Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 135
marzo 1986


Rivista Anarchica Online

Ma quale disarmo?
di Andrea Papi

Il problema della pace, come quello della guerra, non può essere affrontato secondo la logica di potere delle superpotenze. È necessaria una consapevolezza diversa, una delegittimazione del militarismo. La pace si prepara innanzitutto smettendo di preparare la guerra.

"E del resto, numerosi esperti si dicono convinti che il dissolversi della forza nucleare delle due superpotenze renderebbe il mondo assai più agitato, aggressivo e incontrollabile di quanto non sia stato dal '49 (quando anche l'URSS riuscì a dotarsi dell'arma atomica) ad oggi" (Sandro Viola, "La sirena che canta dalle torri del Cremlino", La Repubblica, 26 gennaio 1986).
Parole inquietanti, scritte con la tranquillità tipica dell'osservatore distaccato, nell'ambito di un articolo sulle trattative bilaterali che si svolgono a Ginevra tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Mentre mi trasmettevano un brivido, mi hanno fatto riflettere.
Non che esprimano cose che non avessi supposto o immaginato. Non è necessario appartenere all'alveo degli esperti, come sembra sostenere il signor Viola, per rendersi conto che le attuali trattative tra le due superpotenze non sono affatto finalizzate a nessun tipo di disarmo, neanche nucleare. Armati di un poco di malizia, è sufficiente seguire sulla stampa ufficiale il loro andamento per intuire cosa ci sta dietro lo spettacolo. Perché, appunto, si tratta solo di spettacolo, inscenato volutamente con lo scopo di imbrogliare una volta di più la massa impotente degli spettatori. Una prova in più che la finzione è il sostrato su cui si sorregge la politica del dominio, da quella degli enti locali, su su fino agli ambiti internazionali dove si decidono le sorti del mondo. E tutti i funzionari addetti sono impegnati a mantenere intatto questo gioco oltremodo pericoloso, ognuno con la propria intelligenza e capacità.
Ciò che mi ha trasmesso i brividi è invece il modo cinico e imperturbabile con cui l'estensore dell'articolo di Repubblica ci sciorina simili concetti, rispondenti a situazioni in atto. È come se ci avesse spiegato che le migrazioni periodiche degli uccelli sono rituali che appartengono ai loro cicli vitali. Ma forse è proprio questo il senso che sorregge un simile cinico realismo. Per conservare l'equilibrio politico internazionale, lo status quo attuale, questo ciclo "vitale" è indispensabile il mantenimento di un equilibrio strategico militare basato su un'equivalenza di missili e di potenza bellica da entrambe le parti, dinamicizzato da un rituale di periodiche trattative, non finalizzate al disarmo, ma alla verifica dei reciproci assetti. Su questo si sorregge la stabilità politica internazionale, e romperla comporta grossissimi rischi destabilizzanti.
Per assurdo ne consegue che le testate nucleari, capaci di distruggere quindici volte il globo terrestre, sono lì in funzione antibellica. È il concetto moderno della deterrenza, aggiornato e applicato alle necessità dello spettacolo. Gli esperti di cui parla il signor Viola, sono tali anche perché sono addentro alle cose e hanno informazioni di prima mano. Le loro affermazioni non sono il frutto esclusivo di associazioni logiche e dell'uso della ragione sulle informazioni che tutti hanno, bensì si sorreggono su indiscrezioni e indicazioni ricavate dai rapporti diretti che hanno con le persone di fiducia di chi dirige le fila. Per cui, se tali esperti sostengono che non si giungerà al disarmo, non lo fanno per un puro ragionamento di filosofia politica, ma soprattutto perché gli è stato detto dall'interno del palazzo. Viene allora da pensare che gli stessi responsabili che a Ginevra siedono al tavolo delle trattative, ancor prima di sedere al tavolo, sanno che non tratteranno il disarmo né qualcosa di simile. Tratteranno invece il rassicurante mantenimento dell'equilibrio militare, sostenuto dalla presenza fisica, massiccia ed equivalente delle reciproche armi strategiche. Il terrore che queste comportano assume così il ruolo di stabilizzatore.
Contemporaneamente fanno credere alle genti di tutto il mondo che hanno tutta la migliore buona volontà di disarmarsi a vicenda. Da parte dei mass-media c'è una gara continua, ai nostri occhi particolarmente irritante, per mostrarci Reagan e Gorbaciov i quali, assieme a tutto il loro folto schieramento di funzionari d'alto livello, si scambiano sorrisi, strette di mano, abbracci, come a esibire la massima disponibilità per regalare al mondo la tanto agognata pace. Nel novembre scorso, durante lo storico incontro tra i due capi di stato delle opposte superpotenze, gli obiettivi che colgono le immagini sono stati puntati soprattutto sulle due first-lady, le rispettive mogli dei due responsabili, lanciate in una gara senza precedenti alla ricerca del miglior look, con cui rassicurare il mondo intero sui suoi destini. Dopo lo storico "familiare" incontro, gli stessi dissero che tutto era rimasto come prima, solo che, fatto nuovissimo, si erano incontrati in un tète a tète senza precedenti sulla pace. Secondo loro, tutto ciò rappresenta un ottimo segno.

