materiali esplosivi, e spiccando denunce per intimidire gli antimilitaristi convenuti a Trieste. Ma tutto questo non ha fatto che aumentare la volontà di lotta dei marciatori che durante tutto il percorso hanno dato prova di maturità politica basando l'autodifesa della marcia sull'autodisciplina di tutti senza nessun bisogno di più o meno agguerriti "servizi d'ordine".
La polizia (denunce e perquisizioni a parte) ha mantenuto fino ad Aviano un atteggiamento "permissivo": in pratica poliziotti e carabinieri hanno seguito a distanza evitando di infastidire e questo atteggiamento ha permesso alla marcia di "profanare" Redipuglia e il cimitero austro-ungarico, per commemorare, accomunandole, le centinaia di migliaia di proletari mandati al macello nell'infame guerra del '15-'18, mandati dalle borghesie nazionali a massacrarsi gli uni contro gli altri. Hanno permesso che la marcia esprimesse la propria solidarietà ai detenuti manifestando davanti alle carceri di Udine e Pordenone, e che si passasse sotto le sedi del MSI: hanno addirittura permesso soste davanti alle caserme.
Quello che non hanno permesso invece, e in modo ridicolo, sproporzionato, assurdo, provocatorio, è che i marciatori "profanassero" anche il piazzale antistante il carcere militare di Peschiera, dove sono rinchiusi gli obiettori, i disertori, i ribelli e tutti quelli che in un modo o nell'altro hanno detto signornò! Portare la propria solidarietà e il proprio impegno di lotta ai detenuti era l'ultimo obiettivo da realizzare, ma quel giorno Peschiera era letteralmente presidiata da reparti dei carabinieri e dal famigerato secondo celere di Padova che non hanno esitato a caricare violentemente un sit-in di compagni nei pressi del carcere, fermandone una decina, cercando in questo modo di creare un clima che giustificasse ogni divieto a manifestare. L'intento repressivo e provocatorio era chiaro ma i compagni non hanno abboccato e come risposta si è deciso in assemblea di prolungare la permanenza a Peschiera di tre giorni volendo con ciò protestare contro il divieto e ribadire gli obiettivi della marcia.
Il braccio di ferro con le forze dell'ordine si è protratto così per tre giorni fino ad un'ultima manifestazione, al termine della quale polizia e carabinieri hanno dovuto arretrare lasciando che la marcia arrivasse oltre i limiti presidiati.
Una vittoria parziale e discutibile certo, ma sempre e comunque un passo avanti nella direzione giusta.

L. Levis