Il commercio delle armi
Ma questo lucido spettacolarismo terrorizzante non è in grado di cancellare la realtà in tutta la sua agghiacciante evidenza. Volendo veramente sottrarsi al fascino, neanche tanto discreto, delle immagini televisive e delle voci suadenti, con cui i guerrafondai alleviano i nostri sensi turbati dall'angoscia della distruzione globale, le cose risultano con limpida chiarezza: il mondo è in subbuglio per la costante pressione esercitata dagli stati e dalle strutture militari ad essi connesse.
Per capire sono sufficienti alcune considerazioni ricavate dai dati ufficiali. Il settore bellico è fiorentissimo ovunque. Le industrie che costruiscono armi non conoscono crisi, anzi! USA e URSS sono i maggiori costruttori del mondo di tecnologia da guerra e nel contempo anche i maggiori esportatori; seguono Gran Bretagna, Italia, Francia e, via via, tutti i paesi più industrializzati. L'industria della guerra in tutti i paesi del benessere è tra le voci principali che ne sorreggono l'economia, per cui il loro presunto progresso si sorregge in gran parte sulla produzione di distruzione e morte. E le armi, si sa, per essere vendute debbono essere usate. L'offerta aumenta legata all'aumento della domanda, come vuole una classicissima legge del mercato. Oltre a questa, c'è un'altra classicissima legge: la politica della strategia di influenza militare, per cui uno stato acquista maggior potere se riesce a controllare militarmente altri stati più deboli, come dai tempi dei romani. Oggi non è più necessario occupare un territorio con la forza, è sufficiente controllarlo fornendogli le armi che gli servono per sfogare la sua aggressività. Quando non fa più gli interessi dello stato fornitore, questi gli toglie la fornitura, forte del fatto che la tecnologia attuale di necessità richiede ricambi, tecnici, consulenti. Di qui una delle principali ragioni dei continui focolai di guerra nei paesi del terzo mondo.
Su tutti sovrasta il terrore delle superpotenze che, con i loro missili a testata nucleare, sono in grado di imporre il proprio volere di stati sovrani. La sola idea di un loro possibile intervento fa sudare freddo sui destini del mondo intero. Tutto il panorama internazionale è oppresso dalla continua preparazione e, in molti casi, attuazione della guerra, mentre i capi di stato continuano a nominare la pace come il bene supremo, intesa però come assenza di guerra. Se in un dato territorio momentaneamente non si combatte, non vuol di per sé dire che la guerra sia assente. Già il costruire armi e venderle ai paesi che la conducono è un'istigazione e una fattiva partecipazione a che avvenga. La pace infatti non può essere intesa come semplice assenza momentanea di guerra, perché deve esserlo in un senso totalmente preventivo, mentre, attraverso una reale cooperazione tra i popoli, si devono cercare metodi non bellici per la soluzione dei conflitti. Oggi al contrario è completamente in vigore il detto latino: "si vis pacem, para bellum", cioè se vuoi la pace prepara la guerra.
Alla luce di queste considerazioni si riesce a capire il senso della frase del signor Viola e del cinismo politico di cui è impregnata. A lui e agli altri osservatori voglio anche concedere l'attenuante di essere in buona fede, supporre che siano convinti che un sano, classico realismo politico, staccato dai sentimenti e dalle passioni, sia in qualche modo utile alla possibilità di una soluzione. Ma quest'attenuante non toglie che il loro ragionamento sia privo di concretezza, realistico soltanto rispetto allo status quo, perché solo a questo riconosce la giustezza di esistere e di andare avanti. Non solo questi osservatori hanno a priori la certezza che il disarmo non è il vero obiettivo, ma sono soprattutto convinti che non lo si debba raggiungere, perché in tal caso si creerebbero le basi per una eventuale destabilizzazione. Per loro le attuali armi strategiche di distruzione nucleare sono l'unico realistico strumento di contrattazione politica per concretizzare l'unica pace possibile, l'assenza momentanea di guerra.

Una follia congenita
Tutto ciò è soltanto aberrante, delirante e irrealistico ai fini di una pace concreta e duratura. Una volta di più la logica politica imperante sta dimostrando la sua follia congenita, folle a un punto tale che, se non troveremo strumenti efficaci in grado di toglierle la legittimità di cui gode, ci porterà seco alla distruzione cui sembra irrimediabilmente votata.
Le armi, come ogni altra cosa, vengono costruite per essere usate. Affermazione che si dimostra puntualmente vera, dal momento che nel mondo sono impiegate continuamente dagli eserciti, dalle forze dell'ordine, dalla mafia, ecc... Non a caso il loro commercio è oltremodo fiorente e remunerativo. Si potrebbe obiettare che le armi nucleari richiedono una considerazione a parte, perché fornite di una potenzialità distruttiva tale che l'usarle scatenerebbe una reazione a catena incontrollabile al punto che ci lascerebbero tutti le penne, compresi coloro che le hanno usate per primi.
A una simile obiezione, (in genere la più usata) rispondo che i fatti stessi la smentiscono. Per prima cosa sono già state scagliate su Hiroshima e Nagasaki, provocando l'olocausto ormai a tutti noto. Quando allora furono sperimentate per la prima volta, i responsabili sapevano perfettamente cosa avrebbero provocato; si sono soltanto "divertiti" a verificare nei fatti ciò che già sapevano, atteggiamento tipico di una scienza sorretta dall'etica della ragion di stato. Inoltre è già successo centinaia di volte che per un pelo non siano state usate anche in tempi attuali, in seguito ad errori di segnalazione dei computer che, come è successo in un caso clamoroso, scambiarono un branco di oche per un missile avversario in arrivo. Se per caso una volta sola un errore di segnalazione non venisse identificato in tempo come tale, sarebbe veramente la fine. A questo si aggiunga l'inquinamento radioattivo cui sono sottoposte le zone in cui vengono sperimentate, come è stato messo in evidenza dall'ultima vicenda tra il governo francese e i pacifisti di Greenpeace, per gli esperimenti vicini all'atollo di Mururoa. Senza contare che nulla è in grado di impedire un loro impiego cosciente nel caso che una situazione degeneri, come ha rischiato di accadere ultimamente nel Mediterraneo, provocando un conflitto anche diretto tra USA e URSS.
Come hanno fatto follemente contro Hiroshima, spinti dalla stessa follia, potrebbero benissimo impiegarle ancora, provocando danni moltiplicati a livello esponenziale. Quasi sicuramente sarebbe l'ultima volta per tutti.
Il problema della pace, come quello delle armi in genere, non può essere affrontato secondo le indicazioni date dal signor Viola e dagli osservatori simili a lui. Non possiamo continuare a lungo ad affidarci alla contrattazione bilaterale tra le superpotenze, che si ritrovano periodicamente al tavolo delle trattative con lo scopo di consolidare e verificare le proprie rispettive influenze strategiche e la propria potenza. Il loro presupposto politico ha senso soltanto se si considera questo il migliore dei mondi possibili, se si agisce cioè in una logica di conservazione. Non solo questo non è il migliore dei mondi possibili, ma è forse il peggiore che l'uomo potesse realizzare mettendo a frutto la propria intelligenza e le proprie capacità. Infatti ogni espressione e manifestazione umana è oggi votata alla distruzione dell'ambiente in cui si trova, sia per l'apporto delle guerre che non sembrano cessare mai, sia per lo squilibrio ecologico derivato dall'inquinamento, anch'esso in crescita esponenziale. Le considerazioni non sono entusiasmanti neanche se ci si rivolge al sociale: un terzo circa dell'umanità soffre irrimediabilmente la fame e più di due terzi vive nella miseria, il totalitarismo militare è una pratica di governo ampiamente diffuso e, dovunque, i diversi sono messi ai margini, imbavagliati e resi impotenti. È evidente che questa descrizione è estremamente sommaria, per ragioni di spazio coglie volutamente solo i punti più macroscopici e non vuol essere spacciata in alcun modo per un'analisi; è concepita soltanto come uno spettacolo estremamente realista sulla realtà in cui viviamo.

Generalizzare il rifiuto
Per cogliere un realismo che abbia il senso della concretezza, bisogna a mio avviso spostare letteralmente il piano d'intervento. Oggi si continuano a legittimare trattative che vengono proposte spettacolarmente in funzione del disarmo, mentre nelle intenzioni reali, come abbiamo visto, servono a ben altro. Non a caso il pacifismo di questi anni, che, con grosse manifestazioni popolari, si proponeva di premere sui potenti per portarli a contrattare "la pace", è miseramente sfumato, non lasciando di sé che poche tracce.
L'intervento si deve spostare su una consapevolezza diversa, opposta a quella vigente, secondo cui l'azione dei capi di stato, dei governi e delle diplomazie è utile soltanto alla conservazione del presente. Bisogna invece mirare al suo superamento e a tal fine promuovere e incentivare una coscienza pratica collettiva, tesa ad agire in prima persona e capace di togliere legittimità a chi dirige le fila. Bisogna riuscire a generalizzare una volontà del rifiuto, fattivo e coerente. Rifiuto di costruire le armi, di prestare servizio militare, di essere in qualsiasi modo compartecipi di tutto ciò che sappia di militarismo.
Per attuare questo è insufficiente la semplice propaganda o la controinformazione. Ci vogliono atti e fatti, operando in modo da riuscire a determinare organismi popolari che si organizzino in tal senso, che agiscano attraverso una pratica collettiva di ricusa e di opposizione nei confronti di ogni manifestazione e struttura collegata alle forze in armi dello stato. È necessaria un'inversione di tendenza, per cui venga superato il militarismo in tutte le sue determinazioni e tolta legittimità politica a chi su di esso fonda irragionevolmente una logica tesa soltanto alla assenza momentanea di guerra.
La pace si prepara innanzitutto smettendo di preparare la guerra.